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Cronaca

“Enel consapevole delle polveri di carbone”: chiesta condanna anche in Appello

Il pg invoca conferma a nove mesi per i dirigenti Sanfilippo e Ascione. La Provincia: “Danni per 500 milioni di euro”. Il Comune non ha impugnato l’esclusione dal risarcimento

BRINDISI – Tempo d’appello per il processo scaturito dall’inchiesta sulle polveri di carbone della centrale Enel di Cerano: il rappresentante della pubblica accusa ha chiesto la conferma della sentenza del Tribunale, con condanna per imbrattamento a nove mesi per i dirigenti Calogero Sanfilippo e Antonino Ascione, sottolineandone la consapevolezza. E  la Provincia di Brindisi, in veste di parte civile, ha presentato il conto del risarcimento dei danni pari a 500 milioni di euro. Cosa che non ha fatto il Comune di Brindisi, assente, per non aver impugnato la pronuncia di primo grado.

Il tribunale e la procura di Lecce

La requisitoria del pg

Le conclusioni sono state consegnate nella tarda mattinata di oggi, venerdì 15 giugno 2018, dal procuratore generale Ennio Cillo alla Corte d’Appello di Lecce presieduta da Vincenzo Scardia (a latere Aliffi e Surdo). Secondo il pg restano documentate le conclusioni a cui due anni fa arrivò il Tribunale in composizione monocratica con il giudice Francesco Cacucci e per questo ha invocato la condanna nei confronti di Sanfilippo, in qualità di responsabile, in seno ad Enel della produzione termoelettrica e di Ascione, come responsabile dell'Unità di Business di Brindisi dal 10 settembre 2007. Nove mesi per entrambi, pena sospesa e non menzione, benefici riconosciuti essendoci stata una “inversione di rotta” rispetto alle condotte oggetto di contestazione, con il completamento della copertura del carbonile. Ma il passato, come si legge nelle motivazioni della sentenza del Tribunale,  non può essere cancellato e di conseguenza, entrambi, sono stati condannati al risarcimento dei danni patiti da 62 brindisini, tra agricoltori e residenti nella zona, in solido con Enel spa in veste di responsabile civile.

La sentenza del Tribunale di Brindisi

Secondo il Tribunale, è stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio, che le polveri di carbone sia state “superiori alla stretta tollerabilità” e che “Enel ne fosse consapevole”, per questo è stato affermato il  “dolo diretto”, quindi l’”inerzia della società, con attività persistente nella sua gravità”. Sino alla realizzazione del carbonile coperto. Nelle motivazioni è stato, inoltre, riconosciuto il “disagio anche psicologico degli agricoltori”.

Il giudice scrisse questo: “Che dalla centrale, in particolare dal nastro trasportatore e dal parco carbonile, provenissero polveri di carbone che, sia per l’effetto del vento che per l’azione di movimentazione del combustibile, si propagavano nell’ambiente, è circostanza che il Tribunale ritiene possa dirsi pacificamente accertata”. Non solo. “Del resto – si legge – è sufficiente ripercorrere tutte le fasi dei programmi adottati negli anni dall’azienda per coglierne immediatamente l’ampiezza e la piena consapevolezza delle sue dimensioni da parte della dirigenza amministrativa e tecnica”.

Il processo per le polveri di carbone Enel

Gli enti locali

Rispetto, invece, alle posizioni di Comune e Provincia ha concluso per la “carenza di legittimazione” perché l’istruttoria ha dimostrato che la diffusione della polvere di carbone, così come contestata, ha riguardato alcune aree adiacenti la centrale Federico II e non può assurgere a questione che riguarda l’intera collettività locale”. Sulla base di tale argomentazione, il giudice ha respinto al mittente le richieste di entrambi gli Enti locali dopo aver ricordato, mutatis mutandis, il caso della Xylella fastidiosa e i danni lamentati “da un ente locale del Brindisino che aveva impugnato provvedimenti concernenti le misure adottate da autorità nazionali e regionali per fronteggiare la dichiarata emergenza legata alla diffusione del batterio”.

Il Tar del Lazio ha affermato la carenza di legittimazione attiva del Comune sostenendo che il gravame aveva ad oggetto provvedimenti riguardanti interessi di singoli proprietari di terreni agricoli e non quelli della collettività. Lo stesso principio, a giudizio del Tribunale di Brindisi, vale per la dispersione delle polveri di carbone. Né può avere rilievo – è scritto nelle motivazioni – che “nel 2007 il sindaco di Brindisi aveva adottata l’ordinanza con cui aveva imposto il divieto di coltivazione in aree limitrofe all’impianto, atteso che in tale occasione aveva agito nell’esercizio di poteri dal titolo V del decreto legislativo 152 del 2006 e non nell’esercizio delle funzioni conferite dal Testo unico sugli enti locali”.

“Indimostrata è la presunta pubblicità negativa subita a livello internazionale dalla provincia brindisina a causa della presenza della centrale con conseguente riduzione del turismo e perdita di chance intese come occasioni di sviluppo economico”, come invece lamentava la Provincia.

Una nuvola di polvere si leva dal carbonile di Cerano

Il risarcimento chiesto dalla Provincia

L’Amministrazione, attualmente retta dal vice presidente Domenico Tanzarella, ha reiterato la richiesta risarcitoria con l’avvocato Rosario Almieno: tenuto conto anche della lesione dell’immagine e della compromissione delle chance turistiche, ha chiesto 500 milioni di euro, in aggiunta al danno strettamente ambientale. “Ci sono evidenti contraddizioni e incongruenze rispetto all’ingiustificato rigetto delle richieste di risarcimento dei danni presentate dalla Provincia di Brindisi che appaiono incontestabilmente conseguenza della dispersione di polveri di carbone dalla centrale Enel, reato per i quali gli imputati sono stati condannati”, ha scritto il penalista. Ha chiesto una provvisionale pari a 300 milioni di euro.

Rosario AlmientoPer Almiento (nella foto accanto), l’affermazione della “consapevolezza” dei vertici della società Enel, rispetto alla “dispersione delle polveri, la contestazione della “inerzia” e la sussistenza del “dolo diretto” e non già eventuale, come si legge nelle motivazioni della sentenza del Tribunale di Brindisi, non possono non portare all’esclusione della Provincia come parte civile.

Ci sarebbe stata, secondo l’avvocato, “la contaminazione dell’aria, dei terreni, delle acque e dei prodotti agricoli destinati all’alimentazione” dalla quale “deriva un danno ambientale incommensurabile e una congerie di voci di danno patrimoniale ambientale, subiti dalla Provincia di Brindisi e alla collettività, che l’Ente pubblico è chiamati per funzione istituzionale a tutelare secondo la legge e il proprio statuto”. “Le caratterizzazioni – si legge ancora nei motivi d’appello – hanno evidenziato l’assai preoccupante presenza tra le altre sostanze inquinanti di metalli pesanti, ben al di sopra dei limiti di legge, tra cui arsenico, berillio, vanadio, rame, cobalto e mercurio”. Dei 234 punti indagati nell’area agricola in esame, oggetto del procedimento, come cristallizzato nel capo di imputazione, “solo 12 risultano privi di contaminazione”.

“L’arsenico provoca tumori polmonari ed epatici, il cromo e il nichel tumori polmonari, il cadmio tumori alla prostata, il mercurio si ripercuote sul sistema nervoso centrale. E’ palese la perpetrazione di una grave compromissione dell’ambiente che in data 28 giugno 2007 ha costretto il sindaco pro tempo di Brindisi ad emettere l’ordinanza con la quale veniva vietato a tutti i conduttori delle aree agricole di coltivare e veniva fatto obbligo di distruggere tutto, compresi i frutti pendenti”.

L'attuale carbonile

Il conteggio dei danni

Nel conteggio finale del risarcimento danni, il penalista ha inserito anche i “costi necessari alla bonifica ambientale che si stima  equo quantificare in venti milioni di euro”, più le conseguenze sull’economia in termini di “flessione delle entrate nel settore agricolo che si quantifica in 564 milioni di euro, in relazione al quale la Provincia ha pieno diritto di essere risarcita della somma di non meno di cento milioni, direttamente riconducibile alle condotte degli imputati”. Ci sono ancora, secondo l’avvocato Almiento, danni sul piano del marketing territoriale, vale a dire sul fronte della promozione culturale e turistica, per 816.048,68 euro anche con riferimento alla vanificazione degli effetti legati alla diffusione del marchio comunitario Filia Solis Terra di Brindisi”, tenuto a battesimo dall’ex presidente della Provincia, Massimo Ferrarese. Infine, deve essere considerato il “danno morale e d’immagine, oltre che una perdita di chance intesa come occasioni di sviluppo economico attraverso un’attraente immagine del territorio dal punto di vista turistico, eno-gastronomico e culturale, in relazione al quale la Provincia chiede 250 milioni di euro”.

Il Comune di Brindisi

Non è presente il Comune di Brindisi che pure in primo grado aveva chiesto danni per 30 milioni di euro, con istanza dell’avvocato Daniela Faggiano. L’Ente non ha impugnato la sentenza del Tribunale. La decisione venne assunta dall’Amministrazione centrista di Angela Carluccio. Il motivo? Questo:  “Non è utile proporre impugnazione avverso la suddetta sentenza, anche per evitare di gravare ulteriormente le casse del Comune di Brindisi”.

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