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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Eredità Giannelli, ecco i 59 immobili lasciati alla Fondazione

In elenco c'erano Masseria Pignicella, appartamenti in piazza Anime, San Pietro degli Schiavoni e altri nel Centro storico in via Appia e via Strabone. E ancora terreni a Restinco e nel rione Sant'Elia. L'unica perizia sul valore del complesso risale al 1986 chiesta dal sindaco Ortese e affidata ad Alberto Leoci, due anni dopo le prime alienazioni

BRINDISI – Vox populi, quella dei gioielli di Serafino Giannelli. Certo è che il podestà di Brindisi, di proprietà immobiliari ne aveva tante: 38 appartamenti più terreni a cominciare da quelli in contrada Pignicella, per un totale di 59 immobili, tutto lasciato alla Fondazione che porta il nome della figlia Maria Rosaria (oltre alla famosa Lancia Aurelia che stava per essere divorata dalla muffa nel cortile di Palazzo Nervegna).

serafino giannelli-2-2-2Esiste copia del testamento? Venne pubblicato a Brindisi in il 19 settembre 1962: Serafino Giannelli (foto accanto) lasciava i 4/5 dei suoi beni alla Fondazione Maria Rosaria Giannelli. C’è un elenco dei beni? Che fine hanno fatto? Sono stati venduti, affittati? Quando, da chi e a fronte di quali corrispettivi? E la casa di riposo, ultimo desiderio del podestà e motivo stesso del lascito, è stata ultimata?

Gli interrogativi sono stati inizialmente sollevati da Vittorio Bruno Stamerra autore di un articolo-inchiesta su storie opache di Brindisi e sono stati riproposti dai consiglieri comunali Riccardo Rossi e Giuseppe Cellie, espressione dell’altra sinistra, quella di Brindisi Bene Comune, alternativa al Pd. In tandem hanno chiesto l’istituzione di una commissione speciale, interna a Palazzo di città, per ricostruire i passaggi che sembrano mancare o quanto meno non essere noti nella vicenda dell’eredità e in quella successiva della casa di riposo.

La proposta è stata condivisa da Mauro D’Attis di Forza Italia, ma è stata bocciata dal Consiglio mentre la sindaca Angela Carluccio non ha partecipato alla votazione perché poco prima si è allontanata dall’aula. Assenza temporanea, visto che dopo è rientrata. Ma quei voti contrari e questa assenza stonano con la richiesta di chiarezza che dopo l’articolo di Stamerra, l’assessore all’Urbanistica Giampiero Campo, aveva avanzato ritenendo necessario un accertamento.

In che modo se non ci sarà la commissione che nelle intenzioni dei proponenti avrebbe visto lavorare assieme, in maniera paritetica, maggioranza e opposizione? A costo zero per il Comune, cioè senza alcun gettone di presenza per i componenti. Per superare l’empasse, D’Attis ritiene che l’argomento possa essere assegnato alla conferenza dei capigruppo o a una commissione permanente: “Visto che l’Amministrazione, come dice, non ha nulla da nascondere, faccio questa richiesta alla presenza del Consiglio”. In attesa di risposte Rossi e Cellie, confermando la volontà di interessare la Procura.

Nel frattempo Brindisi Report è riuscito a trovare l’elenco dei beni che erano di proprietà di Serafino Giannelli e la prima e unica perizia sul valore di una parte degli immobili, chiesta nel 1986 dall’allora sindaco Errico Ortese e affidata al commercialista Alberto Leoci. L’incarico venne affidato quasi due anni dopo le alienazioni decise dal consiglio di amministrazione della Fondazione “per realizzare il fine della casa di riposo sancito nello statuto dell’ente, e cioè il ricovero dei vecchi e inabili”.

E’ scritto nella delibera del 2 aprile 1984, dove viene precisato che per “realizzare ciò bisogna disporre di adeguate risorse finanziarie e che si ravvisa, pertanto, la necessità di alienare parte del patrimonio”. Quel giorno erano presenti, Armando Attolini che era il presidente, e i consiglieri Giovanni Palazzo, il quale svolse le funzioni di segretario, e Domenico Stabili. Erano assenti gli altri due consiglieri, Antonio Bargone e Ugo Cristofaro.

Masseria Pignicedda-2-2-2

L’elenco allegato alla perizia di Leoci comprende 38 appartamenti ubicati a Brindisi, nelle vie: de Royas, ai civici 37, 41, 43, 45, 47, 49; Lucio Strabone, 36; Appia, civici 34, 36, 38, 40, 60, 62; Madonna della Scala, civici 31, 40, 33, 35, 37, 39, 46, 48, 50, 52, 54, 56; vico de Salmento civici 2, 4 8; via Lata 69, 71, 73, ; vico Latamo civici 4,6, 8, piazza Anime 18, 19 (dove c’era la sede storica), San Pietro degli Schiavoni.

Il commercialista mise in evidenza che “il patrimonio immobiliare fabbricati vera in un forte stato di degrado sia per la vetustà sia per la mancanza completa di manutenzione” e scrisse anche che “il 90 per cento delle abitazioni sono prive di bagno per vari nuclei familiari”. Sottolineò, inoltre, “che per alcuni immobili si era venuta a determinare una vera e propria rendita di posizione nel senso che gli inquilini subaffittavano a prezzi di mercato riversando all’Ente canoni irrisori” e che “i contratti di locazione dei fabbricati sono solo orali e si tramandano da circa 30 anni”. Secondo Leoci, infine, “persisteva qualche posizione anomala che andrebbe perseguita e a tale proposito è stata richiesta la nomina di un legale per la tutela degli interessi dell’Ente”.

Dagli affitti erano stati ricavati 65.264.775 lire a cui dovevano aggiungersi 25.623.358 trovati sul libretto al portatore presso la Comit e 500mila lire su assegno circolare. Il passivo, secondo quei conteggi, ammontava a 56.376.372. Di conseguenza il saldo attivo era di appena 35.705.275. Il resto del complesso lasciato in eredità era costituito da terreni, oltre che in località Pignicella, nelle contrade Conelia, Mataghioia, Restinco e nel rione Sant’Elia, nella maggior parte dei casi condotti a mezzadria e colonia. Cosa è rimasto? Quali sono le reali condizioni economico-finanziarie della Fondazione?

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