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Cronaca

Quattro anni da incubo per resistere al boss Scu che voleva il suo negozio

Denunciare colui che gli investigatori considerano il referente principale della Sacra corona unita per la città di Brindisi non è stato facile per una fioraia brindisina di 30 anni. E' riuscita a farlo dopo quattro anni di minacce a lei ed ai suoi genitori, esborsi di denaro, furti, una rapina ed il pestaggio del suo compagno, ed altre vessazioni come l'obbligo di pagare almeno due volte al mese la spesa alimentare al boss detenuto e persino la sua biancheria intima ed i pigiami firmati

BRINDISI – Denunciare colui che gli investigatori considerano il referente principale della Sacra corona unita per la città di Brindisi non è stato facile per una fioraia brindisina di 30 anni (Video). E’ riuscita a farlo dopo quattro anni di minacce a lei ed ai suoi genitori, esborsi di denaro, furti, una rapina ed il pestaggio del suo compagno, ed altre vessazioni come l’obbligo di pagare almeno due volte al mese la spesa alimentare al boss detenuto e persino la sua biancheria intima ed i pigiami firmati. L’ultimo attentato lo ha subito nella tarda serata del  2 novembre scorso. Un incendio doloso al negozio. L’ultimo sfregio.

Ma carabinieri e Digos erano ormai in dirittura d’arrivo solo in attesa delle ordinanze di custodia cautelare del gip. Ordinanze eseguite questa mattina prima dell’alba dai poliziotti della Digos e dai militari del Nucleo investigativo dei carabinieri, contro Donato Borromeo di 41 anni, il fratello Giovanni di 45 anni, la convivente Serena Lorenzo di 27 anni, Francesco Palma di 36 anni, Luca Ferrari di 38 anni, tutti brindisini. A piede libero, Mario Schirinzi di 57 anni, dipendente delle Poste. I fratelli Borromeo e la Lorenzo sono difesi da Laura Beltrami, Palma e Ferrari da Daniela D'Amuri.

Donato Borromeo-2-2La Scu, la fioraia brindisina, l’aveva incrociata subito dopo aver avviato nel 2010 l’attività in via Ticino, nei pressi dell’ingresso posteriore del cimitero del capoluogo. Ma non si trattava del gruppo dominante a Brindisi, bensì di quella di Mesagne, che le aveva spedito immediatamente pregiudicati del posto per intimarle di chiudere perché quella era una zona sotto il controllo di Tobia Parisi, personaggio ricorrente nelle cronache della criminalità organizzata. Un messaggio pesante, un problema che poteva essere risolto solo da una persona dello stesso livello e della stessa organizzazione (Nella foto, Donato Borromeo).

Ci pensò Luca Ferrari, ex marito della fioraia, a trovare la strada giusta: non quella del ricorso alle forze dell’ordine, ma quella dell’interessamento di Donato Borromeo, dipendente Monteco all’epoca, affiliato al clan Campana-Buccarella  secondo le ultime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ercole Penna e dell’ultimo pentito della Scu mesagnese, Francesco Gravina, ma forse in quei mesi del 2010 ancora legato al gruppo di Massimo Pasimeni e Antonio Vitale (sempre secondo le affermazioni dei collaboratori di giustizia).

La questione infatti fu “risolta”. Ma solo da un punto di vista formale perché, fattosi indietro Tobia Parisi, o quanto meno coloro che si erano presentati come suoi emissari, nella vita della vittima e della sua famiglia fece ingresso Donato Borromeo, che in breve divenne padrone della situazione grazie anche – hanno dimostrato gli investigatori – all’accondiscendenza dell’ex marito della fioraia, che si era subito schierato col più forte, partecipando a quella che ben presto divenne una insistente pressione estorsiva.

panoramica fiori cimitero-2Borromeo cominciò col far sapere alla vittima che si aspettava un “regalo” per la sua mediazione con la Scu di Mesagne. La fioraia, che non disponeva di grandi risorse perché aveva investito tutto nell’avvio del negozio in via Ticino, riuscì a racimolare solo dopo qualche tempo 300 euro, che consegnò a Borromeo nei pressi del chiosco. Ma il soggetto, che sempre secondo le ricostruzioni investigative e le dichiarazioni dei pentiti, era autorizzato a gestire lo spaccio della cocaina e le estorsione a Brindisi, aveva ben altro in mente e tutt’altro proposito che accontentarsi di 300 euro.

Cominciò prima col chiedere un fisso di 50 euro al mese, sempre per il disturbo di aver sanato la grana con Tobia Parisi, e giustificando la richiesta anche con il pagamento degli alimenti alla ex moglie. La fioraia fece presente che non poteva affrontare questi esborsi, e convinse Borromeo ad accontentarsi di un’altra una tantum di 300 euro, che riuscì a mettere insieme solo durante le ricorrenze di inizio novembre 2011, e che consegnò a Giovanni Borromeo, fratello di Donato che nel frattempo era finito in galera. In quei mesi l’intera famiglia Borromeo (madre, sorella, la convivente Serena Lorenzo) continuavano a presentarsi al chiosco per prendere fiori, che non pagavano, né la donna ed il marito chiedevano il pagamento.

Serena Lorenzo viene condotta la carcere di Lecce-2La più insistente era Serena Lorenzo. Che era arrivata a condurre la fioraia in un noto negozio di intimo della città per addebitarle un acquisto di biancheria personale e pigiami firmati (pare che Donato Borromeo non indossasse che quelli) per il compagno detenuto.  Totale del conto, 500 euro che la vittima fu costretta a pagare a rate. Ma non era finita. Per tutta la durata della detenzione di Donato Borromeo, la fioraia di via Ticino ha dovuto pagare due volte al mese anche la spesa di generi alimentari per lui, sempre su richiesta della Lorenzo. Durante le festività di fine 2011 dovette persino consegnare venti piante di stelle di Natale che Giovanni Borromeo doveva distribuire ad amici di famiglia. Cosa che si ripetette a Natale del 2012. Intanto continuavano i prelievi di fiori gratis.

Un brutto colpo giunse in occasione di un infortunio della madre della vittima, che per accudirla lasciò l’incarico di gestire il chiosco all’ex marito Luca Ferrari. Al ritorno si accorse che il chiosco aveva solo accumulato debiti. Secondo gli investigatori, ciò fu dovuto al fatto che Ferrari non solo versava 50-60 euro a settimana a Serena Lorenzo, ma probabilmente si impadroniva anche di una parte degli incassi. Il debito fu coperto personalmente dal nuovo compagno della fioraia, che a sua volta finì poi nel vortice della violenza estorsiva. La famiglia Borromeo infatti continuò a pretendere gratuitamente ciò che aveva ricevuto in precedenza (Nella foto, Serena Lorenzo).

La situazione è precipitata nei primi mesi del 2014, quando Donato Borromeo ottenne gli arresti domiciliari. Cominciarono le pressioni sul padre della fioraia, ma anche sul fidanzato, al quale Borromeo chiedeva un incontro con la donna per chiarire la situazione, perché considerava il negozio di fiori già suo. Le minacce si fecero esplicite: il compagno della vittima ricevette sul proprio cellulare messaggi di Donato Borromeo che intimavano alla coppia di lasciare il negozio pena ritorsioni. Il 25 maggio del 2014 la donna fu avvicinata da Giovanni Borromeo. A quel punto, visto che poteva essere in gioco l’incolumità personale oltre che il negozio, il 26 maggio la vittima sporse denuncia presso i carabinieri di Brindisi.

Luca Ferrari (2)-2Quello stesso giorno infatti accaddero molte cose gravi. Il compagno della vittima fu convocato da Borromeo, che se lo fece portare a casa da un soggetto di sua fiducia: qui la richiesta di passaggio della titolarità del negozio e della licenza si trasformò in violenza materiale: Borromeo colpì il giovane con due pugni al volto, causandogli lesioni giudicate guaribili in 10 giorni. Successivamente la persona che aveva portato il compagno della fioraia da Borromeo fu identificato: era Francesco Palma.

Costui, sempre il 26 maggio, aveva anche bloccato il furgone delle consegne del negozio di fiori, obbligando l’autista a consegnargli le chiavi che non avrebbe restituito se non fossero state consegnate autorizzazioni e licenze del chiosco. Le intimidazioni si erano fatte, poche settimane prima, sempre più concrete: tornando a casa la sera del 28 aprile, la fioraia trovò la porta spalancata. Non mancava nulla, ma qualcuno aveva frugato tra le sue carte alla ricerca delle licenze commerciali. La mattina dopo, tornando al negozio, scoprì che le avevano rubato tre fioriere (Nella foto, Luca Ferrari).

Giovanni Borromeo-2La donna però non cedette. Così le pressioni e le violenze continuarono anche a giugno e luglio. Il 4 giugno con la complicità del postino Marco Schirinzi, detto Gennaro, Donato Borromeo e Serena Lorenzo si appropriarono di una raccomandata spedita dal fidanzato alla fioraia, missiva di cui si sbarazzarono dopo averla letta. Per mascherare l’appropriazione della raccomandata, fu anche apposta una firma falsa della destinataria sul tagliando di ricevuta. Tutto fu monitorato e annotato dagli investigatori che ormai erano da giorni addosso al gruppo Borromeo con pedinamenti ed intercettazioni (Nella foto, Giovanni Borromeo).

Nella frenesia di ottenere i titoli di proprietà del chiosco e le licenze (che, tuttavia, non sarebbero mai state riconosciute all’eventuale nuovo detentore senza richiesta al Comune e successiva approvazione), Donato Borromeo abbandona ogni prudenza. Il pressing da parte sua, del fratello, della convivente sulla vittima diventò sempre più serrato. Qui si è manifestato anche pienamente il ruolo di Luca Ferrari, ex marito della vittima, che ne diventa uno dei più assillanti incubi, insistendo in vai modi affinché la fioraia cedesse la titolarità del negozio all’esponente Scu.

Francesco Palma-2Ferrari si fece latore anche di una minaccia di Borromeo: la rimproverò perché si era rivolta ai carabinieri, che avevano convocato alcuni dei personaggi coinvolti in caserma, facendole presente che se così stavano le cose Donato Borromeo l’avrebbe fatta a pezzi. Analoghe minacce ed insulti anche al nuovo compagno della donna. L’ex marito della vittima l’1 luglio giunse anche a telefonarle per informarla che aveva apposto la firma della fioraia su un atto di cessione a Borromeo dell’attività commerciale, sfidandola a dimostrare che quella sigla non era la sua (Nella foto, Francesco Palma).

Tutte queste circostanze, per il gip Annalisa De Benedictis, che ha ricevuto l'indagine dalla Dda, giustificano l’arresto di Donato e Giovanni Borromeo, Francesco Palma, Luca Ferrari e Serena Lorenzo per i reati concorso in tentata estorsione e rapina pluriaggravate, lesioni personali aggravate, sottrazione e soppressione di corrispondenza e falso ideologico, commessi con il vincolo associativo di stampo mafioso. Per Schirinzi si procederà a piede libero.

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