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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Fasano

Falso attentato, il maresciallo si rimangia tutte le accuse ai colleghi

BRINDISI – Falso attentato ai carabinieri, il maresciallo Vito Maniscalchi ritratta a 360 gradi. “Tutto ciò che ho dichiarato sia nelle spontanee dichiarazioni, sia nel corso dell’incidente probatorio, non era la verità. L’ho fatto per uscire dal carcere, per poter ritornare dai miei familiari”. Continua a sorprendere il sottufficiale dell’Arma, da un mese e mezzo agli arresti domiciliari perché accusato di essersi appropriato con un collega di alcuni salami durante una perquisizione.

BRINDISI – Falso attentato ai carabinieri, il maresciallo Vito Maniscalchi ritratta a 360 gradi. “Tutto ciò che ho dichiarato sia nelle spontanee dichiarazioni, sia nel corso dell’incidente probatorio, non era la verità. L’ho fatto per uscire dal carcere, per poter ritornare dai miei familiari”. Continua a sorprendere il sottufficiale dell’Arma, da un mese e mezzo agli arresti domiciliari perché accusato di essersi appropriato con un collega di alcuni salami durante una perquisizione.

Nella precedente udienza non aveva potuto essere sottoposto al controesame del pubblico ministero Raffaele Casto perché il difensore di fiducia Giancarlo Chiariello aveva rinunciato all’incarico. Oggi si è presentato con il suo nuovo legale, Salvatore Arnesano. Ed ha tirato colpi a destra e a manca. “Ho raccontato quello che era necessario perché fossi credibile – ha detto Maniscalchi -. Dopo avere rilasciato le spontanee dichiarazioni andai di corsa dal capitano Delli Santi e dal tenente Favoino e dissi loro che li avevo accusati per uscire dal carcere, perché non ce la facevo più a stare lontano dalla mia famiglia. Il capitano mi abbracciò e mi disse che avevo fatto bene”.

Il processo riguarda una serie di reati che vengono contestati a otto carabinieri: il colonnello Costantino Squeo, comandante provinciale, il capitano Cosimo Delli Santi, il tenente Vincenzo Favoino, i marescialli Gioacchino Bonomo, Stefano De Masi e Denis Michelini, gli appuntati Vito Bulzacchelli e Fabrizio Buzzetta, tutti all’epoca dei fatti (era la primavera del 2004), in servizio presso la compagnia di Fasano. Imputato anche Marvin Strazimiri, albenese, confidente dei carabinieri. Parti civili Carmelo Vasta e Maria Loparco, conviventi ostunesi, arrestati la notte del 6 marzo 2004, quando, sempre stando all’accusa, i carabinieri, servendosi di Strazimiri, portarono due bombe a mano nella loro casa, a Ostuni.

La vicenda parte da un presunto attentato dinamitardo che Carmelo Vasta – stando alla ricostruzione fatta dai carabinieri che poi vengono arrestati (tutti tranne Squeo, a piede libero) – intende fare al maresciallo Maniscalchi su incarico di Maria Loparco perché il carabiniere sta ficcando troppo il naso dei suoi affari. Vasta si rivolge a Strazimiri per avere due bombe. Gliele paga 500 euro e si mette d’accordo sulla consegna. Ma Strazimiri è anche confidente del maresciallo Maniscalchi. E così lo avvisa. E i carabinieri organizzano il blitz per neutralizzare l’attacco al maresciallo, che sarebbe dovuto avvenire per strada, mentre sulla sua vettura raggiungeva la compagnia carabinieri di Fasano.

Il blitz viene pianificato, presente il comandante provinciale Squeo, Delli Santi, comandante della compagnia,  e Favoino, comandante del Nucleo operativo. Si fa irruzione nella casa di Loparco e Vasta, vengono trovate le bombe, scattano gli arresti. Ma questo sarà l’inizio della fine per i carabinieri. Il sostituto procuratore Antonio Negro avvia l’inchiesta  perché Marvin Strazimiri, al quale era stato promesso un programma di protezione, dopo due mesi è ancora rinchiuso in carcere. E decide di dire la sua verità,  accusando i carabinieri di avere forzato la mano. Nel mese di gennaio 2005 vengono arrestati il capitano, il tenente e cinque carabinieri. Le accuse sono di detenzione e porto abusivo di armi, arresto abusivo di Loparco e Vasta, falsificazione di verbali.

La questione delle armi è fondamentale in questo processo. A proposito delle armi va detto che il 12 febbraio del 2004, un mese prima della scoperta del piano di far saltare in aria Maniscalchi, la polizia di Ostuni in una intercettazione ambientale sulla vettura di un pregiudicato viene a sapere dell’esistenza di queste bombe. A quanto pare, però, nessuno si dà da fare per localizzarle e sequestrarle. Questo è emerso nell’interrogatorio di qualche tempo fa del sostituto commissario che stava effettuando le intercettazioni.

Questa mattina il primo colpo di scena c’è stato quando Maniscalchi ha parlato della pistola che sarebbe stata portata a spasso dai carabinieri assieme a Strazimiri. “Era una pistola giocattolo”, ha detto il sottufficiale. “Ma quando ha rilasciato dichiarazioni spontanee – ha replicato il pubblico ministero Raffaele Casto – ha detto che era un’arma vera, perfettamente funzionante, abrasa, con cartucce e caricatore”. “Non era così – ha replicato – era una pistola giocattolo”.

L’interrogatorio è proseguito sulle spontanee dichiarazioni. “Tutte inventate – ha ribadito Maniscalchi -. Ho detto quello che i magistrati volevano sapere perché volevo uscire dal carcere”. E in effetti ottiene i domiciliari. Cinque giorni dopo viene sottoposto a incidente probatorio. “Perché non ha ritratto?” chiede il pm. “Perché il dott. Negro – replica Maniscalchi – mi aveva detto di parlare della pistola”. L’udienza si è chiusa attorno alle 16.

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