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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Fasano

Un omicidio, un processo e mille paradossi: e la vedova si scusa con l'imputato

Per quale ragione un processo per omicidio si trasforma in una commedia dell'assurdo? Come è possibile che vi siano tante discrepanze tra le testimonianze rese in fase di indagine e quelle invece acquisite a dibattimento? Differenze sostanziali

FASANO - Per quale ragione un processo per omicidio si trasforma in una commedia dell’assurdo? Come è possibile che vi siano tante discrepanze tra le testimonianze rese in fase di indagine e quelle invece acquisite a dibattimento? Differenze sostanziali anche tra quanto dichiarato dall’imputato nell’interrogatorio davanti al gip e poi oggi in aula, dinanzi alla Corte d’Assise. Per quale motivo la vedova di un anziano che è deceduto, e sembra che sia morto per i traumi riportati in seguito a uno schiaffo o una spinta data per una seggiola contesa al bar, finisce per chiedere scusa al presunto omicida, affermando "non volevo arrivare fino a questo punto"?

Una spiegazione ci sarà, e toccherà ai giudici togati e popolari esprimersi su tutto, sugli eventi e sugli eventuali retroscena. Sta di fatto che tra verità affermate, rettificate, in alcuni casi del tutto negate, sul dramma di Vito Trisciuzzi, 75 enne morto in ospedale il 26 giugno del 2013, 15 giorni dopo l’episodio che ne aveva reso necessario il ricovero, ci si ritrova al cospetto di un dilemma a tratti amletico.

Domenico GiannoccaroSecondo l’accusa, sostenuta dal pm Milto Stefano De Nozza, Trisciuzzi, detto Tuccidd, cadde a terra dopo uno schiaffo “violento”, così lo definirono i testimoni ascoltati dai carabinieri, e morì al Perrino di Brindisi dopo aver sibilato il nome dell’uomo che glielo aveva inferto, per una seggiola contesa, dinanzi al Tam Bar di Fasano: “E’ stato Scopizz” avrebbe detto alla moglie. Scopizz, al secolo, è Domenico Giannoccaro, 72enne di Fasano (difeso dagli avvocati Italo Gentile e Caterina Anglani), ora imputato per omicidio preterintenzionale.

L’unica ricostruzione che ha retto al fuoco di fila di domande di pm, avvocati e dei giudici togati della Corte d’Assise (Domenico Cucchiara e Giuseppe Biondi) è quella del consulente dell’accusa, Antonio Carusi, che sarà probabilmente determinante per appurare (processualmente), al di là di ogni ragionevole dubbio, cosa sia realmente successo l’11 giugno 2013 in via Dante.

E soprattutto a far sì che la condotta dell’imputato, che sicuramente e per propria ammissione ha colpito la vittima, possa essere qualificata nel modo più corretto: dolo (per lo meno nelle lesioni, che poi hanno condotto alla morte della vittima, e non certo nell’omicidio) o colpa? A decidere sarà la sussistenza o meno di un “nesso di causalità”, una sorta di rapporto causa effetto che per il medico e per l’accusa c’è tutto.

Andiamo con ordine e partiamo dai fatti su cui non ci sono dubbi di sorta. Giannoccaro e Trisciuzzi, entrambi ultrasettantenni con capacità deambulatorie limitate, si incontrano al Tam Bar di via Dante. Ci sono diverse persone sedute ai tavolini. E c’è una sola seggiola libera. Tutti e due, contemporaneamente, la raggiungono da due uscite diverse dello stesso locale. Afferrano la seggiola ognuno per un manico e se la contendono. Qualcuno dice che Trisciuzzi stesse per sedersi e che Giannoccaro gliel’abbia sfilata. Altri, naturalmente tra quanti sono stati ascoltati dagli investigatori prima e in aula oggi, parlano di una sorta di competizione allo scopo di tirarsi via dalle mani l’agognata sedia.

A questo punto intervengono le diverse versioni del racconto. Nei verbali si parla di schiaffo violento inferto da Giannoccaro a Trisciuzzi, schiaffo che lo avrebbe fatto precipitare per terra di spalle, provocandone la frattura al femore e rendendo indispensabile l’intervento di un ambulanza. Palmo destro contro guancia sinistra. Su questo, almeno, tutti concordano. “E’ partita la mano” dicono però in aula coloro che hanno assistito alla scena. “Non volevo dargli uno schiaffo, non ho mai picchiato nessuno” ripete come un ritornello l’imputato, anch’egli sentito da pm, legali e giudici. Ritiene di avere colpito “Tuccidd” all’addome o al massimo al torace. I testimoni avevano invece spiegato, tutti, di aver visto uno schiaffo. “Involontario”, sì, specificano, ma comunque diretto al volto. E non con il dorso della mano.

Il sostituto procuratore Milto De Nozza Arriva il momento della deposizione del medico legale che non ha effettuato l’autopsia ma ha analizzato le cartelle cliniche. Non c’è altra spiegazione per Carusi. Le conseguenze rilevate al cervello non sono compatibili con altra ipotesi che un trauma: le emorragie che poi ne hanno provocato la morte, pure. Non vi sarebbe terapia medica ammissibile, neppure l’utilizzo di eparina, sostanza che serve a fluidificare il sangue, che ha effetto dopo una ventina di giorni dall’inizio della terapia.

Insomma, Trisciuzzi, ricoverato per una frattura al femore, muore per una emorragia cerebrale. Se non c’è colpa medica – dice l’accusa -  se non vi sono eventi che si sono frapposti tra il “diverbio” per la seggiola e il decesso, allora sembrerebbe non vi sia altra spiegazione: “schiaffo mortale”. Qualcuno insomma, avrebbe mentito. Prima, in fase di ricostruzione. Dopo, a processo. 

Tal è la realtà così come è stata rappresentata oggi. Il 27 maggio prossimo saranno ascoltati i testi citati dalla difesa, tra cui ve ne sarà certamente una molto importante per stabilire tutti i risvolti, anche quelli latenti, di una storia senza dubbio molto triste per tutti coloro che ne sono coinvolti.

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