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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Ferito a martellate e sepolto vivo, aumentata la pena all'amico che lo tradì

ORIA - Percosso, seviziato e sepolto vivo dal branco a 17 anni. Pena aggravata per uno dei tre presunti assassini, condannato in primo a grado a 16 anni per omicidio volontario e occultamento di cadavere, è stato condannato questa mattina a 17 anni di carcere. L’oritano Luigi Caffa che oggi ha 25 anni, faceva parte del commando che uccise, a furia di martellate, il giovanissimo Joseph De Stradis. Era il 20 aprile 2004. Sei anni dopo, arriva la risposta al ricorso del procuratore generale di Taranto, Ciro Saltalamacchia, che aveva chiesto una condanna a vent’anni, con il riconoscimento a carico dell’imputato del reato di sequestro di persona.

ORIA - Percosso, seviziato e sepolto vivo dal branco a 17 anni. Pena aggravata per uno dei tre presunti assassini, condannato in primo a grado a 16 anni per omicidio volontario e occultamento di cadavere, è stato condannato questa mattina a 17 anni di carcere. L’oritano Luigi Caffa che oggi ha 25 anni, faceva parte del commando che uccise, a furia di martellate, il giovanissimo Joseph De Stradis. Era il 20 aprile 2004. Sei anni dopo, arriva la risposta al ricorso del procuratore generale di Taranto, Ciro Saltalamacchia, che aveva chiesto una condanna a vent’anni, con il riconoscimento a carico dell’imputato del reato di sequestro di persona.

Fu Joe, “eroe gentile” come lo chiamò la sua mamma, che diede ad una amica fatta oggetto di attenzioni impronunciabili da parte di un uomo troppo più vecchio di lei, il coraggio di denunciare. Il 61enne Francesco Fullone non gliela perdonò, e tramò la più oscena delle vendette. Con la complicità del migliore amico di Joe, Luigi Caffa che all’epoca aveva vent’anni, e di un altro ragazzino allora minorenne, lo attirò in un tranello. De Stradis fu percosso, seviziato e infine ucciso, a colpi di martello. Poi sepolto, nella sabbia di Torre Borraco, in provincia di Manduria, mentre respirava ancora. Lo avrebbe svelato il medico legale. Joe morì per soffocamento, come la piccola Sarah Scazzi. Tali e tante similitudini nei due delitti che Anna De Stradis, la mamma di Joe, ha scritto attraverso queste pagine a Concetta Serrano, offrendole la propria vicinanza nel dolore.

Un delitto di rara efferatezza, che seppe per questo e per la pietà verso quel ragazzino coraggioso, catalizzare l’attenzione di tutta l’Italia. Tutti, avrebbero dimenticato troppo presto, tranne chi avrebbe avuto la ventura di sopravvivere, malgrado tutto, al dolore. Assistendo inerme ai complicati, spesso incomprensibili, percorsi della giustizia italiana. Fullone è stato condannato all’ergastolo in primo grado, a trent’anni in appello, è l’unico dei tre che non ha mai lasciato il carcere. Il minorenne che gli prestò il fianco fu processato con rito abbreviato e condannato a 12 anni, con identiche accuse: omicidio volontario e occultamento di cadavere, sentenza confermata in appello.  E’ tornato in libertà alla vigilia della scadenza dei termini di custodia cautelare, e attende le motivazioni del giudizio di secondo grado che ha confermato la prima condanna, per presentare ricorso in Cassazione.

Il terzo uomo, quel Luigi Caffa che all’epoca aveva vent’anni,  scelse anche lui il rito abbreviato, guadagnando lo sconto di pena di un terzo. La sentenza per lui sarebbe arrivata il 31 ottobre 2005, fu condannato a sedici anni, ma nel frattempo, sulla scorta della liberazione del minorenne, anche lui aveva lasciato il carcere per decisione del gup. Il giudizio d’appello a carico di Caffa non lo riporterà in carcere, fino al pronunciamento della Cassazione, così vuole la legge dello Stato italiano.

Incomprensibile per chi, come la mamma di Joe, Anna De Stradis, da troppo tempo chiede giustizia, invano. A proposito di quel ragazzo di vent’anni, Luigi Caffa che aveva accolto tante volte in casa, Anna De Stradis aveva scritto a BrindisiReport parole gravide di rabbia e d’angoscia: “Era il migliore amico di mio figlio. Dopo tanti anni, ancora mi chiedo come abbia potuto. Quando Caffa rimase orfano del padre, mio figlio non sapeva più cosa fare per lui, per stargli vicino.  Gli avevo chiesto un colloquio, volevo sapere da lui per quale motivo, per quale assurda ragione mio figlio avesse perso la vita, volevo sapere la verità, ma lui non ha mai accolto la mia richiesta, non lo ha mai voluto”.

“Mio figlio non tornerà mai più a casa”, aveva scritto ancora Anna De Stradis nella sua missiva, “lo so. Ma voglio giustizia. E’ troppo chiedere alla magistratura italiana di fare in modo che i colpevoli della morte di mio figlio, scontino le loro pene in carcere? E’ troppo chiedere che soffrano, almeno della privazione della libertà, come sto soffrendo io da sei anni? Non mi darò pace, finchè giustizia non sarà fatta”.

Sofferenza senza rassegnazione possibile. Sei anni di notti insonni, di morte nel cuore, “siamo morti in quattro, insieme a Joe”, di sonniferi, per cacciare dalla mente la scena dell’assassinio, che ossessivamente ritorna, senza requie. Sei anni, persino, di sensi di colpa, “non sono stata capace di difendere il mio Joe, il mio bambino, quando lui aveva bisogno di me”.

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