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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca Fasano

Finto attentato ai carabinieri, sei anni al capitano e 5 e mezzo al tenente

FASANO - A sei anni dal blitz che decimò la caserma dei carabinieri di Fasano, arriva il primo conto della giustizia per i militari che inscenarono, secondo le accuse, il falso attentato al fine di meritarsi onori e gloria mediatica. Il totale delle pene inflitte dal collegio difensivo presieduto dal giudice Gabriele Perna, fa 26 anni diviso sei imputati, ma il conto più salato è stato presentato proprio a carico dell’allora capitano della compagnia fasanese, Cosimo Damiano Delli Santi, condannato a sei anni (il pm aveva chiesto la condanna a sette anni e nove mesi). Per la stessa vicenda il tenente dei carabinieri Vincenzo Favoino è stato condannato a cinque anni e sei mesi (6 anni e tre mesi la pena richiesta), condanna a cinque anni per il maresciallo Vito Maniscalchi (richiesta 6 anni e tre mesi), 3 anni ciascuno per il maresciallo Gioacchino Bonomo e Stefano De Masi.

FASANO - A sei anni dal blitz che decimò la caserma dei carabinieri di Fasano, arriva il primo conto della giustizia per i militari che inscenarono, secondo le accuse, il falso attentato al fine di meritarsi onori e gloria mediatica. Il totale delle pene inflitte dal collegio difensivo presieduto dal giudice Gabriele Perna, fa 26 anni diviso sei imputati, ma il conto più salato è stato presentato proprio a carico dell’allora capitano della compagnia fasanese, Cosimo Damiano Delli Santi, condannato a sei anni (il pm aveva chiesto la condanna a sette anni e nove mesi). Per la stessa vicenda il tenente dei carabinieri Vincenzo Favoino è stato condannato a cinque anni e sei mesi (6 anni e tre mesi la pena richiesta), condanna a cinque anni per il maresciallo Vito Maniscalchi (richiesta 6 anni e tre mesi), 3 anni ciascuno per il maresciallo Gioacchino Bonomo e Stefano De Masi.

Ufficiali e sottufficiali sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Assolti invece il maresciallo Denis Michelini e gli appuntati Vito Bulzacchelli e Fabrizio Buzzetta, imputati solo di falso ideologico e arresto illegale (difesi dagli avvocati Cosimo Lodeserto, Francesco Gentile, Ferruccio Mariani e Domenico Gargano). Per l’albanese Marvin Strazimiri, testimone chiave e imputato in uno, la condanna è di tre anni e sei mesi (il pm aveva chiesto la condanna a cinque anni).  L’accusa, fatta eccezione per Michelini, Bulzacchelli e Buzzetta, è di detenzione e porto abusivo di armi, false verbalizzazioni e arresto arbitrario della coppia di ostunesi.

Di contro, fa sensazione che lo stesso collegio abbia assolto l’unico uomo dal curriculum navigato, militante nelle schiere opposte: l’ostunese Carmelo Vasta, accusato inizialmente di detenzione illegale di armi. Vasta, insieme alla moglie Maria Loparco, nel processo figurava anche in qualità di parte civile. A favore della coppia, rappresentata dall’avvocato Gianvito Lillo, il collegio giudicante ha disposto il pagamento di una provvisionale di 10mila euro a testa, oltre al pagamento delle spese legali e processuali.

Tutto ebbe inizio all’alba del 6 marzo 2004 quando  i carabinieri fecero irruzione nell’abitazione di Vasta e Loparco e trovarono due bombe a mano di fabbricazione russa. Quegli stessi ordigni che, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri imputati,  Vasta e  Loparco avevano appena ricevuto dalle mani di Marvin Strazimiri, pregiudicato albanese trapiantato a Carovigno. Le bombe, avevano sostenuto i carabinieri, sarebbero servite alla Loparco e a Vasto per attentare alla vita di Maniscalchi perché da qualche tempo il sottufficiale, troppo zelante nello svolgere il suo lavoro, intralciava i traffici illegali cui si dedicava la coppia. La soffiata l’aveva avuta lo stesso Maniscalchi il pomeriggio precedente l’arresto dei due. L’albanese, confidente del sottufficiale, aveva detto che avrebbe dovuto consegnare le bombe la notte. Maniscalchi si rivolse ai suoi superiori.

Strazimiri fu portato in un albergo per essere messo sotto protezione. Aveva dichiarato di voler diventare un collaboratore e gli era stato garantito che avrebbe ottenuto il programma di protezione per lui e per la sua compagna. Quando l’albanese capì che era rimasto lui stesso incastrato in un tranello, si rivolse al pm Antonio Negro e svelò il piano a studiato a tavolino. Fu allora che scattarono le manette ai polsi dei militari, con tutto quel che ne è conseguito. Il verdetto di primo grado non chiude la partita, il collegio difensivo si prepara alla battaglia in appello.

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