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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Fiumi di droga sotto il controllo di tre clan: i retroscena dell'operazione Uragano

"Compa…ora spacchiamo Brindisi". Jury Rosafio ha proferito questa frase a Vincenzo D'Ignazio, durante i preparativi di un viaggio a Maniago (Pordenone) per l'approvvigionamento di 552 grammi di cocaina. Quella conversazione, secondo gli inquirenti, esprimeva l'aspirazione di esercitare un dominio assoluto sulle attività illecite che si svolgevano a Brindisi

BRINDISI – “ Compa…ora spacchiamo Brindisi”. Jury Rosafio ha proferito questa frase a Vincenzo D’Ignazio, durante i preparativi di un viaggio a Maniago (Pordenone) per l’approvvigionamento di 552 grammi di cocaina. Quella conversazione, secondo gli inquirenti, era emblematica dell’aspirazione nutrita da una delle presunte associazioni dedite al traffico di droga sgominate quest’oggi nell’ambito dell’operazione “Uragano”: quella di esercitare un dominio assoluto sulle attività illecite che si svolgevano a Brindisi. Chi  agiva senza il consenso del clan (come accaduto a due brindisini che il 31 dicembre 2011 rapinarono una tabaccheria di Tuturano) veniva duramente rimproverato. Chi era in ritardo con i pagamenti riguardanti le forniture di sostanza stupefacente, veniva minacciato e in un caso anche costretto a consegnare la propria auto al sodalizio, a titolo di saldo rispetto all’importo dovuto.  

Fiumi di cocaina, hascisc, eroina, e cocaina che scorrevano fra Brindisi e San Pietro Vernotico, con affluenti anche a Oria e nel nord del Salento, erano sotto il controllo di tre presunte organizzazioni criminali con base a San Pietro e nel Comune capoluogo. Grazie a un’imponente mole di intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte fra il gennaio del 2011 e il settembre del 2013, oltre a una fitta rete di pedinamenti, i militari della guardia di finanza del comando provinciale di Brindisi hanno arrestato 43 persone che a vario titolo si sono rese responsabili di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti ed estorsione.

Le indagini, condotte dalle fiamme gialle del nucleo di Polizia tributaria al comando del maggiore Giuseppe Maniglio, sono state coordinate da sostituto procuratore aggiunto della Dda di Lecce Alessio Coccioli, e dal sostituto procuratore di Brindisi Nicolangelo Ghizzardi. Quarantaquattro persone (di cui una irreperibile) sono state raggiunte dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Lecce Simona Panzera. Per 29 di loro è stato disposto il carcere. Gli altri sono reclusi in regime di domiciliari. Poi ci sono undici persone indagate a piede libero. 

La figura di spicco è quella di Raffaele Renna, 36 anni, detto Puffo, di San Pietro Vernotico, ritenuto il capo della frangia sanpietrana della Scu, Raffaele Renna detto Puffo-2affiliato al boss Francesco Campana. Anche dalla casa circondariale di Castrovillari (Cosenza), in cui si trova ristretto dal 27 settembre del 2011, Penna riusciva a impartire ordini ai suoi uomini, regolando i rapporti con gli alleati di Brindisi. Qui, da quanto appurato dagli investigatori, agivano due clan: uno retto da Cosimo D’Alema (detto Mino e Macello), 48 anni, Jury Rosafio, 38 anni, e Vincenzo D’Ignazio, 37 anni; l’altro che faceva riferimento alla famiglia Baglivo, con a capo Andrea Baglivo, 50 anni, e suo figlio Michele, 28 anni (nella foto a destra, Raffaele Renna). 

Il gruppo dominante era quello dei sampietrani. Da quanto emerge nell’ordinanza, si seguivano consolidati canali di rifornimento: Renna riforniva di eroina i Baglivo; gli stessi Baglivo procuravano a Renna la cocaina; D’Alema, Rosafio e D’Ignazio acquistavano la droga pesante da Renna e vendevano cocaina ai Baglivo. Il primo a finire nella lente dei finanzieri è stato Rosafio, il cui nome compariva in alcune conversazioni fra un esponente di spicco della Scu leccese, Leandro Luggeri, detenuto nella casa circondariale di Lecce, e la convivente. Nel corso di un colloquio in carcere, alla donna venne impartita la direttiva di rivolgersi a Rosafio per procurarsi la droga a Brindisi. I militari quindi iniziarono a intercettare Rosafio, giungendo presto sulle tracce dei suoi sodali. 

Tutti e tre i clan avevano “una struttura piramidale”, come asserito dal procuratore capo della Dda di Lecce, Cataldo Motta, durante la conferenza stampa svoltasi stamani presso il comando provinciale di Brindisi della guardia di finanza. 

Danilo Versienti-2IL CLAN RENNA- A San Pietro, era Puffo, secondo gli investigatori, a dettare legge, coadiuvato, nei periodi di detenzione, da Danilo Versienti e Maurizio Screti. A questi si aggiungono Sebastiano Esposito, Daniele Leuzzi e Marco Asuni, che da quanto appurato dagli inquirenti si occupavano di spaccio. Un ruolo chiave era rivestito anche da Maria Carmela Rubini, zia di Renna, che faceva da cassiera e da portavoce degli ordini impartiti dal carcere, da Pamela Fortunato, compagna di Renna, e da Lidia Gialluisi, compagna di Danilo Versienti. Fra i fornitori di Renna figurano i nomi di Giuseppe Perrone, detto “Barabba”, Andrea Gubello e Giuseppe Marra (nella foto a sinistra, Danilo Versienti). 

Le donne, come già emerso in occasione di altri procedimenti della Dda, giocavano un ruolo attivo. Basti pensare che Pamela Fortunato accompagnò Raffaele Renna in un viaggio verso Pescara durante il quale, secondo gli investigatori, vennero trasportati 25 chilogrammi di marijuana. Il compito affidato alla donna, in particolare, sarebbe stato quello di intrattenere contatti telefonici con Lidia Gialluisi, che viaggiava in un’auto di staffetta, per non destare sospetti in caso di controlli. La Fortunato era anche incaricata di raccogliere il denaro incassato dai sodali come provento di spaccio. “Mi spiego, Pamé - dice Renna alla compagna durante un colloquio in carcere -  man mano che li porta, fino ad arrivare a un Maurizio Screti-2ammontare di 7mila euro, ti devono dare 4. Digli che Raffaele 600 te ne sta togliendo”. 

Quando finì in carcere, Renna affidò la gestione degli affari a Screti e Versienti. Il primo, però, ebbe qualche delega in più rispetto al secondo. Questo provocò delle incomprensioni. Durante uno sfogo con un sodale, Versienti, in riferimento a Screti, afferma: “E’ un ragazzo, bisogna che gli stacchi un poco le ali”. E poi ancora: “Nessuno lo può vedere, nessuno lo può vedere…tutti gli amici di Raffaele, anche quelli di Torchiarolo”. Ma dopo l’arresto del boss, scattò una sorta di gara di solidarietà fra i suoi sottoposti. Daniele Leuzzi, ad esempio, esaltò la figura di Renna, unica persona corsa in suo aiuto al momento della necessità. “Quando mi hanno arrestato – afferma Leuzzi nel corso di una conversazione – nessuno è passato da casa. E quando ero ai domiciliari è venuto una volta Raffaele”. (Nella foto a destra, Maurizio Screti)

IL CLAN D'ALEMA, ROSAFIO, D'IGNAZIO - Versienti, nella spartizione dei ruoli, era stato incaricato di Cosimo D'Alema-2seguire i rapporti con il brindisino Cosimo D’Alema. Quest’ultimo, come detto, guidava insieme a Jury Rosafio e a Vincenzo D’Ignazio una delle due organizzazioni brindisine individuate dagli investigatori. Al loro fianco, con ruoli subalterni, c’erano: Letterio D’Alema, detto “Lillo”, Maurizio Andriani, Rosario Vitali, detto Piero, Vincenzo Palma, detto Paparella, Andrea Sgura e Luigi Iurlo. D’Alema e Rosafio erano in contatto con un brindisino residente a Maniago (Pordenone): il 37enne Cristian Quarta. Questi, tra ottobre e gennaio del 2012, avrebbe fatto da intermediario fra il sodalizio brindisino e un albanese dedito allo spaccio di droga residente in provincia di Pordenone, il 35enne Ortis Banda. (Nella foto a sinistra, Cosimo D'Alema)

Rosafio, come accertato dagli inquirenti, si recò tre volte in Friuli per organizzare la spedizione di 550 grammi di cocaina e “prendere esclusivi contatti con Ortis ed altri soggetti interessati”. Quando tutti i dettagli vengono messi a punto, il compito di fare da corriere viene affidato al brindisino Leonardo Monaco, che il 27 gennaio 2011 arriva a Portogruaro (Venezia) e prende a noleggio una Fiat Grande Punto. Dopo aver caricato la droga in macchina, Monaco riparte subito alla volta di Brindisi. Ma i finanzieri tengono sotto controllo il suo telefono. Arrivato all’altezza di Torre Canne, il brindisino si ferma in un distributore di benzina per fare rifornimento. Una pattuglia lo sottopone a un controllo, sequestrando la droga. Monaco viene arrestato in flagranza di reato. Si pone allora il problema di sostenere le spese legali. E qui scatta la solidarietà fra sodali. E’ Rosafio a pagare il legale di Monaco, attingendo dalla cassa del sodalizio. “Ohu – dice Rosafio durante una conversazione – a Fasano hanno preso il Jury ROsafio-3ragazzo. Ora quelli…l’avvocato…20mila euro sotto me ne sono andato”. (Nella foto a destra, Jury Rosafio)

I componenti del clan facevano fronte comune anche quando c’era da recuperare dei crediti. Ne sa qualcosa Alfredo Zecca, considerato dagli inquirenti uno dei “clienti più affidabili dell’organizzazione per ciò che riguarda il pagamento delle sostanze stupefacenti cedutegli”. Ma il 20 gennaio del 2012, quando Zecca restituì al mittente della “merce” acquisita qualche giorno prima, ritenendola di qualità estremamente scadente, D’Ignazio andò su tutte le furie. “Ora ti ammazzo proprio – disse D’Ignazio in riferimento a Zecca, durante una conversazione con un sodale – 1400 euro sono buttati là sopra”. Lo stesso Rosafio diede dimostrazione di “determinazione e pericolosità”, quando nel gennaio del 2012 “si dichiarò disponibile ad organizzare una sorta di spedizione punitiva nei confronti di una persona che tardava a pagare quanto dovuto". (Nella foto a destra, Jury Rosafio)

“Allora – dice Rosafio all’esponente di un altro clan brindisino – digli a tuo figlio stasera non ci sono, ma anche domani di farsi trovare pronto qua e andiamo insieme a lui. Vediamo se si tratta di quello e me la vedo io, me la vedo. Così gli diamo mazzate. Gli diamo un ultimatum e gli diamo tutte le cose”. 

Vincenzo D'Ignazio-2Restando in tema di recupero crediti, però, non sempre tutto filava via liscio nelle dinamiche fra i clan. Cosimo D’Alema, infatti, nell’estate del 2011 ricevette delle richieste estorsive direttamente da Puffo. Il motivo? Un debito pari a 3mila euro contratto per delle forniture di droga, che non riusciva ad estinguere. In questa vicenda venne coinvolto anche Danilo Versienti, con il quale D’Alema, in più occasioni, si incontrò presso una palestra situata sull’ex strada statale 16 per discutere di “affari”. E fu lo stesso D’Alema, nel corso di uno di questi incontri, a riferire delle minacce ricevute da Renna. “E l’altro giorno mi ha fatto un cazziatone Raffaele – afferma D’Alema – io ieri non ho avuto tempo a dirglielo perché non lo potevi guardare, ti mangiava….infame ti devo sparare (è quanto Renna avrebbe detto a D’Alema, ndr) statti zitto, che mi diede pure schiaffoni”. Con i brindisini, del resto, Puffo pare avesse un credito di circa 22mila euro, da quanto asserito da Versienti. Alla fine, dopo ulteriori minacce, D’Alema fu costretto a cedere la sua auto a titolo di acconto. “Mi devi portare la macchina sa oggi – gli disse Versienti, che riscosse il credito per conto di Puffo – oggi la macchina mi devi portare”. (Nella foto a sinistra, Vincenzo D'Ignazio)

IL CLAN BAGLIVO - Renna, insomma, aveva un ruolo preponderante sui brindisini. Non solo nei confronti del clan riconducibile a D’Alema, Rosafio Andrea Baglivo-4e D’Ignazio, ma anche nei confronti della famiglia Baglivo. Al vertice di quest’ultima associazione, secondo gli inquirenti, c’era Andrea Baglivo, “che curava la gestione dei rapporti con la maggior parte dei fornitori di sostanza stupefacente ed anche impegnato nell’attività di spaccio al minuto realizzata esclusivamente presso la sua abitazione di residenza”. Sullo stesso gradino c’era il figlio Michele, “coinvolto in prima persona in alcune importanti attività di approvvigionamento e responsabile diretto sia dell’attività di spaccio che del recupero crediti”. Intorno a padre e figlio gravitavano altri membri della famiglia: Maurizio Baglivo (fratello di Andrea), Consiglia Baglivo (sorella di Andrea e Maurizio), Marco Baglivo (figlio di Maurizio),  Rita Ferrari (moglie di Andrea), Tania Carriero (moglie di Michele Baglivo). E poi erano coinvolti negli affari dei Baglivo: Teresa Quinto (moglie di Marco Baglivo), Cristina Palano (legata da vincolo di parentela a Tania Carriero), Ippazio Zullino, i fratelli Luca e Francesco Spinella ed Emio Longo. (Nella foto a destra, Andrea Baglivo)

Anche fra le file dei Baglivo, le donne ricoprivano un ruolo importante. In alcuni casi si occupavano anche di mantenere i contatti con i fornitori del clan. Fra questi c’era Cosimo Saccomanno, di Oria, che secondo gli inquirenti garantiva uno dei principali canali di rifornimento. 

Era davvero intricata, insomma, la rete di relazioni che intercorreva fra i 55 indagati. Durante le indagini, nove persone sono state arrestate in flagranza di reato. Complessivamente sono stati sequestrati 2,678 chilogrammi di droga, fra cocaina, eroina, metadone, hascisc e marijuana. Operazione Uragano conferma che i clan malavitosi radicati nella provincia di Brindisi hanno bisogno di armonia per poter coltivare i propri interessi. Per questo, il 30 gennaio del 2012, Rosafio si imbestialì con un brindisino che qualche giorno prima aveva assaltato una tabaccheria di Tuturano, insieme a un complice (i due, proprio per quella rapina, vennero arrestati dai poliziotti della Squadra mobile nell’aprile del 2012). Lo sfogo di Rosafio, infatti, “non era dettato dalla volontà di difendere i cittadini di Tuturano, bensì dalla necessità di non richiamare l’attenzione delle forze dell’ordine in un territorio totalmente controllato dall’organizzazione brindisina”.

IL VIDEO DEGLI ARRESTI CON L'AUDIO DELLE INTERCETTAZIONI

I NOMI DEGLI ARRESTATI

Gli indagati in carcere: Raffaele Renna detto “Puffo”, 36 anni, di San Pietro Vernotico; Marco Asuni, 54 anni, di San Pietro Vernotico; Andrea Baglivo, 50 anni, di Brindisi; Consiglia Baglivo, 44 anni, di Brindisi; Michele Baglivo, 28 anni, di Brindisi; Ortis Banda, 35 anni, di Maniago (Pordenone); Roberto Calò, 32 anni, di San Vito dei Normanni; Francesco Convertino, 36 anni, di San Pietro Vernotico; Cosimo D’Alema, 48 anni, di Brindisi; Letterio D’Alema, 38 anni, di Brindisi; Vincenzo D’Ignazio, 37 anni, di Brindisi; Andrea Mitri, 34 anni, di Brindisi; Luigi De Simone, 38 anni, nato a Campi Salentina (Lecce) e residente a Santarcangelo di Romagna (Rimini); Adriano Gialluisi, 31 anni, di San Pietro Vernotico; Andrea Gubello, 33 anni, di Lecce; Emio Longo, 41 anni, di San Pietro Vernotico; Giuseppe Marra, 48 anni, di Brindisi; Cristina Palano, 37 anni, di Brindisi; Cristian Quarta, 37 anni, di San Pietro Vernotico; Jury Rosafio, 38 anni, di Brindisi; Maria Carmela Rubini, 42 anni, di San Pietro Vernotico; Cosimo Saccomanno, 46 anni, di Oria; Antonio Saracino, 39 anni, di San Donaci; Luigi Scarlino, 33 anni, di Gagliano del capo (Lecce); Maurizio Screti, 29 anni, di San Pietro Vernotico; Andrea Sgura, 22 anni di Brindisi; Danilo Versienti, 35 anni, di San Pietro Vernotico; Alfredo Zecca, 29 anni, di Brindisi.

Indagati in regime di domiciliari: Sebastiano Esposito, 37 anni, di San Pietro Vernotico; Daniele Leuzzi, 39 anni, di San Pietro Vernotico; Pamela Fortunato, 28 anni, di San Pietro Vernotico; Alessandro Greco, 37 anni, di San Pietro Vernotico; Alessandro Miglietta; 28 anni, di San Pietro Vernotico; Rosario Vitali, 49 anni, di Brindisi; Rosario Vitali, 49 anni, di Brindisi; Luigi Iurlo, 49 anni, di Brindisi; Vincenzo Palma detto “Paparella”, 37 anni, di Brindisi; Marco Baglivo, 30 anni, di Brindisi; Rita Ferrari, 49 anni, di Brindisi; Tania Carriero, 24 anni, di Brindisi; Maurizio Baglivo, 47 anni, di Brindisi; Francesco Spinella, 37 anni, di Brindisi; Luca Spinella, 37 anni, di Brindisi; Cristina Peluso, 32 anni, di Brindisi. 

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