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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Il procuratore antimafia: ecco come i clan della Scu hanno stipulato la pace e "abissato" i loro affari

BRINDISI – La Sacra Corona si riorganizza. Ai nuovi, per modo di dire perché sono sulla scena da anni, troppi anni, si aggiungono i vecchi, come anzianità malavitosa, che escono dal carcere per fine pena o in permesso. Attorno a queste figure carismatiche della Sacra corona se ne aggregano altre. “Al momento posso affermare – dice il procuratore antimafia Cataldo Motta – che Brindisi è controllata da Raffaele Brandi, da Francesco Campana, da Buccarella e dalla famiglia Fai”.

BRINDISI – La Sacra Corona si riorganizza. Ai nuovi, per modo di dire perché sono sulla scena da anni, troppi anni, si aggiungono i vecchi, come anzianità malavitosa, che escono dal carcere per fine pena o in permesso. Attorno a queste figure carismatiche della Sacra corona se ne aggregano altre. “Al momento posso affermare – dice il procuratore antimafia Cataldo Motta – che Brindisi è controllata da Raffaele Brandi, da Francesco Campana, da Buccarella e dalla famiglia Fai”.

Cataldo Motta parla a margine dell’operazione “Appia” che all’alba di oggi ha portato alla notifica (cinque a persone già detenute) di tredici ordinanze di cattura emesse dal giudice per le indagini preliminari della Distrettuale Nicola Lariccia, su richiesta dei sostituti procuratori Miriam Jacoviello (della Procura di Brindisi) e Alberto Santacatterina (della Direzione distrettuale antimafia di Lecce). I reati contestati sono ad alcuni associazione per delinquere finalizzata al traffico della droga (cocaina e hashish) e ad altri detenzione di sostanze stupefacenti al fine dello spaccio.

Raffaele Brandi è detenuto, assieme ad altri, e sta affrontando il processo Berat Dia, traffico di droga, estorsioni, associazione mafiosa, voto di scambio. Molto legato a Brandi è Giuseppe Gerardi coinvolto nell’operazione antidroga “Appia”, che questa mattina ha portato alla notifica e all’esecuzione di tredici ordinanze di cattura per associazione per delinquere finalizzata al traffico della droga (cinque dei tredici indagati) e detenzione al fine di spaccio per gli altri.

Francesco Campana, mesagnese, è latitante perché deve scontare nove anni di carcere per associazione mafiosa e altro. Di recente (era l’1 luglio), secondo i sospetti dei poliziotti del Commissariato di Mesagne, si è reso responsabile, assieme al fratello Sandro (catturato a fine settembre), di un tentativo di omicidio.  Campana è ritenuto un fedelissimo di Giuseppe Rogoli, fondatore della Scu, pluriergastolano. Secondo gli investigatori la latitanza lo porta a spostarsi tra i territori di Brindisi, Lecce e Taranto.

Buccarella si chiama Salvatore, soprannominato “balla”, è di Tuturano e da anni è rinchiuso in carcere. Anche lui rogoliano di ferro. E’ sottoposto al carcere duro e da tempo sta cercando di poter tornare tra i detenuti comuni. Detenuto anche Giovanni Buccarella, 83 anni, padre di Salvatore. E’ stato sottoposto a fermo qualche mese fa per estorsione. Provvedimento poi trasformato in arresto.

Cosimo Giardino Fai è stato arrestato qualche mese fa assieme a Giovanni  Buccarella. Avevano avviato il taglieggiamento di un’azienda siciliana che sta realizzando un impianto di energia alternativa nelle campagne di Tuturano.  Questo operare assieme di Fai e Buccarella fa ritenere agli investigatori che possa essere stato stretto un patto di ferro tra le due famiglie di Tuturano.

Dice il procuratore Motta: “Ci sono state delle riunioni tra i vari gruppi malavitosi che operano nella zona per decidere la riappacificazione e quindi operare sul territorio senza richiamare l’attenzione delle forze dell’ordine.  A questa pacificazione è interessato anche il gruppo, molto forte, dei Bruno. Questi non hanno interesse su Brindisi, ma hanno interesse ad abissare i loro affari”.

Praticamente a Brindisi è avvenuto la stessa cosa che accadde in Sicilia dopo la cattura di Totò Riina, “u curtu”. Bernardo Provenzano cercò di “abissare”, come dice il procuratore Motta, gli affari della mafia in modo da tranquillizzare l’opinione pubblica dopo lo stragismo di Riina che aveva sconvolto tutti e scatenato una reazione violenta e massiccia dello Stato.

“Questa nuova politica della malavita organizzata brindisina – aggiunge Motta – rende molto più difficile il lavoro investigativo. Agli inizi degli Anni Novanta c’era l’appartenenza ai gruppi. Tutti noi che indagavamo sulla Sacra corona ci eravamo fatti una idea di come i vari gruppi fossero composti. Ipotesi che ci vennero confermate nella stagione dei collaboratori di giustizia dalle dichiarazioni di chi si pentiva”.

“A conferma dell’abissamento – prosegue Motta – posso ricordare che tra Brindisi, Lecce e Taranto, ovvero in tutto il nostro distretto, tra luglio 2009 e giugno 2010 sono state denunciate solo 24/25 estorsioni fatte con metodo mafioso. Numeri così bassi sono ridicoli e irreali, ma confermano che la malavita opera in maniera meno invasiva e meno appariscente. E, come dicevo, per noi diventa molto più difficile individuare i reati. Scoprire il traffico di sostanze stupefacenti è relativamente molto più facile. Si parte dal tossicomane e si scala la piramide. Per i reati mafiosi è molto più difficile”.

“Per questo – conclude Motta – insisto sull’impegno della gente comune. Il silenzio e il tacere aiutano i mafiosi. Noi abbiamo ritenuto che il silenzio e il tacere derivassero dalla paura. Ma a forza di stare zitti si diventa omertosi e si passa dalla parte della mafia. Ricordo la notte in cui furono arrestati Massimo Pasimeni (uno dei pezzi da novanta della Scu; ndr) e la moglie. I vicini di casa uscirono sebbene fossero le 3 del mattino e manifestarono solidarietà ai due, augurando loro di tornare presto a casa. Solidarietà a loro non alle forze dell’ordine che arrestando Pasimeni stavano tutelando i cittadini”.

Motta è preoccupato dell’andazzo. Da soli, senza l’aiuto della gente, le guerre non si vincono. “La mafia locale si sta sostituendo alle banche – dice il procuratore antimafia -. Presta i soldi, la gente si rivolge ai malavitosi per risolvere i problemi. Torno a dire, se tutti denunciassero non ci sarebbero preoccupazioni di sorta”.

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