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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Joe come Sarah, la madre dagli Usa: "Non avranno mai il mio perdono"

BRINDISI - “Gentile redazione, vi scrivo per rivolgervi una preghiera. Permettetemi di fare le mie più sentite condoglianze alla mamma di Sarah. Ho seguito la sua storia di qua, e mi ha toccato il cuore. Mi è sembrato di rivivere la mia con mio figlio”. Da mamma a mamma, da un capo all’altro dell’oceano, da New York alla Puglia. Chi scrive è Anna Ungaro, mamma del giovanissimo Joe De Stradis, ucciso a 17 anni per aver osato difendere una coetanea dalle attenzioni morbose di un uomo troppo più vecchio di lei: una ragazzina di 15 anni appena, l’età della piccola Sarah Scazzi.

BRINDISI - “Gentile redazione, vi scrivo per rivolgervi una preghiera. Permettetemi di fare le mie più sentite condoglianze alla mamma di Sarah. Ho seguito la sua storia di qua, e mi ha toccato il cuore. Mi è sembrato di rivivere la mia con mio figlio”. Da mamma a mamma, da un capo all’altro dell’oceano, da New York alla Puglia. Chi scrive è Anna Ungaro, mamma del giovanissimo Joe De Stradis, ucciso a 17 anni per aver osato difendere una coetanea dalle attenzioni morbose di un uomo troppo più vecchio di lei: una ragazzina di 15 anni appena, l’età della piccola Sarah Scazzi.

L’anziano falegname che la insidiava, Francesco Fullone, di anni ne aveva oltre 60. La stessa età dello zio aguzzino, Michele Misseri. Eterno ritorno dell’orrore, identico a se stesso malgrado il tempo. Trame e destini che si intersecano, azzerando le distanze. Tragedie gemelle, fatta eccezione per l’epilogo: a quanto pare, Sarah non poteva contare su un amico come Joe, e ha pagato da sola il prezzo della propria ribellione.

Sei lunghi anni dopo quel 20 aprile 2004, la tragedia di Avetrana ha rimestato il dolore di Anna De Stradis, aguzzato il ricordo, riaperto le ferite. Dall’area metropolitana di New York, dove vive con il figlio Jonathan, ha seguito la vicenda brano a brano. Ha pianto con mamma Concetta, sorella nel dolore intollerabile di sopravvivere alla morte di un figlio, ed ha trovato la forza di sedersi davanti ad un computer e scrivere, levando la voce per la prima volta dopo tanti anni. Invocando giustizia, per suo figlio, per Sarah, per tutti gli innocenti del mondo.

Fu Joe, “eroe gentile” come lo chiamò la sua mamma, che diede alla bambina fatta oggetto di attenzioni impronunciabili, il coraggio di denunciare. Il vecchio non glielo perdonò, e tramò la più atroce delle vendette. Con la complicità del migliore amico di Joe, Luigi Caffa che all’epoca aveva vent’anni, e di un altro ragazzino, lo attirò in un tranello. Joe fu percosso, seviziato e infine ucciso, a colpi di martello. Poi sepolto, nella sabbia di Torre Borraco, in provincia di Manduria, mentre respirava ancora. Lo avrebbe svelato il medico legale. Joe morì per soffocamento, come Sarah.

Un delitto di rara efferatezza, che seppe per questo e per la pietà verso quel ragazzino coraggioso, catalizzare l’attenzione di tutta l’Italia. Tutti, avrebbero dimenticato troppo presto, tranne chi ha avuto la ventura di sopravvivere, malgrado tutto, al dolore. Assistendo inerme ai complicati, spesso incomprensibili, percorsi della giustizia italiana. Fullone è stato condannato all’ergastolo in primo grado, a trent’anni in appello, è l’unico dei tre che non ha mai lasciato il carcere.

Il minorenne che gli prestò il fianco fu processato con rito abbreviato e condannato a 12 anni, con identiche accuse: omicidio volontario e occultamento di cadavere, sentenza confermata in appello.  E’ tornato in libertà alla vigilia della scadenza dei termini di custodia cautelare, e attende le motivazioni del giudizio di secondo grado che ha confermato la prima condanna, per presentare ricorso in Cassazione.

Il terzo uomo, quel Luigi Caffa che all’epoca aveva vent’anni,  scelse anche lui il rito abbreviato, guadagnando lo sconto di pena di un terzo. La sentenza per lui sarebbe arrivata il 31 ottobre 2005, fu condannato a sedici anni, ma nel frattempo, sulla scorta della liberazione del minorenne, anche lui aveva lasciato il carcere per decisione del gup. Il giudizio d’appello a carico di Caffa deve ancora cominciare: il gup che avrebbe dovuto depositare le motivazioni utili al ricorso entro gennaio 2006, ha assolto ai propri compiti con un ritardo di 44 lunghi mesi. Solo adesso dunque, il pm Ciro Saltalamacchia ha potuto presentare richiesta d’appello.

Scrive Anna De Stradis, a proposito di quel ragazzo di vent’anni che aveva accolto tante volte in casa: “Era il migliore amico di mio figlio. Dopo tanti anni, ancora mi chiedo come abbia potuto. Quando Caffa rimase orfano del padre, mio figlio non sapeva più cosa fare per lui, per stargli vicino. Gli avevo chiesto un colloquio, volevo sapere da lui per quale motivo, per quale assurda ragione mio figlio avesse perso la vita, volevo sapere la verità, ma lui non ha mai accolto la mia richiesta, non lo ha mai voluto”.

“Mio figlio non tornerà mai più a casa”, prosegue Anna De Stradis, in un crescendo di rabbia e di dolore, “lo so. Ma voglio giustizia. E’ troppo chiedere alla magistratura italiana di fare in modo che i colpevoli della morte di mio figlio, scontino le loro pene in carcere? E’ troppo chiedere che soffrano, almeno della privazione della libertà, come sto soffrendo io da sei anni? Non mi darò pace, finchè giustizia non sarà fatta”.

Sofferenza senza rassegnazione possibile. Sei anni di notti insonni, di morte nel cuore, “siamo morti in quattro, insieme a Joe”, di sonniferi, per cacciare dalla mente la scena dell’assassinio, che ossessivamente ritorna, senza requie. Sei anni, persino, di sensi di colpa, “non sono stata capace di difendere il mio Joe, il mio bambino, quando lui aveva bisogno di me”.

E’ a questo punto che la mamma di Joe rivolge un messaggio, direttamente ai presunti assassini di suo figlio. A cominciare da Luigi Caffa: “Per te non ci sarà mai, mai perdono, perche eri il suo amico e non raccontare che eri costretto perché avevi una pistola alle tempie. A me risulta che siate tutti tornati a casa. Mio figlio no, me lo avete seppellito vivo. Mi avete ammazzato mio figlio, un povero ragazzo ingenuo e indifeso. Sono stata zitta per sei anni, ma adesso non ce la faccio più. E per te (segue il nome del minorenne, ndr), vale la stessa cosa. E’ inutile scrivere letterine e cercare di leggerle, non ci sarà nessun perdono. Voi non avete commesso un solo omicidio ma quattro, noi non viviamo più senza Joe”.

Anna De Stradis ha dovuto andare avanti, per Jonathan, l’altro figlio, ma con la morte nel cuore. “Non lo auguro a nessuno”, prosegue, “non è facile seppellire un figlio, si muore con lui. Mio figlio Jonathan mi dice sempre mamma, da quando è morto Joe, sei morta anche tu. E’ lui che mi da la forza di andare avanti, malgrado il dolore per la scomparsa di Joe sia reso insopportabile nel sapere che gli assassini di mio figlio sono in libertà. Giustizia, sì, è quello che voglio. Devono pagare per quello che hanno fatto, hanno tolto la vita a mio figlio. Un ragazzino pieno di vita, che si faceva voler bene da tutti. Era unico, il mio Joe”.

Le ultime parole di Anna De Stradis, sono per la mamma della piccola Sarah Scazzi: “Solo io posso sapere quello che lei sente, ma ci dobbiamo fare forza e andare avanti. Lo dobbiamo a loro”.

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