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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

La Chiesa e la generazione incredula

BRINDISI - Si è svolta sabato sera una conferenza intitolata “La spiritualità di Don Bosco - sfida alla prima generazione incredula”.

BRINDISI - Nell’ambito del triennio di preparazione al bicentenario dalla nascita di Don Bosco, si è svolta sabato sera una conferenza intitolata “La spiritualità di Don Bosco - sfida alla prima generazione incredula”. La conferenza, tenutasi presso il Teatro della parrocchia “Sacro Cuore” di Brindisi, è stata l’occasione per parlare di un tema attuale: il difficile rapporto dei giovani con la fede cattolica e il ruolo pastorale di guida che la Chiesa svolge nei loro confronti.

A parlare di questo importante tema commentando la “Strenna 2014” del rettor maggiore dei Salesiani, don Pascual Chàvez, indirizzata alla Famiglia Salesiana e intitolata “Da mihi animas, cetera tolle - Attingiamo all’esperienza spirituale di Don Bosco, per camminare nella santità secondo la nostra specifica vocazione- La gloria di Dio e la salvezza delle anime”, è stato don Armando Matteo, docente di teologia alla Pontificia Università Urbaniana di Roma. La conferenza di don Armando Matteo è stata introdotta dal direttore dell’Istituto Salesiano, Don Mario Stigliano, che ha parlato del terzo anno di preparazione al bicentenario dalla nascita del santo piemontese, anno dedicato alla spiritualità di Don Bosco e quindi alla spiritualità salesiana.

Don Mario ha ricordato come per i salesiani “educare significhi evangelizzare” e quanto i giovani fossero importanti per Don Bosco, il cui motto era: “Da mihi animas, cetera tolle”. “Per Don Bosco l’anima era il giovane nella sua completezza” afferma Don Mario. Don Armando Matteo, studioso del mondo giovanile e della società odierna, ha definito la generazione dei nati dopo il 1981 come “prima generazione incredula”, una generazione che cioè stenta a capire quanto sia importante la fede per entrare nel mondo degli adulti.

Don Matteo ha riferito dell’esito di alcune indagini effettuate su questa particolare fascia d’età, indagini dalle quali sono emersi alcuni dati importanti come il salto generazionale verificatosi nella trasmissione della fede, l’assenza di differenze di genere e la fede e le esperienze legate alla chiesa (catechismo ecc.) percepite come una sorta di “rumore di fondo”.

Sempre dalle indagini è emerso che esiste un analfabetismo biblico radicato, una semi-credenza verso alcuni dogmi, un’ allergia ad ogni morale che si basi sul precetto e sull’interdizione e, per finire, che questa generazione “incredula” ha il ricordo di una scarsa “allegria” nella comunità cristiana.

“Mi sono chiesto cosa c’è dietro?”- dice don Matteo- “Ci siamo dimenticati che ciò che trasmette la fede sono gli occhi degli adulti. Nelle nostre famiglie si prega pochissimo”. La responsabilità educativa degli adulti è risultata essere quindi in “caduta libera”, con adulti che pur andando in chiesa e mandando i figli al catechismo, di fatto lasciano poco spazio a Dio nella loro vita. Don Matteo ha evidenziato inoltre il cambiamento profondo avvenuto nella generazione nata tra il 1946 e il 1964, generazione per cui “il massimo della vita è la giovinezza”- sostiene don Matteo - il quale ha spiegato come il mito del giovanilismo abbia censurato le esperienze “che dicono cos’è la vita”, cioè la vecchiaia, la malattia, la morte.

Il docente ha quindi ricordato gli svariati miliardi che gli italiani spendono ogni anno per i prodotti anti-invecchiamento “perché devi fare di tutto per non diventare vecchio” o per le medicine acquistate in eccesso. Don Matteo ha spiegato quindi che vi è stata l’inversione della struttura educativa da “Lì dove io adulto sono, tu giovane sarai” a “Lì dove tu giovane sei io adulto sarò”. “Qui interviene il discorso della spiritualità salesiana”, prosegue il docente. “Don Bosco dice che l’educazione è necessaria, è seria, c’è bisogno di adulti seri che facciano da maestri. Oggi in questa società in cui esaltiamo la giovinezza, ci si dimentica dei giovani. I nostri ragazzi hanno bisogno di carità educativa”.

Don Matteo ha concluso parlando dell’amore educativo che non è solo volere bene ai ragazzi ma è volere il bene dei ragazzi. L’amore educativo è inoltre “autorevolezza”, cioè spiegare ai giovani che il mondo ha le proprie regole e limiti, ed è infine capacità di sopportazione delle incomprensioni con i destinatari dell’azione educativa. La conferenza è terminata con la citazione di un passaggio della Strenna del rettor maggiore che afferma: “ In primo luogo, la carità pastorale prende in considerazione la persona e si rivolge a tutta la persona; prima e soprattutto interessa la persona per sviluppare le sue risorse. Dare ‘cose’ viene dopo; il fare è un servizio è in funzione della crescita della coscienza e del senso della propria dignità” e con le domande dei presenti.

 

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