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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

La morte di Necci e i documenti spariti: ora c'è un indagato per furto

BRINDISI - Ha un volto e un nome l’uomo che nel lontano maggio del 2006, subito dopo la morte dell’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, avvenuta a Fasano, si precipitò a Masseria San Domenico per prelevare la borsa dei documenti custodita nella camera d’albergo del supermanager amico di Paolo Cirino Pomicino. E’ Giorgio Paolini, 63 anni, di Ceccano (Frosinone), indagato per furto dalla procura della Repubblica di Brindisi. Notificato nei giorni scorsi l’avviso di conclusione delle indagini preliminari che potrebbe preludere alla apertura di un processo a carico di quello che per Necci era socio in affari, ma anche un amico fidato. Capitolo che dovrebbe chiarire, una volta per tutte, il giallo infinito intorno alla morte dell’uomo che la Prima Repubblica aveva battezzato Lorenzo il Magnifico. Una storia che affonda le radici in un passato che pare remoto, un enigma mai sciolto, ancora oggi.

BRINDISI - Ha un volto e un nome l’uomo che nel lontano maggio del 2006, subito dopo la morte dell’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, avvenuta a Fasano, si precipitò a Masseria San Domenico per prelevare la borsa dei documenti custodita nella camera d’albergo del supermanager amico di Paolo Cirino Pomicino.  E’ Giorgio Paolini, 63 anni, di Ceccano (Frosinone), indagato per furto dalla procura della Repubblica di Brindisi. Notificato nei giorni scorsi l’avviso di conclusione delle indagini preliminari che potrebbe preludere alla apertura di un processo a carico di quello che per Necci era socio in affari, ma anche un amico fidato. Capitolo che dovrebbe chiarire, una volta per tutte, il giallo infinito intorno alla morte dell’uomo che la Prima Repubblica aveva battezzato Lorenzo il Magnifico. Una storia che affonda le radici in un passato che pare remoto, un enigma mai sciolto, ancora oggi.

Nato a Fiuggi il 9 luglio del 1936, morto a Fasano il 28 maggio 2006. La parabola esistenziale di Necci c’entra con la storia stessa della Repubblica Italiana, quella nota e quella ancora da scrivere. Uomo di Ugo La Malfa prima, di Bettino Craxi poi. La carriera di Lorenzo Necci è stata costellata da incarichi di punta negli snodi nevralgici del potere: amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato italiano, presidente di Enichimica, protagonista del patto Eni-Montedison. Il ciclone Mani pulite non risparmia il supermanager di casa nei palazzi del potere. Lorenzo Necci colleziona in una vita sola un carico di ben quarantadue avvisi di garanzia spiccati dalla magistratura inquirente di tutta la penisola, da Milano a Roma, fino a Brindisi. Porta la firma del pubblico ministero Giuseppe De Nozza il fascicolo d’inchiesta sul Petrolchimico di marca messapica, Necci è uno dei sessantanove indagati per strage colposa. Ma anche il fascicolo sulle incognite della chimica di Stato, come è noto, sarà archiviato. Dal terremoto giudiziario della prima Repubblica, per inciso, Lorenzo Necci uscirà pressoché indenne.

Il nome di Giorgio Paolini compare a intermittenza nella biografia del fiuggino, a margine delle grandi inchieste giornalistiche che corredano il capitolo a firma delle magistrature inquirenti di tutta l’Italia. Per il settimanale “Il Mondo”, siamo nel marzo 1993, Paolini non solo è “amico di vecchia data di Necci”, ma anche uno dei professionisti coinvolti a vario titolo nella realizzazione di un centro golfistico da 57 miliardi di lire in via di realizzazione a Guidonia (a sud di Roma), a cura della Fondazione Marco Simone (Necci presidente). Il settimanale contesta a Necci, uomo pubblico, il volume vertiginoso degli affari privati, ma il manager blasonato non perde l’aplomb e respinge le accuse al mittente, che cadranno ancora una volta nel vuoto.

L’anno successivo, gennaio 1994, Paolini sarà coinvolto nel crack della Ambra Assicurazioni, l’accusa è di aver rilevato la compagnia di assicurazione milanese “per pilotarla verso un' incorporazione nella Banca nazionale delle comunicazioni, controllata dalle Fs”, a capo delle quali c’è Necci. Veleni, accuse, sospetti, rimasti senza conseguenze se non nei turbamenti, fors’anche dolore, della vita privatissima del manager. Di fatto, un anno prima di morire Lorenzo Necci si era ritirato nell’eremo dell’Università del Salento dove aveva ottenuto un incarico nella facoltà di Giurisprudenza. E’ per questo che era diventato di casa nei campi da golf della masseria San Domenico di Savelletri, dove amava soggiornare insieme alla compagna di vita, onorevole Paola Balducci.

L’incidente in cui rimase ucciso avvenne una domenica mattina, l’onorevole Balducci seguiva il compagno in bicicletta. Vicenda per la quale è in pieno svolgimento un processo per omicidio colposo a carico dell’uomo che quella mattina guidava l’auto che travolse l’ex amministratore delegato di Fs, il 52enne Donato Rodio,  fasanese, difeso dagli avvocati Angelo Rosato e Tommaso Barile. Secondo l’esposto della famiglia Necci presentata alla procura brindisina, subito dopo l’incidente accade un fatto tutto ancora da spiegare, oggetto delle indagini appena concluse a firma del pubblico ministero Milto De Nozza. Quando Necci muore Giorgio Paolini si precipita a masseria San Domenico, dove preleva la valigetta del manager, per restituirla subito dopo all’autista dello stesso.

L’uomo che aveva portato tante volte quel peso, lo sente alleggerito, stranamente e più del solito, e in un moto istintivo restituisce nelle mani di Paolini la borsa.  L’episodio sarà descritto, due anni dopo, in un volume a firma di Geronimo, edito per i tipi della Cairo Publishing, “La politica nel cuore. Segreti e bugie della Seconda Repubblica”. Dietro lo pseudonimo si nasconde il nome dell’ex ministro dc Paolo Cirino Pomicino, che racconta l’aneddoto carico di un inquietante antefatto. “Un pomeriggio”, rivela l’ex ministro devoto di Giulio Andreotti, “al Cafè de Paris di Roma l'ex amministratore delegato delle Ferrovie Lorenzo Necci mi disse di essere in possesso di un dossier che gli era stato consegnato da membri di un servizio segreto straniero”.

“Gli chiesi di raccontarmi di più ma Necci rimandò a una successiva  conversazione. Disse che avrebbe voluto parlamene con più tempo, al ritorno di una breve vacanza, perché era inquieto e si sentiva spiato e pedinato”. Quella conversazione non avrebbe mai avuto seguito. “La sua borsa – scrive ancora Pomicino – venne prelevata in albergo da un uomo e rimessa in camera 48 ore dopo, vuota. Di recente ho ricevuto una telefonata da un uomo che parlava con accento dell'Est Europa e con tono concitato e che mi diceva di sapere qualcosa sulla vicenda di Necci. La linea si è interrotta all'improvviso”. “Consegno questa storia ai giornali”, concluse Pomicino rivolto a Maurizio Belpietro, Vittorio Feltri e Ferruccio de Bortoli invitati a Milano per la presentazione del volume pubblicato nel 2008, “perché comunque mi fido più di voi che della magistratura”.

La magistratura, checché ne pensi l’ex ministro, ha fatto quel doveva, scavando fino in fondo a questa storia. Le conclusioni parlano di una fatale coincidenza fra l’incidente in cui rimase ucciso Lorenzo Necci e il prelievo della borsa dalla camera d’albergo. Il giallo che resta, tutto intero, non è quello intorno alla morte che fu tragica fatalità. Nel processo che verrà, se verrà, Giorgio Paolini dovrà chiarire l’urgenza di quella corsa verso Fasano e quali documenti conteneva quella borsa che pare dovesse essere, in tutta fretta, messa al riparo da sguardi indiscreti. Una verità che spetta di diritto alla famiglia di Lorenzo Necci, ma anche alla storia dell’Italia, se c’entra.

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