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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

“La Scu uccise mio fratello: giustizia, non soldi”. Chiesto un euro come risarcimento

Istanza simbolica presentata dal pentito Massimo D'Amico, parte civile per l'omicidio avvenuto alla diga nel 2001. L'ex Uomo tigre della mala, uno dei primi a collaborare, è ai domiciliari per scontare condanne definitive

BRINDISI  - “Non voglio soldi, non mi interessano: aspetto giustizia per l’omicidio di mio fratello Antonio, ucciso dalla Sacra Corona Unita alla diga di Punta Riso mentre stava pescando, per questo chiedo un risarcimento simbolico di un euro”.

La richiesta è stata depositata dall’avvocato Alessandra Luceri, in nome e per conto del pentito della Scu Massimo D’Amico, ormai da anni ex “Uomo tigre”, uno dei primi a decidere di lasciare l’associazione di stampo mafioso per passare dalla parte dello Stato: la Sacra Corona Unita decise di eliminare il fratello Tonino, per vendetta trasversale perché si era diffusa la voce della sua collaborazione. Gli associati temevano ripercussioni visto che Massimo D’Amico era al vertice del gruppo e avrebbe potuto riferire nomi e fatti che dovevano restare segreti. Come poi è avvenuto.

Dopo le dichiarazioni messe a verbale e dopo aver ottenuto il riconoscimento delle attenuanti della collaborazione che equivalgono a sconti di pena, Massimo D’Amico ha lasciato il carcere per gli arresti domiciliari in una località segreta, nota solo al Servizio centrale di Protezione.

In un’abitazione identificata come “sito riservato” D’Amico sta scontando sentenze di condanna diventate definitive in relazione all’appartenenza alla Sacra Corona Unita, di cui ha ammesso di aver fatto parte per la commissione di una serie di reati, dal contrabbando di sigarette, al traffico di droga, alle estorsioni, sino ad arrivare agli omicidi riferiti con riferimento agli anni Ottanta e Novanta, quando i dissidi interni venivano risolti con sentenze di morte e bagni di sangue.

Il pentito è parte civile nel processo in corso di svolgimento davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Brindisi, scaturito dall’inchiesta chiamata “Zero” che il 14 dicembre 2014 portò agli arresti, sull’onda delle dichiarazioni dei collaboratori più recenti, come Ercole Penna, imputato anche con l’accusa di essere stato il mandante di alcuni omicidi.

campana francesco-2Quello di Antonino, detto Tonino, D’Amico, è stato ricostruito anche sulla base dei verbali resi dall’ultimo dei collaboratori, Sandro Campana che ha accusato e incastrato il fratello maggiore, Francesco, per il quale i pm della Dda hanno chiesto la condanna all’ergastolo con isolamento diurno di 18 mesi, per Carlo Cantanna. I pubblici ministeri Alberto Santacatterina e Valeria Farina Valaori hanno invocato il fine pena mai anche per  Carlo Gagliardi, in entrambi i casi con isolamento per sei mesi, colpevoli di aver ucciso nelle logiche di stampo mafioso. Richiesta di condanna a 16 anni per Ronzino De Nitto e nove anni per Ercole Penna.

Per l’omicidio D’Amico, l’accusa, è stata mossa nei confronti di due imputati, Francesco Campana e Carlo Gagliardi: il primo meditò vendetta e puntò al fratello di Massimo D’Amico, Antonio, chiedendo aiuto a Gagliardi. Lo raggiunsero sulla diga di Punta Riso il 9 settembre del 2001, dove stava pescando.

Gagliardi guidava perché avrebbe avuto maggiore conoscenza dei luoghi, mentre Francesco Campana sparò, stando alla ricostruzione di Sandro Campana. Una raffica di pallettoni calibro 12 raggiunsero D’Amico al torace e alla testa. Non ci fu scampo. In quel periodo sia Campana che Gagliardi erano latitanti e prima dell’omicidio avrebbero avuto la possibilità di soggiornare in zona, nella marina a Sud di Brindisi.

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