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Cronaca Mesagne

Le vittime non ricordano più le estorsioni Scu

MESAGNE - Una sfilza di “non ricordo”, testimonianze in aula che non combaciano con quelle rese in fase di indagine. I tre imprenditori di Mesagne ascoltati oggi in aula, vittime secondo l’accusa di estorsioni con metodo mafioso messe in atto da un gruppo di persone organiche alla Scu di Ercole Penna.

MESAGNE - Una sfilza di “non ricordo”, testimonianze in aula che non combaciano con quelle rese in fase di indagine. I tre imprenditori di Mesagne ascoltati oggi in aula, vittime secondo l’accusa di estorsioni con metodo mafioso messe in atto da un gruppo di persone organiche alla Scu di Ercole Penna, interrogate come testi, sono apparse poco intenzionate a ribadire quanto già detto alla polizia. Hanno fornito pochi elementi e ben confusi rispondendo alle domande del pm della Dda Alberto Santacatterina.

Nessuno può sapere cosa sia accaduto dal 2011 a oggi. Se davvero due anni trascorsi abbiano potuto generare vuoti di memoria così consistenti. Il processo in questione è quello nato dall’inchiesta denominata “Die Hard” per cui vi sono state sentenze di condanna di recente in abbreviato (per tutti, fuorché per Massimo Pasimeni).

Sono imputati dinanzi al Tribunale di Brindisi Vincenzo Accolli, Danilo Calò, Ivan Carriero, Francesco Gravina (detto Chicco Pizzaleo), Fabrizio Livera, Tobia Parisi, Ercole Penna, Vito Stano, Giuseppe Stranieri, Vincenzo Solazzo, Massimo Taurisano Pulli. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Raffaele Missere, Giancarlo Camassa, Marcello Falcone, Rosanna Saracino, Pasquale Annicchiarico. E’ parte civile il Comune di Mesagne.

Il primo a sedere al banco dei testimoni è stato Carmelo De Nitto, titolare del Ristorante “Locanda dei Messapi”. Secondo l’accusa sarebbe stato Giuseppe Stranieri a versargli una somma in denaro di 1.000 euro – in due rate – nel 2008. Ha detto di aver soltanto dato del denaro in prestito e che gli è stato restituito.

Dopo di lui Giancarlo Mingolla, titolare della ditta individuale di edilizia stradale incaricata dei lavori di costruzione della circonvallazione di Mesagne, costretta a versare prima 1.000 euro e successivamente altri 1.000, nell’anno 2009, da Francesco Gravina detto Chicco Pizzaleo, Francesco Gravina alias Gabibbo (nipote del primo) e Vito Stano. Ha detto di aver consegnato a Gravina senior 1,800 euro perché questi gli aveva chiesto di lavorare. Fu un “atto di buon cuore”. Non una estorsione.

Infine Fernando De Michele, che aveva in uso i due autocarri che furono rubati da Ercole Penna, Vincenzo Accolli e Massimo Turisano Pulli. Erano custoditi nell’autocarrozzeria di quest’ultimo. Sempre in reazione a De Michele sono imputati di concorso in estorsione Ercole Penna (mandante) e Vincenzo Solazzo (esecutore) per aver costretto Fernando De Michele a seguito del furto degli autocarri a cedere l’autovettura Porsche Cayenne al prezzo di 25.000 euro (inferiore di 10.000 al suo valore di mercato) con la minaccia consistita nella prospettazione del mancato rinvenimento degli autocarri rubati, che dopo la cessione dell’auto venivano fatti ritrovare.

De Michele non ricordava quando aveva venduto l’auto, a chi l’aveva venduta. Ha detto d’averla lasciata in conto vendita a Donato Apruzzi, il titolare di un rivendita di auto di San Michele Salentino. E di averla venduta spontaneamente a Solazzo. Non ricordava quando avesse ritrovato i mezzi agricoli, ha infarcito la sua lunga ma frammentaria deposizione di un’infinità di “non so”, “non ricordo”.

E’ in questo clima che si è celebrata l’udienza del processo alla Scu dei mesagnesi, quella in cui si è entrati nel vivo dell’istruttoria dibattimentale. Reticenza? Chi può dirlo. Paura? Sono giudizi e non spettano ai cronisti. Sta di fatto che coloro che avevano fornito una versione dei fatti, da vittime, agli agenti della Mobile, oggi hanno detto tutt’altro. Hanno parlato a stento, anche quando si è trattato di rispondere alle domande dei difensori degli imputati.

 

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