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Cronaca

“Mai stato affiliato: ho fatto reati per me, perché avevo bisogno di soldi"

Donato Borromeo imputato nel processo per tentata estorsione ai danni della titolare di un chiosco di fiori al cimitero: "Ero in società con lei e il marito". "I pentiti Penna e Gravina mai visti, non conosco neppure Tobia Parisi: leggo di loro sui giornali"

BRINDISI – “Dottore, io non sono mai stato affiliato a nessuno, non ho fatto parte di clan, ho fatto reati, questo sì, ma solo per me, perché avevo bisogno di soldi e poi è anche successo che sono caduto nella droga. Ma guardi che io non ho incontrato i pentiti Ercole Penna e Francesco Gravina, né tanto meno Tobia Parisi, nome che in quel periodo usciva spesso”.

Donato BorromeoHa parlato per quasi due ore Donato Borromeo, 41 anni, brindisino, ex dipendente della Monteco, nell’udienza del processo in cui è imputato con l’accusa di tentata estorsione ai danni della titolare di un chiosco di fiori alle spalle del cimitero del capoluogo, in via Ticino. Chiosco che venne distrutto da un incendio la notte del 2 novembre 2015.

L’accusa è stata mossa anche nei confronti della compagna Serena Lorenzo, 27 anni, del fratello maggiore Giovanni Borromeo, 45, nonché di Luca Ferrari, 38, ex dipendente della Monteco ed ex marito della donna ritenuta vittima della richiesta estorsiva, e di Francesco Palma, 36. Tutti e cinque furono arrestati il 14 novembre 2015 nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal pm Alberto Santacatterina, delegata agli agenti della Digos e ai carabinieri del Nucleo investigativo di Brindisi.

Sotto processo anche Marco Schirinzi, dipendente delle poste italiane, che rimase a piede libero, accusato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, nonché di falsità ideologica.  Borromeo e gli altri, nel frattempo, hanno ottenuto i domiciliari e questa mattina hanno partecipato all’udienza celebrata davanti al Tribunale di Brindisi, dedicata all’ascolto degli ultimi testimoni citati dai difensori e all’ascolto degli imputati difesi dagli avvocati Laura Beltrami, Daniela D’Amuri, Silvia Franciosa e Donato Perrone.

Nell’impostazione della Dda “i cinque, in concorso tra loro” avrebbero compiuto “atti idonei a costringere” la donna “a cedere senza alcun corrispettivo a Donato Borromeo il contratto di concessione dell’immobile e la licenza dell’attività commerciale”. La titolare non si è costituita parte civile nel processo

Il primo teste ad essere sentito è stato Oliver Cannalire: “Conosco Borromeo da anni, da quando facevo il pugile”, ha detto. “Partecipò al bando per i fiori: erano due lotti, uno lo vinse Stefania, la moglie di Ferrari, e l’altro Carmelo Dell’Atti con cui partecipai io”. Ferrari, secondo la testimonianza resa dal geometra del Comune Giovanni Danese avrebbe chiesto contezza della pratica presentata nel 2011 per ottenere “uno sconto sui canoni di locazione del box dei fiori”. Ferrari e la moglie, in quel periodo, avevano deciso di divorziare e sul punto è stata sentita l’avvocato Anna Peluso: “Volevano accordarsi sulle visite e sull’assegno e ci fu un incontro nel mio studio, al quale partecipò un’altra persona, forse un amico che era del Napoletano, il cui nome era Forte se non ricordo male”.

Luca Ferrari (2)-2Sulla figura di Giuseppe Forte che non è imputato, né mai è stato sfiorato dal procedimento penale, sui rapporti tra questi e la moglie di Ferrari e sui contatti fra i coniugi e Borromeo si è sviluppato l’interrogatorio dell’imputato principale: “Conosco da anni Luca Ferrari e la moglie, quando io ho avuto bisogno di aiuto loro ci sono sempre stati”, ha detto rispondendo alle domande del pm, per poi precisare che Stefania, moglie di Luca, venne a portarmi le medicine dopo che ebbi un incidente stradale che mi mandò in coma con 13 costole rotte, un polmone perforato e la milza asportata dai medici dell’ospedale di Lecce”.

Per quale motivo partecipò assieme alla coppia al bando di gara indetto dal Comune per i chioschi di fiori? E perché mai il box non venne intestato a Borromeo? “Siccome io sono pregiudicato, ho pensato che mi potessero sequestrare il negozio e poi anche perché sia io che Luca avevamo già un lavoro alla Slia (Monteco, la società di nettezza urbana in quel periodo, ndr)”, ha spiegato l’imputato. “Stefania aveva una partita Iva e decidemmo di partecipare di comune accordo, ma dottore io pensavo che per il secondo lotto per il quale avevamo presentato offerta, non avessimo vinto. Solo dopo ho saputo che l’avevamo vinto”.

Come è possibile che uno partecipi a una gara, ma non sappia a chi viene aggiudicata? Lo ha chiesto più volte il pm. Risposta: “Io all’apertura della busta ero fuori dalla stanza e Dell’Atti mi disse che lui si era aggiudicato entrambi i lotti offrendo 500 euro, mentre noi avevamo proposto 300 euro come canone mensile. Solo in questo processo ho capito come andarono davvero le cose, ma all’epoca mi fidai di quello che disse Dell’Atti e ancora oggi mica ho capito perché mi ha riferito cose sbagliate”, ha sostenuto Borromeo.

Tobia Parisi“E’ vero che in quel periodo Ferrari mi disse che sua moglie era stata avvicinata da due persone che le avevano detto che non poteva stare lì e che se ne doveva andare. Venne da me e siccome li conoscevo quei due, dissi che ci avrei parlato”. Quei due o altri hanno mai fatto il nome di Tobia Parisi? Il nome è tornato d’attualità perché è ritenuto dalla Dda a capo del gruppo dei mesagnesi Vicientino-Vitale-Pasimeni e con questa accusa è finito tra i destinatari dell’ultima ordinanza di custodia cautelare sulla Scu, quella del blitz The Beginners eseguita dagli agenti della Mobile martedì scorso.  “Quel nome usciva spesso in quel periodo, ma io non lo conosco personalmente”.

Quanto, poi, alla gestione del chiosco, Borromeo sostiene che ci sarebbe stato un accordo verbale tra lui e i coniugi Ferrari e che a quell’attività aveva anche pensato per i suoi figli: “Ero in fase di separazione da Antonella Di Lauro”, ha precisato. E ha anche riferito al Tribunale di aver speso 500-700 euro per alcuni lavori e per l’acquisto di piante, tutto necessario per dare avvio all’attività”.

Rispondendo a precise domande del pm, ha confermato di aver ricevuto piante e fiori del chiosco: “Da Stefania, Luca e da Giuseppe Forte. Anche la biancheria ma solo quando ero detenuto e comunque non ho preso più niente quando ho saputo che Ferrari venne arrestato e quindi aveva perso il lavoro”. Borromeo finì in carcere per un definitivo il 23 giugno 2011.

Il rappresentante della pubblica accusa ha poi mostrato il memoriale scritto da Borromeo e un documento dattiloscritto di cui ha chiesto spiegazioni: “Questo foglio l’ho prodotto io ed è quello che venne dato da Carmelo Dell’Atti dopo che io chiesi spiegazioni sull’assegnazione del chiosco di via Ticino al mio avvocato civilista”, ha detto l’imputato. “L’avvocato prese la documentazione dal Comune e mi disse che il bando l’avevo vinto io tramite Stefania a quel punto per capire mi rivolsi a Dell’Atti che sosteneva il contrario. Dell’Atti mi disse che né io né tanto meno il mio avvocato avevamo capito niente e poi aggiunse:’Ve lo scrivo io come sono andate davvero le cose, ho vinto io’. Solo dopo scoprimmo che lui neanche aveva partecipato la bando per chiosco di via Ticino 2”.

Sul quando Borromeo avrebbe saputo di aver vinto la gara tra accusa e difesa ci sono state schermaglie che hanno reso necessario l’intervento del presidente del collegio giudicante: “Ho scoperto il fatto due-tre o quattro mesi prima di essere arrestato e poi è iniziato il processo”. Chi ha contattato Dell’Atti? “Io, ci siamo visti in Centro nei pressi della Banca Carime, non a casa mia. Io ero ai domiciliari e avevo il permesso di uscire due ore la mattina e anche un pomeriggio a settimana”.

incendio negozio fiori cimitero-2-2-4Nell’ultima parte dell’esame, l’imputato ha precisato di aver parlato del chiosco con Ferrari, quando ottenne i domiciliari: “Quando lasciai il carcere la mia situazione economica non era delle migliori, Luca mi disse che si era lasciato con la moglie e che lei si stava vedendo con Giuseppe Forte e che era stato costretto a fare debiti. Io stesso incontrati Forte che prima sostenne di aver speso 14mila euro e poi 20mila e che dovevo parlare con il padre di Stefania, mentre questi mi rimandava a lui. Stefania al telefono non si faceva trovare e notavo cose strane nel senso un atteggiamento strano nei miei confronti”.

“Un giorno le dissi che non capivo per quale motivo i documenti del chiosco li aveva Forte che abitava nel Napoletano, disse che sarebbero arrivati: la raccomandata arrivò, Stefania non poteva ritirarla, le chiesi se potessi farlo io, così feci anche perché il postino lo conoscevo essendo il cognato di mio fratello”.

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