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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Marijuana coltivata a Jaddico, arrivano 15 condanne

Le pene più pesanti inflitte a Walter Margherito e Armando Corsa. Altra droga importata dall’Albania e dalla Sicilia. Furono arrestati dai carabinieri il 7 febbraio scorso

BRINDISI – Quindici condanne nel processo con rito abbreviato, scaturito dall’inchiesta “Tuono” su marijuana coltivata in serra, in contrada Jaddico, e altra proveniente dall’Albania e dalla Sicilia: 13 imputati riconosciuti colpevoli sono brindisi, due sono siciliani.

La sentenza

MARGHERITO Walter, classe 1979-2Le pene più alte sono state inflitte a Walter Margherito (foto accanto), 38 anni, di Brindisi, nove anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione più 73.066, 66 euro di multa  e ad Armando Corsa (nella foto in basso), 45, di Brindisi,  sette anni e sei mesi più 56mila euro di multa per cinque capi di imputazione più due anni e due mesi più 1.800 euro di multa in relazione ad altri due capi d’imputazione. Per entrambi il pubblico ministero Luca Miceli aveva chiesto la condanna a dieci anni. La sentenza è del giudice per l’udienza preliminare Vittorio Testi, di fronte al quale si è svolto il processo “allo stato degli atti”, con riduzione della pena di un terzo.

Queste le altre condanne: Paolo Chiarella, 53, di Brindisi, tre anni e 16.666,66 di multa a fronte della richiesta di due anni e otto mesi; Carlo Cofano, nato in Svizzera ma residente a Fasano, 37, tre anni e otto mesi più 20mila euro di multa, richiesta due anni e otto mesi; Luigi Conversano, 34, di Fasano, tre anni e otto mesi più 20mila euro di multa, richiesta due anni e otto mesi; Francesco D’Urso, 38, di Brindisi, cinque anni, sei mesi e venti giorni più 50mila euro di multa, richiesta due anni e otto mesi; Antonio Roberto Ferlito, 43, di Catania, due anni e quattro mesi più diecimila euro, richiesta due anni e otto mesi; Roberto Ferlito, 42, di Catania (sono cugini), due anni e quattro mesi più diecimila euro, richiesta due anni e otto mesi.

CORSA Armando, classe 1973-2Condannati, inoltre:  Giuseppe Lorè, 46, di Brindisi, tre anni e dieci mesi più 31.333, 33, richiesta quattro anni; Italo Lorè, 43, di Brindisi, tre anni, dieci mesi e vento giorni più 16.666,66 euro di multa, richiesta di due anni e otto mesi (sono fratelli); Onofrio Margaritondo, 42, di Fasano, sette anni, quattro mesi e venti giorni più 66.666,66 euro di multa, richiesta sei anni di reclusione; Roberto Nigro, 51, di San Vito dei Normanni, tre anni e otto mesi più 18mila euro di multa, richiesta due anni di reclusione; Giovanni Rizzato, 50, di Brindisi, due anni e quattro mesi più diecimila euro, richiesta due anni e otto mesi; Antonio Signorile, 48 anni, di Brindisi, sette anni più 54.666,66 euro, richiesta nove anni di reclusione; Pietro Vergaro, 28, di Torre Santa Susanna, due anni e due mesi più 10.666,66, euro, richiesta due anni.

La difesa

Le motivazioni saranno depositate fra 90 giorni. Il gup ha sospeso i termini di custodia cautelare. La difesa presenterà ricorso al Riesame. Il collegio difensivo è composto dai penalisti: Laura Beltrami, Luca Leoci, Giampiero Iaia, Gianvito Lillo, Ladislao Massari, Giovanni Brigante, Raffaele Missere, Francesco Genntile, Pasquale Di Natale, Simona Coppola, tutti del foro di Brindisi e Pasquale Schilirò e Gianluca Scardaci del foro di Catania.  

Le accuse

Gli imputati sono accusati, a vario titolo, di “detenzione e cessione in concorso di sostanze stupefacenti e ricettazione, tentata estorsione, rapina, nonché detenzione e porto abusivi di armi da fuoco”. Con queste accuse lo scorso  7 febbraio 2018, furono arrestati dai carabinieri, sotto la voce “Tuono”, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Stefania De Angelis, su richiesta del pm Valeria Farina Valaori (nel frattempo passata nel pool Antimafia): Paolo Chiarella,  Carlo Cofano,  i  fratelli Italo e Giuseppe Loré, i cugini Roberto e Antonio Ferlito, Armando Corsa, Francesco D'Urso,  Giovanni Rizzato,  Antonio Signorile,  Pietro Vergaro, Walter Margherito, Onofrio Margaritondo  e Roberto Nigro. Gli altri rimasero a piede libero.  

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La coltivazione di marijuana

Fonti di prova sono una serie di intercettazioni risultato dell’ascolto di una serie di conversazioni: 98, stando agli atti dell’inchiesta, sono state le utenze telefoniche monitorate nel periodo compreso tra febbraio e agosto 2017. Ascoltando alcune delle telefonate e “leggendo” una serie di messaggi, i militari hanno scoperto una coltivazione di marijuana: 50 piante che, secondo l’accusa, sarebbero state affidate a Margherito e Chiarella”. In particolare, come contestato nei capi di imputazione, Margherito avrebbe avuto contatti con un “non meglio precisato uomo di nazionalità albanese, al quale ammetteva in maniera esplicita di aver fatto 50 piante” usando la lampada, nell’arco di due mesi.

Il prezzo di vendita della droga e il timer

Una delle conversazioni considerata importante ai fini dell’accusa è quella del 7 marzo 2017, quando Margherito chiede anche i prezzi di vendita, ipotizzando importi che vanno da 700 sino a mille euro al chilogrammo.

In un’altra conversazione, sempre secondo la lettura dell’accusa, emergeva che “Chiarella si occupava di innaffiare le piante e si intuiva che per accelerarne la crescita, aveva installato delle lampade con un timer che regolava la loro accensione e il loro spegnimento”.

L’inchiesta dei carabinieri

Le indagini presero il via  dopo la scoperta di 2.500 euro in contanti a casa di un brindisino, al quale i carabinieri dovevano notificare un atto. In quella circostanza venne trovato un albanese, al quale sarebbe stata riconducibile una modica quantità di marijuana. Per giustificare quella somma, l’albanese disse di essere arrivato a Brindisi per acquistare delle auto. La “ricostruzione venne confermata da Spagnolo e da Margherito”. I due, in un secondo momento, avrebbero riferito di essere “intermediari in una trattativa che avrebbe portato gli albanesi ad acquistare una imbarcazione”. Secondo il pm, “l’assenza di qualsivoglia prova dell’acquisto di auto, la somma trovata e la pretestuosità delle giustificazioni, lasciano ragionevolmente ipotizzare che su trattasse di approvvigionamento di droga”.

Il sospetto del furto e le minacce di morte

Le prime intercettazioni hanno permesso di ricostruire il litigio tra alcuni degli attuali imputati, dopo il sequestro di un ingente carico di droga, perché un brindisino veniva considerato autore di un vero e proprio furto di sostanza stupefacente, dal momento che mancavano all’appello circa 600 chili di droga.

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