rotate-mobile
Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca San Michele Salentino

Marocchino suicida in cella, il pm chiede il giudizio per tre carabinieri

SAN MICHELE SALENTINO - Accusati di cooperazione in omicidio colposo, a fronte della presunta omissione dell’obbligo giuridico di impedire che il 22enne marocchino morto suicida nella caserma di San Michele Salentino il 18 giugno dello scorso anno, commettesse atti di autolesionismo o comunque si facesse del male. Il pubblico ministero Silvia Nastasia ha chiesto il rinvio a giudizio per il comandante Vito Chimienti, il vice Giuseppe Marrazzo e l’appuntato Vincenzo Marrazzo.

SAN MICHELE SALENTINO - Accusati di cooperazione in omicidio colposo, a fronte della presunta omissione dell’obbligo giuridico di impedire che il 22enne marocchino morto suicida nella caserma di San Michele Salentino il 18 giugno dello scorso anno, commettesse atti di autolesionismo o comunque si facesse del male. Il pubblico ministero Silvia Nastasia ha chiesto il rinvio a giudizio per il comandante Vito Chimienti, il vice Giuseppe Marrazzo e l’appuntato Vincenzo Marrazzo.

Sulla vicenda, per la quali i genitori del ragazzo sono pronti a costituirsi parte civile, pende adesso il giudizio del gip, al quale spetta decidere se dare il via al processo oppure archiviare il caso. I fatti risalgono alla vigilia dell’estate dello scorso anno. Le prime notizie divulgate sulla tragedia parlavano di “un cittadino marocchino privo di documenti” che si era “ucciso impiccandosi ad una grata della cella di sicurezza”, nella piccola caserma di provincia.

Secondo una prima ricostruzione degli investigatori, il ragazzo aveva ricavato delle strisce strappando la fodera del materasso che si trovava nella cella di sicurezza e ne aveva fatto un cappio. Il nome di quel ragazzo sarebbe stato svelato solo dopo, dai compagni della comunità marocchina con i quali viveva. Si chiamava Abdelhafid Es-Saady, e nessuno di quelli che lo conoscevano erano disposti a credere che si fosse ucciso.

Anche se lavorava in nero e si spaccava la schiena nei campi tutti i santi giorni. L’avvocato Pasquale Fistetti e la sindacalista Lorenza Conte, raccolsero i fondi necessari a ottenere l’arrivo dei genitori in Italia, mediarono con il consolato affinché madre e padre ottenessero il visto. La procura aveva nel frattempo stabilito che dovevano sottoporsi alla prova del Dna: le impronte digitali del ragazzo morto, e quelle presenti nelle banche dati della polizia e legate a quel nome, non coincidevano. L’esame genetico avrebbe confermato che era lui. Ma sul corpo,come avrebbe svelato l’esame autoptico, non c’erano segni di violenza.

Abdelhafid si era impiccato lasciandosi cadere sulle ginocchia. Quell’arresto non aveva lasciato sopravvivere in lui nessun istinto vitale. L’avvocato Vito Epifani è pronto dimostrare l’assoluta assenza di responsabilità da parte dei propri assistiti. Il  comandante Chimienti quel giorno era in ferie. Si trovava in sede solo perché abita, come molti militari, in un appartamento al piano superiore della caserma, ma non era in servizio. Pesanti incognite sono state sollevate anche sulla corrispondenza alle norme previste della cella in cui il ragazzo era recluso, tutta da verificare.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Marocchino suicida in cella, il pm chiede il giudizio per tre carabinieri

BrindisiReport è in caricamento