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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

"Mesagne non è ancora libera dalla Scu"

MESAGNE – Con il commento del capo della Direzione distrettuale antimafia sui livelli di inquinamento sociale che ristagnano a Mesagne, scorrono le sequenze dell’uccisione a bastonate di una persona odiata dal boss della Scu, omicidio radicato in un risentimento personale antico e commissionato finalmente grazie ad un pretesto “morale”. Poi anche l’ordine di eliminare i tre killer, perché non parlassero. Una vera e propria trama da reggia barbarica, andata in scena in quella che fu la culla della Sacra corona unita e dove esiste – dice il procuratore della Dda Cataldo Motta, e la politica locale dovrebbero credergli – il brodo di coltura di quel virus che tenta sempre di contaminare l’altra parte della società locale, quella dei non collusi e degli onesti (in difesa dei quali, in conferenza stampa, si è levata la voce della dirigente del commissariato, Sabrina Manzone).

MESAGNE – Con il commento del capo della Direzione distrettuale antimafia sui livelli di inquinamento sociale che ristagnano a Mesagne, scorrono le sequenze dell’uccisione a bastonate di una persona odiata dal boss della Scu, omicidio radicato in un risentimento personale antico e commissionato finalmente grazie ad un pretesto “morale”. Poi anche l’ordine di eliminare i tre killer, perché non parlassero. Una vera e propria trama da reggia barbarica, andata in scena in quella che fu la culla della Sacra corona unita e dove esiste – dice il procuratore della Dda Cataldo Motta, e la politica locale dovrebbero credergli – il brodo di coltura di quel virus che tenta sempre di contaminare l’altra parte della società locale, quella dei non collusi e degli onesti (in difesa dei quali, in conferenza stampa, si è levata la voce della dirigente del commissariato, Sabrina Manzone).

Mesagne non è ancora libera, e lo spiega una delle parti in causa sino a poco tempo fa, il collaboratore di giustizia Ercole Penna, che assieme a Daniele Vicientino era alla testa di uno dei due clan locali, quello che faceva riferimento a Massimo Pasimeni, il presunto mandante di questa vicenda, e ad Antonio Vitale (anch’egli da lungo tempo detenuto). “I cittadini devono capire – aveva esordito Motta – che il primo presidio del territorio sono loro e non le forze dell’ordine”. E ricorda, Motta, il precedente arresto di Pasimeni e della moglie Gioconda Giannuzzo: alle 3 del mattino la gente del rione era in strada a salutare i due catturati, rassicurando lei che avrebbero avuto cura del cagnolino e delle piante, e facendo a lui gli auguri.

L’uomo ucciso a bastonate si chiamava Giancarlo Salati, aveva 62 anni, ed era pregiudicato per reati contro il patrimonio e sfruttamento della prostituzione. Nei periodi immediatamente precedenti aveva una relazione con una 15enne che andava a trovarlo regolarmente – anche se aveva un fidanzato di qualche anno più anziano di lei – e che alla fine era rimasta incinta. Ma non di Salati, hanno detto gli investigatori. Tuttavia la fama del personaggio era pessima. Veniva considerato un pedofilo. Era l’occasione che aspettava Pasimeni, dicono gli inquirenti. Era la storia che poteva trovare copertura omertosa nel suo epilogo drammatico.

Ercole Penna la racconta così, partendo dalla voce che la ragazzina era stata messa incinta da Salati: “Devo dire che questa voce influiva sulle nostre decisioni perché queste sono sempre in qualche modo legate alle sollecitazioni che provengono dalla gente comune che fa affidamento su di noi. Invero proprio noi del gruppo mesagnese, capeggiato da me e da Massimo Pasimeni, siamo molto benvoluti dalla gente di Mesagne che spesso si rivolge a noi per i motivi più disparati e ha da noi la disponibilità costante in tutte le occasioni della vita quotidiana; e noi ne riceviamo in cambio una sorta di copertura”.

“Devo dire però che il consenso è anche motivato dalla paura che la gente ha della forza di intimidazione del nostro gruppo. Siamo disponibili nei confronti della gente anche per i problemi economici per i quali si rivolge a noi e che siamo pronti a risolvere anche dando denaro a fondo perduto. Si può dire che nella maggior  parte solidarizzano con noi. Per questo anche il senso di fastidio e di intolleranza che si era diffuso nei confronti di Salati era stato preso in considerazione dal nostro gruppo, e nonostante che quella del rapporto con una ragazzina fosse una voce non verificata, Pasimeni aveva deciso di uccidere Salati e me ne aveva dato mandato”.

Ercole Penna racconta che Massimo Pasimeni odiava Salati perché anni prima aveva avuto una relazione con Gioconda Giannuzzo, che aveva sfruttato la donna facendola prostituire. Cancellare Salati significava cancellare quel passato. L’occasione era buona. Penna chiamò “Gabibbo”, Francesco Gravina, suo affiliato, e gli disse di mettere insieme il gruppo che doveva eliminare Salati. Gravina eseguì gli ordini, chiamando prima “Malombra”, Vito Stano, e poi “Maradona”, Giovanni Guarini. I tre si recarono a casa di Salati in via Mauro Capodieci pochi minuti prima delle 15 del 16 giugno 2009. Salati viene colpito da una pioggia di colpi di bastone, e forse di tubo metallico. L’autopsia dirà che per cercare scampo si era girato con la schiena agli aggressori, riparandosi il capo e la nuca con gli avambracci, uno dei quali risulterà fratturato. Il medico legale conterà 16 colpi almeno, alcuni risultati mortali, quelli che causarono l’ematoma subdurale emisferico sinistro da emorragia celebrale.

Salati resiste sino alle 17 da solo, due lunghe ore di sofferenza, Lo trovano le due figlie Claudia e Rossana, al rientro a casa. La vittima era seduta su una sedia, sanguinante. Racconterà di essere caduta dalla scale. Viene portata in ospedale, dove morirà alle 7,30 del 17 giugno. Ma alla figlia Antonella che lo va a trovare in ospedale, Salati moribondo mostrando tre dita evidentemente voleva indicare il numero degli aggressori. In lui l’omertà si andava spegnendo, ma anche la vita. I tre killer lo avevano lasciato per morto, ma dai giornali apprendono che Giancarlo Salati era in coma in ospedale, e cominciano a temere che la vittima possa parlare. E’ lo stesso pensiero che attraversa la mente di Massimo Pasimeni, che era tornato libero da alcuni mesi dopo una lunga detenzione, e non voleva rischiare un ergastolo.

In realtà la polizia, pur sospettando un coinvolgimento di Pasimeni, che peraltro abita a pochi metri da Salati, viene avvertita del fatto solo dopo la morte di Salati, e quando va a casa del morto nelle stanze aleggia odore di disinfettante e detersivi, racconta il vicequestore Sabrina Manzone. Tutte le prove sono state cancellate dalle donne delle pulizie, che ammettono di aver eliminato anche vaste chiazze di sangue: tutto doveva essere pronto e in ordine per la veglia funebre, spiegano. In seguito, verrà sottoposto a test del Dna un parente della quindicenne che aveva una relazione con Salati, ma l’uomo, Antonio Pedone, ha un alibi di ferro: all’ora dell’aggressione era in un cantiere edile.

Il pentito racconta che Pedone è molto amico di Pasimeni, che gli ha riferito della situazione, e che il boss coglie questa occasione per decidere che bisogna fermare Salati per sempre. Insomma, nell’immaginario collettivo si deve sapere che “Menza Recchia” (è il soprannome della vittima), è morto perché aveva abusato di una quindicenne. Però a Pasimeni non va affatto bene che l’omicidio sia avvenuto alle 15, e che del commando facesse parte Guarini, considerato uno che non  sapeva tenere la bocca chiusa. Le cose potevano mettersi male, e il boss chiama Penna, ordinandogli di provvedere all’eliminazione dei tre assassini di Giancarlo Salati.

Penna però non se la sente, gli sembra una reazione eccessiva, una esagerazione, e lo dice a Pasimeni. Litigano, ma niente da fare. L’attuale pentito non recede. Del resto, la polizia non riesce a trovare notizie. Il vicinato di Salati è chiuso a riccio, nessuno ha visto . Ma l’insistenza alla fine premia la polizia e il pm Valeria Farina Valaori che passa giornate intere in commissariato – racconta sempre il vicequestore Sabrina Manzone – ascoltando e riascoltando i potenziali testimoni. Alla fine Rosetta De Nitto e Cosimo Randino, figlio di una vicina di casa di Salati, ammettono di aver visto tre persone uscire dalla casa della vittima e fuggire verso una piazzetta vicina dove era parcheggiata una Fiat Punto Rossa. Penna dirà che nel giugno 2009 Gravina girava con una Punto Rossa acquistata da Franco Locorotondo, un altro affiliato dell’attuale pentito. Nella fuga, uno dei tre, che impugnava un bastone lungo un metro, cade a terra.

Frammenti di indizi raccolti anche da altre indagini dove non risultavano decisivi, “un lavoro di straordinaria pazienza” fatto da pm e polizia, dice il procuratore capo di Brindisi, Marco Dinapoli. Tracce illuminate dalla luce dei riscontri offerti da Ercole Penna: “Siamo abbastanza fiduciosi che l’apparato accusatorio regga alle eccezioni della difesa”. Il dirigente della Squadra mobile, Francesco Barnaba, racconta come Pasimeni voleva eliminare anche i tre “ragazzi” di Penna autori della missione in casa di Salati, temendo che parlassero. Un omicidio, altri tre progettati, le estorsioni scoperte mentre Pasimeni era libero: così questa figura importante della Sacra corona unita, che amava farsi fotografare in circostanze pubbliche assieme ai protagonisti degli eventi, mostrò quale fosse la pasta di cui era fatto, ha detto Barnaba.

Stamani alle 4 il blitz, coordinato dal questore Alfonso Terribile. La polizia ha catturato Francesco Gravina, Vito Stano e Giovanni Cosimo Guarini su ordinanza del gip Vincenzo Brancato del tribunale di Lecce, dove ha sede la Dda. Pasimeni era tornato in carcere per le estorsioni, il pentito Ercole Penna, indagato come secondo mandante dell’omicidio Salati, non ha ricevuto il provvedimento perché si è autoaccusato e non sussiste comunque il pericolo di fuga. L'indagine è stata battezzata Revenge.

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