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Cronaca

Mesagne: uccise la moglie a fucilate, a giudizio l'uxoricida

MESAGNE – Due fucilate al volto della sua compagna di vita. “Venite a prendermi, ho ucciso mia moglie”, disse ai poliziotti del locale Commissariato. Angelo D’Elia, 71 anni, una vita irreprensibile, si era trasformato in un assassino e con un fucile a canne mozzate aveva, a modo suo, impedito che Maria Antonietta Calò (la moglie), 54 anni, lo abbandonasse. Oggi il pubblico ministero Pierpaolo Montanaro ha chiesto e ottenuto che l’imputato venga sottoposto a giudizio immediato. Non ci sono aspetti da chiarire per questa vicenda. L’imputato ammise subito le proprie responsabilità.

MESAGNE – Due fucilate al volto della sua compagna di vita. “Venite a prendermi, ho ucciso mia moglie”, disse ai poliziotti del locale Commissariato. Angelo D’Elia, 71 anni, una vita irreprensibile, si era trasformato in un assassino e con un fucile a canne mozzate aveva, a modo suo, impedito che Maria Antonietta Calò (la moglie), 54 anni, lo abbandonasse. Oggi il pubblico ministero Pierpaolo Montanaro ha chiesto e ottenuto che l’imputato venga sottoposto a giudizio immediato. Non ci sono aspetti da chiarire per questa vicenda. L’imputato ammise subito le proprie responsabilità.

Era il 13 maggio scorso, le 14 circa. Rione Distilleria è alla periferia di Mesagne. La coppia abitava in via Dante, la strada sulla quale immette via Virgilio, dove venerdì scorso i fratelli Francesco e Sandro Campana hanno tentato di ammazzare Vincenzo Greco. Niente in comune tra i due episodi, se non il quartiere.

Gli agenti trovarono la donna sul divano con il volto ridotto a poltiglia. Schizzi di sangue, frammenti di materia cerebrale e di ossa ovunque. L’unica cosa che era rimasto al suo posto erano i tappi Maria Antonietta Calò aveva nelle orecchie, per non sentire rumori e poter fare il riposino pomeridiano.

La vita di coppia non funzionava più. Probabilmente perché lei ancora giovane mentre il marito aveva una età avanzata. E lei non voleva più saperne. Così ha fatto mettere a verbale l’assassino. Lui aveva cercato in tutti i modi di convincerla. Ma senza risultato. E così quel pomeriggio di maggio impugnò il canne mozze, le si avvicinò e fece fuoco.

“Il fucile – disse ai poliziotti del Commissariato diretto dal vice questore Sabrina Manzone – l’ho trovato in campagna nel 1985 e l’ho tenuto nascosto per difesa personale”. I due si erano sposati una decina di anni prima. Non avevano avuto un figlio. Lei aveva avuto uno in giovane età che, diciannovenne, si era tolto la vita ingerendo veleno. Lui di figli ne ha nove. Il processo sarà celebrato in autunno.

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