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Cronaca

“Mobbing a scuola: 1.500 atti di persecuzione a un impiegato”. Inchiesta archiviata

Il gup condivide la tesi della difesa: “Quel reato in ambito penale non esiste, azioni per il buon andamento dell’istituto”

BRINDISI – Per l’accusa si sarebbe trattato di un caso di mobbing consumato in un istituto scolastico brindisino, con 1.500 atti ritenuti persecutori posti in essere dal direttore dei servizi generali e amministrativi nei confronti di un dipendente. Per il Tribunale nulla di tutto questo perché quella fattispecie di reato, in ambito penale, non è ancora stata affermata e, in ogni caso, le azioni del funzionario sono state finalizzate a garantire il buon andamento dell’organizzazione scolastica.

La pronuncia del gup

giovanni luca aresta-2La pronuncia è del giudice per l’udienza preliminare, Tea Verderosa: lo scorso 11 gennaio ha archiviato il procedimento penale aperto a carico di una donna brindisina, direttore in servizio presso un istituto che ha sedi anche a San Donaci e a Cellino San Marco, rappresentata dall’avvocato Giovanni Luca Aresta del foro di Brindisi (nella foto accanto). L’inchiesta scaturiva dalla denuncia sporta da un dipendente che aveva svolto le funzioni di assistente amministrativo, inquadrato come Ata. Le ragioni di quest’ultimo sono state sostenute  dall’avvocato Fiorino Ruggio del Foro di Lecce secondo il quale, “negli anni la donna” avrebbe posto in essere almeno “1500 episodi di persecuzione e discriminazione in ambiente lavorativo”.

L’accusa

L’accusa, sostenuta poi dal pubblico ministero Francesco Carluccio, aveva contestato il “mobbing”, vale a dire quell’”insieme di comportamenti di natura persecutoria, posti in essere nei confronti del lavoratore di altro soggetto al fine di emarginarlo e allontanarlo dal gruppo di lavoro”.

La difesa

Il provvedimento è destinato a costituire un precedente e, quindi, a fare giurisprudenza perché il giudice per l’udienza preliminare, nel fare proprie le considerazioni sfoderate in punto di difesa dal penalista Aresta ha sottolineato innanzitutto che la condotta della dirigente sarebbe stata ispirata alle regole del “pubblico dipendente modello” e “senz’altro rispondente al buon andamento dell’organizzazione scolastica i cui gravosi compiti sono affidati al dirigente.

Il mobbing

Questo in generale. Codice penale alla mano, l’avvocato Aresta ha evidenziato come sia assente il reato specifico di mobbing. Più esattamente si è in attesa di approvazione della proposta di legge in materia di molestia morale e violenza psicologica nell’attività lavorativa. Proposta che si arenata in Parlamento. E questo rende necessario, ad oggi, fare ricorso ad “altre figure di reato per tutelare la vittima e cioè l’ingiuria, la diffamazione, l’abuso di ufficio, le lesioni personali, fino al più grave reato di violenza sessuale, violenza privata,  estorsione e come, nella fattispecie sotto esame, i maltrattamenti in famiglia.

Il difensore dell’indagata ha evidenziato come assolutamente “mancante il requisito del rapporto di para-familiarità tra i soggetti coinvolti, nel senso che, pur non rientrando nel contesto tipico della famiglia, il rapporto tra il mobber e la sua vittima deve comportare una relazione abituale e consuetudinaria di vita, poiché è solo con una simile vicinanza che può profilarsi, attraverso lo svilimento e l’umiliazione del soggetto che subisce, l’ipotesi di maltrattamenti”.

In altri termini, l’ambiente scolastico in cui sarebbero avvenuti gli episodi denunciati non può di certo essere considerato “parafamiliare”. Da qui l’archiviazione. Caso chiuso, sul piano penale.

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