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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

"Nessuna nuova sacra corona unita" si difendono gli arrestati di San Pietro

SAN PIETRO VERNOTICO - “Non abbiamo niente a che vedere con la mafia, non sappiamo niente di nessuna associazione mafiosa”. E’ stato praticamente questo il leit-motiv delle deposizioni rese dagli indagati nell’operazione “New fire” al giudice per le indagini preliminari, dinanzi al quale sono comparsi per gli interrogatori di garanzia.

SAN PIETRO VERNOTICO - “Non abbiamo niente a che vedere con la mafia, non sappiamo niente di nessuna associazione mafiosa”. E’ stato praticamente questo il leit-motiv delle deposizioni rese dagli indagati nell’operazione “New fire” al giudice per le indagini preliminari, dinanzi al quale sono comparsi per gli interrogatori di garanzia.

Alessandro Blasi, 29 anni, Roberto Trenta (30), Crocefisso Geusa (21), Fabrizio Annis (29), Michele Turco (29), Riccardo Paladini (24), tutti di San Pietro Vernotico, Mario Miglietta (43), Andrea De Luca (32), di Torchiarolo; Cosimo Damiano Laporta (24) di Suturano e Antonio Martella (22) di Torchiarolo sono accusati di associazione mafiosa, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina, minacce aggravate, danneggiamento con il fuoco, detenzione e porto abusivo di arma da fuoco, furto. A incastrarli è stato il loro ex collega di lavoro Davide Tafuro, 22 anni, di San Pietro Vernotico, diventato collaboratore di giustizia quando ha capito che i suoi compari gli volevano fare la pelle. Il passo è stato breve. Tra un lungo soggiorno in carcere e la possibile morte per mano dei suoi complici, non ci ha pensato due volte. E così ha consentito ai carabinieri di mettere a segno il secondo atto dell’operazione “Fire” che nel luglio scorso aveva portato all’arresto di Blasi, Trenta, Annis e Geusa. Il secondo atto è stata la “New fire” dei giorni scorsi con provvedimenti di cattura per nuovi reati nei confronti di Blasi, Annis, Trenta e Geusa e degli altri sei co-imputati. Attentati, estorsioni, rapine minacce e il tentativo di rimettere in piedi la Sacra corona unita scimmiottando la fiction televisiva sul mafioso Totò Riina che per fortuna di tutti ora giace nelle patrie galere.

Gli indagati questa mattina sono comparsi dinanzi al gip Simona Panzera. Li ha sentiti per delega del gip del tribunale di Lecce, Ercole Aprile, che nei giorni scorsi ha emesso i provvedimenti di cattura richiesti dal procuratore antimafia Cataldo Motta e dai sostituti Alberto Santacatterina e Milto De Nozza.

Hanno, dunque, respinto ogni addebito. Di attentati non ne hanno mai commessi. Si, forse ne hanno sentito parlare perché vivendo in paese tutto si sa. Ma non sono stati loro gli autori. E nemmeno delle minacce, dei furti, delle rapine e del traffico di droga. Tafuro? E’ l’unico demonio, uno che ha voluto coinvolgere loro per scaricare le proprie responsabilità.

Tafuro, soprannominato “rogna”, nei mesi scorsi ha raccontato ai carabinieri ed ai magistrati inquirenti tutto quanto lui sapeva perché lo avrebbe vissuto in prima persona. Mesi di attentati incendiari compiuti a San Pietro Vernotico e nel circondario per creare un clima di terrore; vendette per una contravvenzione ricevuta, o per far trasferire il maresciallo che dopo l’arresto avrebbe “offeso” due del gruppo. E poi, teste mozzate di coniglio dopo la visita in paese del prefetto. In questo quadro si inserivano il traffico delle sostanze stupefacenti, le estorsioni, le rapine.

Tafuro, dopo aver reso la confessione, è stato trasferito in una località segreta assieme alla madre. Il padre, invece, si è dissociato dalla posizione assunta dal figlio e non l’ha voluto seguire. I suoi ex complici sono rimasti in carcere.

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