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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Mesagne

Omicidio Salati, ergastolo definitivo per Pasimeni. Al pentito nove anni

Depositate le motivazioni della Cassazione: il collaboratore Ercole Penna credibile, confermato il fine pena mai per il mesagnese alias Piccolo dente. Movente: una relazione con una minorenne. E' la terza condanna al carcere a vita, dopo i delitti Truppi e Goffredo

MESAGNE – Ergastolo definitivo per il mesagnese Massimo Pasimeni, alias Piccolo Dente, riconosciuto colpevole dell’omicidio di Giancarlo Salati, avvenuto a bastonate, a Mesagne il 16  giugno 2009 e ricostruito dopo le dichiarazioni del pentito Ercole Penna, condannato a nove anni.

Massimo Pasimeni

La Corte di Cassazione ha confermato il fine pena mai per Pasimeni ritenuto il mandante del fatto di sangue. E’ la terza condanna al carcere a vita per Piccolo dente, dopo quelle arrivate per gli omicidi di Truppi e Goffredo, contestati in un unico processo. Penna, il primo collaboratore della nuova Sacra Corona Unita-frangia mesagnese, ha svelato la fine di Salati subito dopo aver maturato la decisione di passare dalla parte dello Stato chiudendo la militanza nell’associazione di stampo mafiosa, iniziata quando aveva 17 anni.

Le motivazioni degli Ermellini sono state depositate nelle scorse settimane: la difesa di Pasimeni, affidata all’avvocato Marcello Falcone, aveva presentato ricorso dopo la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Lecce, partendo dal manifesto di innocenza che l’imputato ha sempre opposto davanti all’accusa formulata dal pm della Dda di Lecce nell’inchiesta chiamata Revenge, vendetta. Perché, secondo l’assunto accusatorio ormai diventato verità processuale, alla base dell’omicidio c’è stato il desiderio di vendetta di Pasimeni nei confronti di Salati, 62 anni, colpevole - secondo le voci di paese  - di aver avuto una frequentazione se non addirittura una relazione con una ragazza minorenne. Vox populi che a Massimo Pasimeni arrivò quando un familiare della minore gli chiese un incontro. Penna diede il via libera in nome del consenso sociale che la Scu cercava. E quella condanna a morte ebbe esecuzione.

Il pentito Penna, assistito dall’avvocato Sergio Luceri, è stato ritenuto credibile e ha beneficiato delle attenuanti della collaborazione, a conclusione del processo con rito ordinario nel quale parte civile è il Comune di Mesagne. Le conferme sui ruoli e quindi sull’organizzazione della spedizione sono state precisate da Francesco Gravina, alias il Gabibbo,  e Cosimo Giovanni Guarini, detto Maradona, imputati entrambi nel processo in abbreviato che pende in Appello per la rideterminazione della pena dopo il rinvio della Cassazione. Basista il primo, esecutore materiale l’altro.

Nei verbali resi da Maradona si legge: “Dopo aver ucciso Giancarlo Salati mi furono dati trecento euro in contanti direttamente da Francesco Gravina, il Gabibbo, con cui Vito Stano (imputato per l’omicidio e nel frattempo deceduto, ndr) aveva diviso la somma di un assegno di 1.500 euro. Ho ricevuto, insieme a Stano, da Gabibbo l’incarico di massacrare di botte Giancarlo Salati”, ha detto Guarini.  “Mi spiegò che  veniva direttamente da Penna e da Massimo Pasimeni, al quale si era rivolto lo zio di una ragazza con la quale Salati aveva una relazione”.

L’incarico sarebbe arrivato agli inizi di giugno: “Il 5 o il 6”, ricorda Guarini. “Con Stano, a bordo della sua Punto facemmo sopralluoghi, passarono così una decina di giorni, tanto è vero che Penna incontrò Gabibbo gli ‘devo andare io?’” è scritto. “Il 15 giugno ci recammo nei pressi della casa di Salati ma non potemmo concludere nulla perché sotto l’abitazione c’era una persona di una sessantina d’anni che rimase là senza allontanarsi. Già in quella occasione eravamo muniti di due mazze ricavate dalle sedie. Rinviammo, perciò, al giorno dopo”.

Ercole PennaL’imprevisto avrebbe comportato lo slittamento del piano ventiquattro ore dopo: “Io avevo mangiato da mia suocera e verso le 14.30 parcheggiammo l’auto nella piazzetta antistante la via dove abitava Salati già rivolta nel senso di marcia verso l’uscita dal centro storico. La porta dell’abitazione era aperta e salimmo io e Stano trovando Salati in accappatoio”. Agghiacciante il racconto di quei momenti: “Quando ci vide con le mazze disse in dialetto cosa ho fatto? parole che continuava a ripetere anche mentre lo picchiavamo. Io lo colpii per primo due volte sull’avambraccio sinistro con il quale cercava di difendersi, quinti Stano che nel frattempo si era portato dietro di lui, cominciò a colpirlo con violenza sulla testa continuando a dargli colpi anche dopo che Salati era caduto a terra”.

 “In questo frangente, sia Stano che Salati gridavano e io, preoccupato che i vicini potessero sentirci, sono uscito dall’abitazione. Sono scivolato aggrappandomi alla ringhiera per non cadere e il bastone finì per terra, poi lo presi e lo misi in macchina”. Guarini a quel punto sarebbe tornato indietro e vide scendere Stano con il quale se ne andò, ma sapeva di essere stato notato, stando a quanto si legge nel verbale.

“In quel momento ci videro alcune persone tra le quali ho riconosciuto nella prima piazzetta tale …..(ha fatto il nome e il cognome di una donna, ndr)”. Non l’unica teste, perché i due sarebbero stati visti da Pasimeni dalla sua abitazione, poco distante da quella di Salati, assieme a quattro persone, tra cui un suo parente. “Ricordo che Massimo Pasimeni fece a Stano un gesto con la mano come per dirgli che tutto era a posto”. Per la fuga scelsero la strada per San Vito e prima del passaggio a livello, girarono a sinistra sino a imboccare via Carmine: “Dopo di dirigemmo al bar, dove ci aspettava Gabibbo e dove la mattina prendemmo appuntamento per il pomeriggio”. “Stano mostrò a Gabibbo tutte e due le mazze che aveva in macchina, una delle quali, quella che aveva usato lui, era ricoperta di sangue e gli disse ‘mi sa che l’ho ucciso’. Gabibbo gli intimò di far sparire immediatamente le mazze che gettammo nel cassonetto dell’immondizia”.

Stando alle dichiarazioni di Guarini, sarebbe stato Stano il primo a preoccuparsi di risultare da un’altra parte, in modo tale da avere un alibi a prova di accuse e prima ancora di ogni sospetto: “Si recò nella filiale di una banca (di cui ha fornito nome e indirizzo, ndr) dove si trovava anche un carrozziere (anche in questo caso nome e cognome, ndr) sul conto del quale versò un assegno a lui intestato consegnatogli da un’assicurazione a titolo di risarcimento. Una parte della somma fu prelevata dal carrozziere e consegnata in contanti a Stano”. “L’assegno era dell’importo di circa 1.500-duemila euro, non so se in quella occasione l’uomo restituì a Stano tutta la somma o se tenne per sé una parte. Sicuramente trecento euro mi furono dati da Gabibbo, in contanti”. L’omicidio era stato consumato neppure un’ora prima.

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