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Cronaca

Pizzo e fiamme ad "Auto Tua": arresto

BRINDISI – Un inferno di fuoco, la notte tra il 31 agosto e il primo settembre scorsi, si mangiò 16 auto della concessionaria Auto Tua di via Porta Lecce, a Brindisi. Gli autori materiali non hanno ancora un volto e un nome, ma gli autori invece della tentata estorsione che l’attività commerciale subì il 24 dicembre 2008 sono ora tutti e due nella mani della giustizia. Il primo, Giuseppe Ragusa di 38 anni, ha già sulle spalle una condanna definitiva: fu identificato senza esitazione da uno dei titolari della concessionaria e arrestato dalla polizia il 20 gennaio 2009 su ordinanza di custodia cautelare. Oggi all’alba, sempre la Squadra mobile di Brindisi ha messo le manette al secondo emissario del racket, Cosimo Carone di 44 anni, detto Catunzi. Lui e Ragusa secondo gli investigatori appartengono ancora all’arcipelago del clan Buccarella di Tuturano, frazione di Brindisi sede della seconda famiglia più potente della Sacra corona unita.

BRINDISI – Un inferno di fuoco, la notte tra il 31 agosto e il primo settembre scorsi, si mangiò 16 auto della concessionaria Auto Tua di via Porta Lecce, a Brindisi. Gli autori materiali non hanno ancora un volto e un nome, ma gli autori invece della tentata estorsione che l’attività commerciale subì il 24 dicembre 2008 sono ora tutti e due nella mani della giustizia. Il primo, Giuseppe Ragusa di 38 anni, ha già sulle spalle una condanna definitiva: fu identificato senza esitazione da uno dei titolari della concessionaria e arrestato dalla polizia il 20 gennaio 2009 su ordinanza di custodia cautelare. Oggi all’alba, sempre la Squadra mobile di Brindisi ha messo le manette al secondo emissario del racket, Cosimo Carone di 44 anni, detto Catunzi. Lui e Ragusa secondo gli investigatori appartengono ancora all’arcipelago del clan Buccarella di Tuturano, frazione di Brindisi sede della seconda famiglia più potente della Sacra corona unita.

Carone, passato per una lunga trafila di processi per armi, reati contro il patrimonio e associazione per delinquere di stampo mafioso, è stato catturato sulla base di quella che può essere considerata una prova diretta, vale a dire l’identificazione fotografica, circostanziata e priva di vizi, sempre da parte di Maurizio Orlando, proprietario di Auto Tua assieme al socio Emilio Morocutti, effettuata dopo il disastroso rogo dell’1 settembre scorso. Questo non vuol dire che Carone e Ragusa siano gli autori materiali dell’attentato, né che l’incendio sia collegato in maniera indiscutibile e provata al tentativo di estorsione di tre anni fa. Ma il filo conduttore che ha portato la polizia sino al tuturanese è quello.

Infatti, hanno spiegato stamattina il capo della Squadra mobile, Francesco Barnaba, il sostituto commissario Domenico Conte e il capo della squadra antirapina, ispettore Giancarlo Di Nunno, il fascicolo che era stato momentaneamente chiuso con l’arresto di Giuseppe Ragusa nel gennaio 2009, è stato riaperto in seguito all’incendio della concessionaria. E questa volta la polizia aveva qualcosa da sottoporre all’attenzione e alla memoria di Maurizio Orlando: la foto di Cosimo Carone. Come mai? Un indizio era giunto da un collaboratore di giustizia brindisino, Giuseppe Passaseo, elemento border-line costretto prima a sparire e poi a passare dalla parte della legge quando ebbe la certezza che stavano per fargli la pelle. Una dichiarazione de relato, precisa il giudice delle indagini preliminari Maurizio Saso, nell’ordinanza di custodia cautelare chiesta dal pm Luca Buccheri, che ha diretto le indagini.

Cioè qualcosa di più di una labile traccia, una notizia che il pentito aveva appreso da altri, memorizzata e poi riferita ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Lecce. Ma estremamente utile per la Squadra mobile brindisina, che ha pescato la foto di Carone, l’ha inserita nell’album delle foto da sottoporre al teste – secondo i crismi del riconoscimento fotografico -, il quale tra le varie schede segnaletiche ha indicato, come fu per Ragusa, senza alcuna esitazione l’effigie di Catunzi. Quanto bastava per arrestare Cosimo Carone, visto che sulla base di un riconoscimento analogo, l’altro complice è stato condannato in via definitiva.

Il 24 dicembre del 2008 due individui si presentarono a Maurizio Orlando chiedendogli il pizzo: “Se non vuoi chiudere mi devi dare cinquemila euro”, si sentì dire il commerciante di auto. Ma la sua risposta fu negativa. “Allora comincia a chiudere”, gli disse uno dei due uomini del racket. Era Carone, ha detto Orlando alcune settimane fa al momento del riconoscimento fotografico. Un attentato arrivò a distanza di oltre un anno dall’arresto di Giuseppe Ragusa, nell’aprile 2010 e allora bruciarono 4 auto, il secondo è giunto all’1 del mattino del primo giorno dello scorso settembre, e sono state necessarie quattro squadre dei vigili del fuoco per domare le fiamme, e salvare almeno poche auto e una moto. Bruciarono invece due Fiat Punto, due Citroen C3, due Bmw, un’Alfa, un’Audi, una Peugeot 308, una Lancia, una Fiat Stilo ed una Opel Astra, mentre le altre risultarono irriconoscibili al primo impatto.

Ora l’intera vicenda ha una sua logica investigativa, quella della ritorsione - come supposto sin dall'inizio dalla Squadra mobile -  e non certo quella di un nuovo tentativo estorsivo, escluso dal fatto che chi chiede il pizzo non distrugge la gallina dalle uova d’oro in anticipo. Anche se Cosimo Carone, difeso da Amilcare Tana, andrà davanti ai giudici solo per tentata estorsione e detenzione illegale di tre cartucce calibro 12 per fucile. Una delle quali a palla elicoidale, anche se qui non ci sono più cinghiali da almeno un secolo.

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