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Cronaca Fasano

Prima lo schiaffo, poi la morte: è omicidio preterintenzionale. Condanna a 6 anni e 8 mesi

Il "filo" che lega lo schiaffo alla morte, l'evento doloso all'effetto indesiderato, ha tenuto ed è rimasto integro anche dopo una camera di consiglio durata un'ora. Tanto è bastato alla Corte d'Assise di Brindisi per decidere e condannare a 6 anni e 8 mesi un ambulante di Fasano.

FASANO - Il “filo” che lega lo schiaffo alla morte, l’evento doloso all’effetto indesiderato, ha tenuto ed è rimasto integro anche dopo una camera di consiglio durata un’ora. Tanto è bastato alla Corte d’Assise di Brindisi per decidere e condannare a 6 anni e 8 mesi un ambulante di Fasano, Domenico Giannoccaro, ritenuto responsabile dell’omicidio preterintenzionale di Vito Trisciuzzi colpito con uno schiaffo per una sedia contesa al bar e deceduto in ospedale il 26 giugno del 2013, 15 giorni dopo l’episodio che ne aveva reso necessario il ricovero.

Il pm Milto Stefano De Nozza, aveva chiesto la condanna alla pena minima di 5 anni e 4 mesi, considerate anche le attenuanti generiche, convinto che vi fosse stata volontarietà da parte di Giannoccaro nel colpire la vittima dinanzi al Tam Bar di via Dante, a Fasano, l’11 giugno 2013, per quanto poi l’epilogo, ossia la morte dell’uomo, non fosse stato poi un evento contraddistinto da dolo.

La difesa sosteneva invece che si fosse trattato di una spinta del tutto accidentale, verificatasi durante la lite per il posto a sedere ai tavolini del bar. La Corte (presidente Domenico Cucchiara, a latere Giuseppe Biondi) ha infine condiviso la tesi del pm che aveva chiesto subito dopo l’interrogatorio di garanzia seguito all’arresto di Giannoccaro, nel dicembre scorso, il giudizio immediato. Durante il dibattimento gli stessi testimoni che erano stati ascoltati in fase d’indagine e che avevano confermato di aver osservato l’imputato mentre sferrava uno schiaffo all’anziano, affetto da difficoltà deambulatorie, avevano modificato la propria versione dei fatti.

Domenico GiannoccaroE aveva rischiato di trasformarsi in una commedia dell’assurdo un processo in Assise nel corso del quale se n’erano viste di tutti i colori. I famigliari della vittima non si sono costituiti parte civile, la vedova aveva perfino chiesto scusa al presunto omicida del marito per averlo trascinato in quella situazione. I testi tutti lì a ripetere la stessa versione dei fatti “modificata” utilizzando tutti la medesima frase: “E’ partita la mano”.
La conclusione è invece delle più serie: i giudici togati e popolari hanno deciso infine di validare il ragionamento fatto dal pubblico ministero e supportato da approfondimenti scientifici oltre che dagli esiti della perizia medico legale del consulente Antonio Carusi.

Trisciuzzi, detto Tuccidd, è morto per un arresto cardiocircolatorio dovuto a una emorragia subaracnoidea bilaterale profonda. Proprio nella “bilateralità” c’era secondo l’accusa il legame con l’azione meccanica esterna, ovvero lo schiaffo da intendersi come “gesto volontario”.

Le patologie pregresse quindi non sarebbero “causa” dell’evento morte, ma l’occasione testimoniata proprio dalla “doppia” emorragia, che è dovuta a uno spostamento del cervello dovuto proprio al colpo. Conseguenze esasperate dalle già precarie condizioni di salute dell’uomo, condizioni “evidenti” come ha argomentato il pm De Nozza nella sua requisitoria, anche a “Sciopizz”, l’imputato che aveva avuto modo di constatare che l’altro contendente aveva necessità di usare un bastone per camminare. Rischi espliciti, dunque, tanto da poter essere considerati in tempo: “aspetti che connotano il legame psicologico tra l’evento morte e la condotta”.

Il sostituto procuratore Milto De Nozza E’ omicidio preterintenzionale, quindi, se la ricostruzione dei fatti combacia perfettamente con lo schema tracciato dalle norme. Dolo nelle percosse e nelle lesioni, colpa nella morte. Con una concreta possibilità per chi ha agito di valutare e accettare il rischio previsto dal proprio comportamento. Quanto all’improvvisa e collettiva ritrattazione anche piuttosto buffa per come si è manifestata da parte dei testimoni: “E’ l’esempio – ha detto il pm – di come i testi siano spesso sottoposti a una serie di sollecitazioni esterne”. 

La questione, in punto di diritto, non era delle più banali. Ma l’accusa ha convinto tanto i due giudici togati quanto i sei popolari della colpevolezza dell’imputato, dal ruolo parificato nella decisione. Il conto, a questo punto, è salato. Il pm nel calcolare la pena aveva usato tutta l’indulgenza possibile, naturalmente in relazione alla contestazione. Aveva tenuto in considerazione l’età dell’imputato, oltre che di tutta una serie di circostanze attenuanti. Per conoscere ragioni della severità della Corte si dovranno attendere i 90 giorni fissati per il deposito della motiviazione. 

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