Allaccio abusivo ma furto di energia non dimostrato: assolto imprenditore
Un brindisino accusato di aver rubato energia elettrica all'Enel per un importo di 37mila euro per alimentare una pompa idraulica. Ma al momento del controllo l'impianto non era in funzione
BRINDISI – L’allaccio abusivo sì, c’era, ma non vi è alcuna certezza che il furto di energia sia stato consumato. Sulla base del principio “in dubbio pro reo” è stato assolto un imprenditore agricolo brindisino difeso dall’avvocato Francesco Monopoli, accusato di aver sottratto all’Enel una quota di energia elettrica per un importo complessivo di circa 37mila euro. La sentenza di assoluzione è stata pronunciata dal giudice del tribunale di Brindisi Ambrogio Colombo, a fronte di una richiesta di condanna a otto mesi di reclusione e 600 euro di multa avanzata dal pubblico ministero.
L’accusa di furto era scaturita da un sopralluogo effettuato nell’agosto 2019 dalle forze dell’ordine e dai tecnici dell’Enel. Stando all’ipotesi accusatoria, l’imputato, fra agosto 2014 e agosto 2019, avrebbe consumato a sbafo energia elettrica attraverso un cavo di alimentazione di un quadro elettrico di sua proprietà che serviva al funzionamento del motore elettrico di una pompa idraulica di un pozzo. Tale stratagemma avrebbe dunque impedito la registrazione dei relativi consumi. Ma l’energia è stata effettivamente sottratta alla società energetica? Questo l’interrogativo intorno al quale si è sviluppato il processo.
Come riferito sia dal verificatore dell’Enel che dal consulente di parte, il cui sopralluogo è stato effettuato un paio di mesi dopo l’ispezione da cui è scaturita la denuncia, il quadro elettrico collegato abusivamente alla rete di distribuzione si trovava all’interno di un rudere circondato da un terreno completamente incolto, praticamente in stato d'abbandono. L’operatore della società energetica ha inoltre precisato che lo stesso quadro risultava alimentato, ma che non è stato possibile appurare se la pompa funzionasse o meno. Questo perché l’attivazione del pozzo, “non ben tenuto”, poteva rappresentare un pericolo per la sicurezza. L’impianto dunque non era in funzione al momento del controllo. Di quell’allaccio abusivo, fra l’altro, l’imputato ha detto di essere stato all’oscuro e di non aver mai coltivato nulla su quel terreno, dove si era recato l’ultima circa 6 mesi prima dell’ispezione delle forze dell’ordine, intervenute su segnalazione anonima.
Insomma, come rimarcato dal giudice, non è stato provato che “al momento del controllo – si legge nelle motivazioni della sentenza - fosse in atto un’abusiva fruizione di energia né si sono forniti elementi presuntivi chiari, univoci e concordanti atti a comprovare il verificarsi di un illegittimo prelievo in passato (tipo riduzione dei consumi registrati in bolletta rispetto a periodi progressi)”. Non è stato neanche dimostrato che la pompa elettrica fosse funzionante: cosa di non poco conto, visto che “il furto di energia si identifica – scrive il giudice – non con l’allaccio abusivo ma con l’impossessamento dell’energia”. L’imprenditore è stato quindi assolto perché il fatto non sussiste, “in quanto la mera presenza dell’allaccio abusivo non dimostra di per sé l’illecita sottrazione di energia”.