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Cronaca

"Quell'uomo in mare era sotto choc"

Antonio Valenti, gruista con vasta esperienza da marittimo, è stato l’unico civile a gettarsi in mare per tentare di soccorrere Alessandro Colangeli, lo skipper morto in seguito al semi-affondamento dello yacht.

BRINDISI – “Tutti hanno fatto il massimo per salvare il comandante. C’è stato grande spirito di collaborazione fra i soccorritori e i cittadini presenti sulla diga”. Antonio Valenti, gruista con vasta esperienza da marittimo, è stato l’unico civile a gettarsi in mare per tentare di soccorrere Alessandro Colangeli, lo skipper morto in seguito al semi-affondamento dello yacht incagliatosi due giorni fa sulla banchina di Punta Riso. Valenti sa bene come comportarsi nelle operazioni di salvataggio e di recupero natante.

Lo dimostrano una serie di attestati conseguiti ai tempi in cui prestava servizio come responsabile di bordo su una nave, prima di trasferirsi sui cantieri navali. “Ho fatto recuperi di motoscafi – spiega Valenti – per conto della Guardia di finanza e della Capitaneria di porto. In alcune circostanze ho anche soccorso dei bagnanti in difficoltà. So come ci si comporta in situazioni di emergenza causate dal moto ondoso”. E proprio perché sa come comportarsi nelle situazioni di pericolo, Valenti ha desistito ed è tornato indietro quando si è reso conto di non poter aiutare Colangeli. “Ho fatto 50 metri a nuoto – racconta Valenti – ma non sono riuscito a rompere il punto critico. La corrente mi trascinava verso terra. Le articolazioni cominciavano a farmi male. Per coscienza e per non mettere a rischio la vita di altre persone, ho fatto marcia indietro”.

Antonio e il fratello Luciano hanno seguito dal vivo quei terribili 15 minuti in cui la yacht, alla mercé delle onde, è andato alla deriva verso la diga, fino a infrangersi sui frangiflutti. “Abito vicino la diga – dichiara Luciano – quando ho visto lo yacht a circa un miglio dalla costa, mi sono subito recato sulla diga perché avevo intuito che le cose si sarebbero messe male”. Informato dell’accaduto dal fratello, Antonio raggiunge la diga. “Lo skipper – dichiara Antonio – era in plancia. Gli altri due membri dell’equipaggio (un rumeno e un moldavo sopravvissuti alla tragedia, ndr) tentavano di aprire i para-bordi per salvare la barca. Ma nella parte sinistra dello scafo si era formata una falla sinistra attraverso la quale entrava acqua. Il destino dello yacht, ormai, era segnato”.

Valenti sale sui frangiflutti e cerca di comunicare con l’equipaggio. “Fra me e la barca – dichiara il gruista – c’erano pochi metri di distanza. Ma ho dovuto urlare a squarciagola per farmi sentire. Il vento, le onde e il rumore dello scafo che sbatteva sulla diga creavano un frastuono assordante. Ho chiesto a uno dei ragazzi se sapesse nuotare. La risposta è stata: “No”.

Sulla diga si forma un capannello composto da una ventina di persone. A poche decine di metri dalla diga, una motovedetta della Guardia costiera cerca di dare indicazioni ai naufraghi. Sullo sfondo, come documentato da alcuni video pubblicati in queste ore sul web, si intravede un piccolo peschereccio: lo stesso che aveva tentato di agganciare la yacht con alcune cime, dopo il rifiuto dei passeggeri di salire a bordo della motovedette.

“All’inizio – ammette Valenti – ho visto il caos. I ragazzi volevano tentare di lasciare la barca gettandosi a poppa, dalla parte della diga. Ma ho urlato loro di non farlo poiché sarebbero stati risucchiati dai vortici formatisi in prossimità della falla e sarebbero stati inghiottiti dal mare”. I naufraghi, indossati i giubbotti di salvataggio, si dirigono allora verso prua. “Il primo naufrago – dichiara Valenti -, lo stesso che mi aveva detto di non saper nuotare, si è tuffato da solo e ha raggiunto la motovedetta a bracciate, coprendo una distanza di circa venti metri. Il comandante e l’altro passeggero hanno abbandonato la barca insieme. A mio avviso, sarebbe stato più opportuno calarsi uno per volta. Se lo avessero fatto, avrebbero dato alla motovedetta la possibilità di avvicinarsi”.

Anche il secondo straniero, ad ogni modo, raggiunge a nuoto il mezzo di soccorso. Colangeli, invece, annaspa fra le onde. “Lo skipper – dichiara il gruista – era finito in un punto critico. Il giubbino gli permetteva di restare a galla, ma le forze, man mano che passava il tempo, cominciavano a venirgli meno. Ho come avuto la sensazione che quella persona fosse scioccata dalla vista della nave che si disintegrava sulla diga”.

 

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