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Cronaca

Rapina all'Ipercoop: proroga indagini per la ricerca dei complici

Trovati altri indizi, forse tracce di Dna. Notificato l'avviso ai quattro indagati, tutti in carcere dall'11 maggio scorso per l'assalto armato alla gioielleria Follie d'Oro avvenuto il 3 dicembre 2014. Mai recuperato il bottino del valore di centomila euro

BRINDISI – In quattro sono stati arrestati e sono in carcere dall’11 maggio scorso per l’assalto armato alla gioielleria dell’Ipercoop, ma i complici no. Sono ancora liberi, a partire dall’autista. Ed è alle “seconde  linee” che la Procura di Brindisi intende arrivare a dare un nome e un volto agli altri del gruppo, motivo per il quale è stata disposta una proroga delle indagini sul colpo avvenuto il 3 dicembre 2014.

Cristian Ferrari-2Francesco Colaci-2Gli avvisi sono stati notificati a Cristian Ferrari, 23 anni, l’unico ad aver confessato la partecipazione alla rapina, in occasione del ricorso al Riesame; Francesco Colaci, stessa età (i due nelle foto accanto); Antonio Di Lena, 29 anni; e Angelo Sinisi, coetaneo, considerato il leader del gruppo. Tutti di Brindisi. C (foto in basso) così come di Brindisi si ritiene possano essere gli altri, a partire dall’autista della Giulietta Alfa Romeo, rubata a Carovigno e ritrovata a distanza di poche ore dall’assalto ripreso dalle telecamere del sistema di videosorveglianza della gioielleria.

Altri sei mesi di tempo per chiudere il cerchio, partendo da elementi di interesse investigativo sui quali è necessario attendere i risultati di accertamenti, probabilmente legati al rinvenimento di nuove tracce di Dna. Nuove tracce che forse sono differenti dai profili genetici che nell’ordinanza di arresto chiesta e ottenuta dai pm Jolanda Daniela Chimienti e Milto Stefano De Nozza sono considerati fonti di prova e non gravi indizi di colpevolezza. “Il profilo di responsabilità oltrepassa la piattaforma della gravità colpevole per attestarsi su un piano di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio”, scriveva il gip Maurizio Saso.

Oltre all’autista, resta da capire chi si è occupato della ricettazione dei gioielli, per un valore di almeno centomila euro, mai trovati. E chi ha fornito al gruppo le armi, fucili a canne mozze.

I quattro restano tutti in carcere, dopo che il Riesame ha respinto le istanze presentate dai difensori, anche se le posizioni sono diverse dopo che Cristian Ferrari, ha deciso  - a sorpresa - di rompere il silenzio e lo ha fatto parlando in prima persona, solo per sé,  ammettendo la sua partecipazione, davanti ai giudici ai quali il suo avvocato Daniela d’Amuri, aveva chiesto un’attenuazione della misura cautelare con il riconoscimento dei domiciliari.

In carcere anche Francesco Colaci, per il quale l’istanza dinanzi al Riesame è stata discussa dall’avvocato Mauro Durante secondo il quale non ci sono elementi tali da ritenere certa la presenza del suo assistito nella gioielleria presa di mira dalla banda. Il penalista aveva contestato i gravi indizi evidenziati nell’ordinanza di custodia firmata dal giudice per le indagini preliminari.

Si tratta del profilo genetico ricavato da tracce lasciate sui guanti trovati nell’auto usata per il colpo, una Giulietta Alfa Romeo rubata a Carovigno: gli agenti della scientifica hanno isolato alcune impronte miste attribuite a Ferrari e a Colaci. Per Ferrari, l’altro grave indizio è il dna, è stato ricavato da tracce di sangue su frammenti di vetro delle couvette trovati sia all’interno della gioielleria che un porta-preziosi lasciato accanto allo sportello dell’auto, probabilmente nella fuga. Mentre per Colaci c’è quella traccia mista che per il difensore ha una spiegazione, se si considera che l’indagato ha usato quei guanti facendo motocross, per cui non sarebbe possibile arrivare alla matematica certezza della partecipazione del ragazzo al colpo all’Ipercoop.

DI LENA Antonio, classe 1987-2SINISI Angelo, classe 1987-2Domiciliari negati anche per Angelo Sinisi e Antonio Di Lena, per i quali il ricorso è stata discusso dall’avvocato Laura Beltrami: la penalista aveva chiesto l’attenuazione della misura, ma nei confronti dei due pesano indizi diversi dal dna, ritenuti ugualmente gravi dal gip che ha firmato il provvedimento d’arresto perché si riferiscono al contenuto di alcune intercettazioni ambientali disposte nell’inchiesta sull’omicidio di Cosimo Tedesco, morto in ospedale per le ferite riportate dopo la sparatoria del primo novembre 2014 in  piazza Raffaello, rione Sant’Elia.

Gli inquirenti all’epoca avevano il sospetto che dietro quei colpi di pistola successivi a una lite tra bambini nel corso di una festa in maschera, potessero essere coinvolte in qualche modo due famiglie, quella di Alessandro Coffa e quella di Andrea Romano. Da qui la richiesta di ascoltare le conversazioni tanto nelle auto, quanto nelle abitazioni dove hanno parlato Alessandro Coffa, Angelo Sinisi e Antonio Di Lena, convocati dal primo nella sua casa a Sant’Elia, piazza Raffaello, “su ordine di Andrea Romano che in quel periodo era latitante al pari di Alessandro Polito, cognato di Francesco Coffa”.

Era un momento particolare per la criminalità brindisina, secondo quanto ha scritto il gip  perché “Romano e Polito poco avevano gradito un’azione criminale così efferata che aveva avuto come unico effetto quello di stringere le maglie del controllo ad opera delle forze di polizie”.

L’11 dicembre 2014 Alessandro Coffa chiama a raccolta i ragazzi per rimproverare il gruppo della rapina e per i pm e il gip è questa la conversazione intercettata che vale più di un indizio, praticamente una prova, tanto da definire “granitico il quadro a carico degli indagati”: Coffa “riteneva di redarguirli per aver posto in essere l’azione nel periodo di latitanza dei due ricercati per omicidio, senza neppure una preventiva comunicazione a Romano”. Dal canto loro, Sinisi e Di Lena si giustificano sostenendo che “i due latitanti non fossero più a Brindisi”, perché c’era chi sosteneva che fossero in Francia o comunque lontano da casa, e aggiungendo che quella gioielleria non fosse sotto la protezione di nessuno. In altri termini, non avevano pestato i piedi ad altri, né tanto meno avevano mancato di rispetto i grandi.

A quell’incontro non si presentano però Francesco Colaci che risiede al piano superiore nella palazzina in cui vive Coffa e Christian Ferrari che verranno riconvocati il 16 dicembre da Sinisi per affrontare il discorso sulla  “somma di tremila euro da consegnare ai latitanti, come compenso per i danni provocati dalla rapina commessa”. Somma che Sinisi avrebbe consegnato a Coffa, per girarlo al solo Romano, niente invece sarebbe stato dato a Polito, arrabbiatosi di nuovo al punto da scrivere una lettera a Colaci.

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