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Cronaca San Vito dei Normanni

San Pietro Vernotico e i "magnifici 28" che si opposero alla Scu

La rivolta silenziosa di popolo, in un mattino assolato dei primi anni 90, fu il coronamento di un paziente e instancabile lavorio politico, istituzionale, culturale, etico, sociale, perfino psicologico

Immaginate un paese nel quale cali improvvisamente il silenzio e tutti i locali pubblici chiudano l’uscio o abbassino le saracinesche, in segno di adesione a quel che sta accadendo. E poi immaginate una marea di popolo sfilare per le vie di quel paese, guidata dai propri amministratori pubblici, “osservata” a distanza, in alcuni angoli cruciali di passaggio del corteo, da nugoli di noti malviventi, attoniti per quel che di inverosimile stanno vedendo, per quel che non era mai accaduto e che mai più sarebbe accaduto in seguito.

E’ la San Pietro Vernotico di quando gettò l’ostacolo oltre la siepe e vinse la paura incussa negli anni dagli “innominabili” del tempo, in uno dei templi della Sacra Corona Unita.

Quella rivolta silenziosa di popolo, in un mattino assolato dei primi anni 90, fu il coronamento di un paziente e instancabile lavorio politico, istituzionale, culturale, etico, sociale, perfino psicologico, di alcuni “incoscienti” giovani comunisti e non – ricordo per i pochi tutti, Salvatore Mariano, Ernesto Musio, ai quali si sarebbe coraggiosamente aggiunto nel tempo l’indimenticato Giuseppe Petraroli- che osarono sfidare e combattere, con quotidiano rischio personale, la malapianta del crimine organizzato, che negli anni successivi avrebbe subito processi e condanne importanti. 

In quella battaglia “impossibile”, dato il contesto, non solo politico, avverso, avemmo l’importante incoraggiamento della Commissione parlamentare Antimafia, in particolare dell’instancabile on. Antonio Bargone, il quale fece venire più di una volta a sostenere i nostri temerari comizi il suo Presidente, l’on. Luciano Violante, al quale sono brillati gli occhi quando gli ho ricordato quei tempi, incontrandolo recentemente in una iniziativa referendaria.

Alcuni di quei giovani comunisti poi, con l’aiuto fondamentale del bravissimo e protettivo capitano Pagano, riuscirono a convincere diversi commercianti, imprenditori e agricoltori a costituirsi in Associazione.

E così la sera del 23 marzo del 1995, presso lo studio notarile del Dottor Nicolò Antonio Morano, si costituì l’Associazione “Sviluppo e Legalità”, la cui denominazione scaturì da una mia proposta. E con la nascita dell’Associazione partì finalmente la primissima denuncia di estorsione subita. Fu rotto quell’invincibile muro di gomma che si chiama omertà.

I commercianti Cosimo Mangione, Ezio Giglio, Fabrizio Romano, Antonio Palumbo, Marcello Romano, Mario Altavilla, Francesco Salice, Monda Osvaldo, Franco Schirinzi, Elia Francesco, Antonio Giannuzzi, Bruno dell’Anna, Raffaele Rizzo, Giovanni Alemanno, Massimo Greco, Leone Pierluigi; gli agricoltori Galati Romualdo, Cosimo Saracino, Pietro De Marco; gli imprenditori Mario De Giorgi e Mario Rascazzo; i meccanici Franco Armando e Carella Pietro; l’artigiano Grassi Pasquale; gli impiegati Angelina Greco, Ermanno Manca, Musio Ernesto; l’insegnante Salvatore Mariano: questi sono i magnifici 28 che dettero vita a una delle primissime Associazioni Antiracket della nostra Provincia e della Puglia.

Non conosco in Italia Associazione Antiracket che si sia costituita parte civile nei processi –provate voi a passare ogni volta al cospetto degli imputati nelle aule di giustizia! - tantissime volte, quanto quella di San Pietro Vernotico, l’Associazione Antiracket “Sviluppo e Legalità”, guidata dall’amico e coraggioso compagno Ermanno Manca, con il generoso gratuito ausilio professionale dell’avv. Ugo Catamo.
Scorrendo le immagini e leggendo la cronaca e i commenti della bella iniziativa dei giorni scorsi promossa dal giovane sacerdote don Vincenzo Martella sulla legalità con il giudice Cataldo Motta, non posso fare a meno di ricordare che c’è chi fu perfino pubblicamente redarguito da coloro che in quel tempo Massimo D’Alema avrebbe apostrofato come “cacicchi”, solo per aver richiamato le “strutture di peccato” denunciate dalla Nota Pastorale della CEI “Educare alla legalità” del 1991, a seguito della “mafiosità di comportamento” nei quali “i diritti diventano favori, quando non contano i meriti, ma i legami di “comparaggio” politico”, come aveva messo in guardia il Documento dei Vescovi Italiani “Chiesa italiana nel Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà” già nel 1989.

Come sarebbe stato importante in quei tempi terribili la presenza di preti come quelli odierni che hanno fatto incontrare a San Pietro il giudice Cataldo Motta con i giovani! Strappano perciò un mesto e pacifico sorriso le mediatiche passerelle di quanti oggi fanno a gara a limitarsi ad “apparire” negli incontri sui temi della criminalità e della legalità.

Ai giovani di oggi credo invece che vada consegnato il messaggio dell’instancabile insegnamento di papa e “papà” Bergoglio, che invita alla sobrietà dei comportamenti, anche politici, che non inseguono la chimera del denaro facile e la bramosia del facile ma illusorio successo mediatico o del potere prevaricante sugli altri, considerati “scarti”.

Ciò perché, prima ancora della repressione di ogni illegalità e di ogni crimine, organizzato e non, credo vada creato quell’humus culturale preventivo, oggi deficitario, che è l’educazione alla legalità nelle scuole, nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle istituzioni, nelle coscienze, a partire dalla sana e buona politica, soprattutto con l’esempio pratico dei comportamenti, senza nulla a pretendere in cambio.
A noi bastava vedere la felicità negli occhi di una persona o il consenso solidale di una popolazione per l’aiuto che gli prestavamo, per ciò che facevamo, per il servizio civico che svolgevamo, per sentirci ricchi! Bastava a riempire ugualmente di ricchezza la nostra gioventù, la nostra storia politica, la nostra vita!

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