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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

Sandro Campana in videoconferenza: "Mio fratello uccise Tonino D’Amico con 2 colpi"

Il collaboratore di giustizia in videoconferenza da una località segreta: “Pasimeni mio amico storico, ma ora basta con questa maledetta Scu, lo devo alla mia compagna; D'Amico ucciso per dare un messaggio a tutti i pentiti". E poi: "“Greco di Mesagne doveva essere gambizzato: ad agire furono Floriano e Benito di San Donaci”

BRINDISI – “Voglio rispondere a tutte le domande, signor presidente della Corte: io sono uno dei capi della Sacra Corona assieme a mio fratello Francesco, con Ronzino De Nitto che è il nostro braccio destro, ma dopo vent’anni basta con questa maledetta Scu. C’è anche un motivo sentimentale se ho deciso così: lo devo alla mia compagna che in un colloquio nel carcere di Lecce mi chiese di mettere fine a questa cosa per avere una vita dignitosa. E io l’ho fatto”.

Il pentito. Sandro Campana, nativo di Mesagne, 40 anni compiuti lo scorso 5 agosto, questa mattina ha parlato per la prima volta in qualità di testimone della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, nel processo a carico del fratello maggiore, Francesco, 42, che lui per primo accusa di Sandro Campana dopo la catturaomicidio, dinanzi alla Corte d’Assise. Lo ha fatto per poco meno di due ore, in videoconferenza, da una località segreta, in cui è ristretto per effetto dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita il 16 dicembre 2014, con l’accusa di aver fatto parte di un’associazione mafiosa. La Sacra Corona Unita, ha precisato oggi rispondendo alle domande del sostituto procuratore Alberto Santacatterina che lo ha incontrato per la prima volta in veste di dichiarante lo scorso 28 luglio (a destra, Sandro Campana).

Da allora Campana junior ha scritto oltre 200 pagine di suo pugno, in stampatello, che valgono come memoriale, dal contenuto esplosivo per la mole non solo di accuse leggibili e riferite al fratello, ma anche per quelle ancora segrete che sono coperte da una valanga di omissis. Basti pensare che da pagina uno sino a 111, i fogli sono tutti rimasti in bianco e altre ce ne sono quando il dichiarante ha ricostruito altri episodi, partendo dai fatti di sangue. Altri rispetto a quelli indicati nei capi di imputazione contestati a Francesco Campana,  Carlo Cantanna, Ercole Penna pentito da tre anni, Carlo Gagliardi, Ronzino De Nitto, e Peppo Leo. 

Francesco Campana Il motivo sentimentale. Oggi si scopre, forse per la prima volta, che alla base della volontà di lasciare il sodalizio per passare dalla parte dello Stato, c’è anche una componente sentimentale ossia il legame con la donna che non lo ha lasciato neppure nel periodo in cui era latitante. Fu cercando lei, seguendo i suoi spostamenti che gli agenti della Mobile riuscirono a stanare Sandro Campana per notificargli l’ordine di esecuzione della pena (definitiva) scaturita dal processo Rintocco: lo trovarono in una villetta di mare nella provincia di Taranto (a sinistra, Francesco Campana). 

La ragione del cuore, infatti, è stata indicata dopo quella riferita nei verbali finiti agli atti, che rimanda all’invito che gli era stato rivolto dal fratello, Francesco Campana, nel periodo in cui questi era ristretto nel carcere di Voghera e per non rischiare di finire nel regime duro del 41 bis, gli chiese di “assumersi le responsabilità di portare avanti l’associazione”. Sandro Campana ha parlato tutto d’un fiato, forse troppo, al punto che il difensore del fratello, l’avvocato Cosimo Loderserto, ha avuto il dubbio che stesse leggendo, circostanza esclusa con fermezza.

La lettera del fratello. Per quale motivo quella missiva era indirizzata a lui? Perché Sandro era la persona di cui più si fidava Francesco, proprio perché fratelli, e perché entrambi rivestivano lo stesso grado: “Diritto al medaglione con catena, i nostri appoggi sono Salvatore Buccarella di Tuturano e Giuseppe Gagliardi con tutta la sua famiglia, Io, Francesco, Buccarella e Gagliardi rivestiamo il ruolo di vertice e tutti facciamo riferimento a Pino Rogoli”. Nella Scu Sandro Campana ha detto di esserci entrato già nel 92 quando aveva 17 anni perché stava con “Eugenio Carbone, amico storico, poi Bellocco mi riconobbe il grado di fedelissimo ed erede di Rogoli e mi diede il grado superiore di capo società. Ora gli eredi di Rogoli siamo io e mio fratello”.

Cosa voleva Campana senior? La supremazia sul territorio, in barba a una sorta di pace tra i gruppi siglata in carcere, stando alla dichiarazioni rese dal fratello Sandro: “Nel lontano 2008, tra gennaio e febbraio, nel carcere di Lecce ebbi modo di incontrare il mio amico storico Massimo Pasimeni e parlammo di tutti gli omicidi, era il leader della Sacra Corona Libera con Antonio Vitale, Daniele Vicientino ed Ercole Penna. Io e lui facemmo la solenne promessa di non far scoppiare guerre di mala e di mantenere la pace fra i due gruppi all’infinito. Questa era la cosiddetta pax mafiosa. Se avessi detto di sì a mio fratello, ero consapevole del fatto che sarebbe scoppiata una guerra”.

Omicidio Tonino D’Amico. Non doveva più esserci sangue, come invece c’era stato  nell’estate del 2001, il 9 settembre, quando venne ucciso Antonio, detto Tonino, D’Amico, fratello di Massimo D’Amico, alias Uomo Tigre, che proprio in quel periodo stava iniziando a collaborare e che oggi è parte civile nel processo: “Sapevo tutto prima ancora che fosse ammazzato”, ha detto oggi in videoconferenza. “Mio fratello e Carlo Gagliardi sono gli autori di quell’omicidio: Gagliardi era alla guida della moto, rubata, perché era scaltro, sapeva guidare bene e conosceva i posti, mentre Francesco non li sapeva visto che mancava da Brindisi dal ’91 e sparò con un fucile a canne mozze, caricato a pallettoni, due colpi”, ha spiegato svelando i retroscena del delitto avvenuto alla diga di Punta Riso, dove Antonio andava di solito a pescare. “In quel periodo sia mio fratello che Gagliardi erano latitanti e si nascondevano ad Acquarica del capo, prima dell’omicidio avevano base in una villa a mare non ricordo se a Casalabate o a Torre San Gennaro”.

Perché lui, proprio il fratello del più noto D’Amico? Risposta: “Era arrivato il momento di colpire un parente di un collaboratore di giustizia per dare una notizia eclatante ai pentiti tutti e Tonino andava a colloquio con il fratello che stava iniziando a collaborare”. Mandante della condanna a morte, sarebbe stato Giuseppe Gagliardi che ordinò di procedere durante un colloquio in carcere, quando era detenuto al 41 bis e veniva trasferito a Lecce per seguire il processo in cui era imputato: “Giuseppe Gagliardi aveva motivi di rancore nei confronti di Massimo D’Amico che sin dal ’98 lo umiliava in cella a Brindisi”.

Sandro Campana sostiene di aver saputo tutto da Giovanni Gagliardi e Carlo Gagliardi, mentre non ha “mai parlato direttamente” con il fratello Francesco. In ogni caso, il risultato dell’agguato fu uno solo: “In tal modo Rogoli era tornato al vertice della Scu e quindi noi eravamo i capi”.
Ferimento di Vincenzo Greco. In aula il dichiarante ha anche ricostruito il ferimento di Vincenzo Greco, avvenuto a Mesagne, il primo luglio 2010 e ha fatto i nomi di due uomini ritenuti gli esecutori materiali, rimasti ancora in libertà: “Furono due di San Donaci, Floriano e Benito, di cui non so i cognomi perché non li conosco proprio, ma erano affiliati a Pietro Soleto: il primo guidò una moto, una Kawasaki mille di colore nero, e l’altro sparò. Quel giorno successe che persero l’orientamento, non ricordarono più quale fosse il portone di Greco e girarono per le strade, poi videro Greco si era affacciato perché aveva sentito il rumore. Lo riconobbero, Benito sparò all’impazzata e venne colpita un’altra persona che non c’entrava niente e gli disse che sarebbe toccato al fratello, mentre era a terra”.

In quel periodo i fratelli Campana erano latitanti: “Io stavo nel basso Tarantino e qualche volta andavo a San Pancrazio, dove andai tre giorni prima del tentato omicidio perché Angelo Librato, nostro affiliato storico, mi disse che c’erano due di San Donaci che mi volevano parlare con urgenza”. Il motivo: “Vincenzo Greco alzò le mani a Benito e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso già pieno perché dopo la scarcerazione dei Greco, nativi di San Donaci, c’erano problemi sul territorio. A quel punto dissi che dovevano parlare direttamente con mio fratello”.

“La mattina successiva, il 2 luglio, mi venne a trovare Antonello Gravina detto Pizzaleo  e mi disse che tutto il commissariato di Mesagne era stato a casa sua credendo di trovare me e mio fratello ritenendoci responsabili dell’accaduto. Mi arrabbiai e volli sapere chi aveva dato l’ordine di scendere a Mesagne: lo diedero mio fratello e Ronzino De Nitto, ma doveva essere una gambizzazione, un avvertimento, poi Benito ha esagerato”. 
Secondo Sandro Campana nulla ha a che vedere con la sparatoria il fatto che il fratello di Vincenzo Greco, Leonardo, diede uno schiaffo ad Antonio Campana, nel carcere di Lecce, “su ordine solo di Ercole Penna”, circostanza riferita da altri pentiti: “Questo fatto dello schiaffo l’ho saputo nel lontano giugno 2004 quando ero detenuto a Taranto dove c’era Vicientino e chiesi spiegazioni a lui che però non ne sapeva niente”.

Omicidio di Toni Molfetta. Andando ancora più indietro nel tempo, Campana ha riferito dell’omicidio di Antonio Molfetta, detto Toni Cammello, avvenuto tra la notte del 29 maggio 1998 giorno della sua sparizione e l’8ottobre successivo, giorno in cui venne ritrovato il cadavere nelle campagne di Ostuni.  Molfetta era stato affiliato alla Scu da Massimo Delle Grottaglie (clan dei mesagnesi) ed era considerato un confidente della polizia, dunque da condannare a morte.

“Conosco Delle Grottaglie da quando avevo 17 anni, fu lui a raccontarmi tutto dell’omicidio: Cammello faceva uso di droga e si temeva anche che fosse diventato un confidente della polizia, per questo doveva essere ucciso. L’ordine partì quando Delle Grottaglie era in carcere a Foggia, esecutori materiale furono Giovanni Colucci, detto il professore, di Ostuni, Francesco Argentieri e Amedeo Esperti, detto Citolina”.

In ultimo Sandro Campana ha precisato di non aver mai letto mandati di cattura, né verbali di altri: “Io stesso non ho mai letto la mia ultima ordinanza di arresto, l’ho data alla mia compagna e le ho detto di gettarla nella spazzatura. Sono carte che non vanno portate in giro, ma date solo agli avvocati”.

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