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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Scambio di colpi, poi la resa di “Aiace”

MANDURIA – Lo aspettano 30 anni di carcere, sentenza definitiva pronunciata il 19 ottobre scorso, quando lui era già sparito. Comprensibile la crisi isterica che lo ha colto dopo la cattura da parte dei carabinieri della compagnia di Manduria, nel primo pomeriggio di oggi.

MANDURIA – Lo aspettano 30 anni di carcere, sentenza definitiva pronunciata il 19 ottobre scorso, quando lui era già sparito. Comprensibile la crisi isterica che lo ha colto dopo la cattura da parte dei carabinieri della compagnia di Manduria, nel primo pomeriggio di oggi. Giuseppe Giordano, 42 anni, detto Aiace, ha fatto più o meno la fine del suo ex capo Vito Di Emidio, uno dei killer più spietati della Scu e da tempo collaboratore di giustizia di complessa gestione: anche Di Emidio finì la latitanza durante un inseguimento da parte dei carabinieri di Brindisi, che in verità aveva scambiato per sicari di un gruppo rivale.

Come già detto nel primo lancio di questa notizia, “Aiace” era a bordo di un’auto rubata ed ha avuto un conflitto a fuoco con una pattuglia del Norm di Manduria prima di arrendersi. Poi la crisi di nervi, un breve passaggio in ospedale per il trattamento del caso, quindi in carcere in isolamento. Per i carabinieri di Manduria, invece, le attività hanno avuto una lunga appendice, alla ricerca del covo di Giordano e di eventuali complici, uno dei quali è stato arrestato perchè era in auto con lui. Nel Salento, il sampietrano che porta sulle spalle la condanna per l’omicidio in Montenegro di Santino Vantaggiato, la cui morte fu decisa da Di Emidio solo perché sospettava che l’altro brindisino lo avesse raggiunto nell’enclave contrabbandiera di Bar per liquidarlo, era però in cima la lista delle persone da catturare non solo perché lo attendevano 30 anni di galera.

“Aiace”, per la sua determinata follia – come dicono gli investigatori – forse era proprio la persona alla quale era stata affidata la riuscita del piano di evasione del paesano Raffaele Martena, detenuto nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce, ma scoperto prima che fosse attuato, grazie al rinvenimento di alcune lettere di cui si era riusciti a decifrare i messaggi in codice contenuti. Quindi niente fuga in ambulanza, per il giovane pregiudicato al quale la Scu avrebbe delegato – sempre secondo gli investigatori – la gestione del traffico di droga e i contatti con alcuni clan albanesi. Martena avrebbe dovuto fingere un malore, poi il trasferimento in ospedale, ma lungo la strada sarebbe scattata l’imboscata.

Forse servivano per questo piano anche i Kalashnikov che il geometra brindisino Elvis Bozzetti stava per contrabbandare a Brindisi da Valona, dopo averli caricati con un adeguata scorta di munizioni e una trentina di granate tra le quali alcune fumogene, sulla propria Fiat Multipla, ma finendo nella rete della polizia di frontiera albanese. Come avrebbe fatto Bozzetti a passare i rigidissimi controlli nel porto di Brindisi? Forse qualcuno sulla nave avrebbe preso in consegna l’arsenale, per nasconderlo e portarlo a terra nella notte con un sotterfugio. Quindi Bozzetti sarebbe sceso “pulito”.

Giordano, Martena, Bozzetti, e chissà chi altro. Volti, ipotesi, pezzi di un mosaico su cui gli investigatori mantengono un riserbo strettissimo perché la pista porta diritto al cuore della Scu attuale. Ora sono tutti e tre nelle mani degli inquirenti. Sembra lontanissimo quel 16 settembre del 1998, quando nella villa di Vito di Emidio a Bar fu ammazzato in diretta telefonica Santino Vantaggiato, con gli uomini che aveva intorno trasformatasi improvvisamente da amici in assassini: Giuseppe Giordano, lo stesso “Bullone” e Lorenzo De Giorgi. “«Ehi! Uhe, cumpà… cumpà», gridò Vantaggiato quando vide le armi puntate contro di lui. I poliziotti  che intercettavano dall’altra sponda dell’Adriatico sentirono rimbombare nelle cuffie di ascolto due colpi e una breve raffica.

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