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Schiavi del fotovoltaico, la cubana diventa una miniera di notizie per i pm

BRINDISI - Cinque su sette rispondono alle domande del gip, due preferiscono per il momento avvalersi della facoltà di non rispondere. E’ sostanzialmente questo il bilancio della seconda tornata di interrogatori di garanzia a carico dei presunti schiavisti comparsi questa mattina alle 10 di fronte al gip Maurizio Saso, interrogatori che si sono protratti fino al tardo pomeriggio, le 17 circa. Fra quelli che hanno parlato tutti negano, ricusano, prendono le distanze dallo scenario di sfruttamento bestiale ai danni degli schiavi del fotovoltaico svelato dalle procure di Brindisi e Lecce, tutti tranne una. Ha probabilmente visto invece, e dunque sapeva, Veronica Yanette Guibert Alonso (34enne di Cuba residente a Surbo), difesa dall’avvocato Umberto Leo.

BRINDISI - Cinque su sette rispondono alle domande del gip, due preferiscono per il momento avvalersi della facoltà di non rispondere. E’ sostanzialmente questo il bilancio della seconda tornata di interrogatori di garanzia a carico dei presunti schiavisti comparsi questa mattina alle 10 di fronte al gip Maurizio Saso, interrogatori che si sono protratti fino al tardo pomeriggio, le 17 circa. Fra quelli che hanno parlato tutti negano, ricusano, prendono le distanze dallo scenario di sfruttamento bestiale ai danni degli schiavi del fotovoltaico svelato dalle procure di Brindisi e Lecce, tutti tranne una. Ha probabilmente visto invece, e dunque sapeva, Veronica Yanette Guibert Alonso (34enne di Cuba residente a Surbo), difesa dall’avvocato Umberto Leo.

Tanto il difensore quanto gli inquirenti mantengono il più stretto riserbo sulle dichiarazioni rese dalla giovane donna cubana in merito agli scenari che le si sono spalancati davanti agli occhi nelle numerose traversate nei campi. La 34enne aveva funzioni di magazziniera e passacarte, spesso si recava nei cantieri per consegnare gli attrezzi di lavoro e le comunicazioni di servizio con i capi di turno, mansioni per le quali indossava un segno distintivo che potrebbe avere confuso il suo ruolo con quello dei presunti schiavisti individuati dagli inquirenti: un casco bianco. Secondo la donna quel segno distintivo potrebbe avere fatalmente determinato la confusione.

“Sono un’immigrata anch’io, ho lavorato anch’io per dodici ore al giorno – ha detto la 34enne, prostrata - e i ragazzi nei campi erano miei fratelli, compagni di sventura. Non avrei mai osato fare nulla contro di loro, glielo chieda, le diranno chi ero e se non è vero che ho fatto per loro tutto quello che ho potuto”. Tranne la testimonianza accorata, scioccante negli omissis che saranno svelati a tempo debito, nessuno dell’esercito Tecnova, sapeva. A cominciare dall’amministratore unico della società spagnola Luis Manuel Gutierrez Nunez (38 anni di Cacabelos Leon in Spagna). L’uomo ha sostenuto di non essere a conoscenza di quali fossero le condizioni degli immigrati impegnati nella realizzazione dei campi di fotovoltaico fra Brindisi e Lecce, in forza delle funzioni amministrative che lo relegavano negli uffici.

Dichiarazioni che fanno il paio con quelle rese da Cosima De Michele (56 anni di Brindisi, amministratore Db Consulting consulente del lavoro), il figlio Marco Damiano Bagnulo (22 anni di Brindisi, consulente del lavoro Db Consulting) e Manuela Costabile (24 anni di Brindisi, consulente del lavoro), difesi dall’avvocato Fabio Di Bello. Tutti, indistintamente, sostengono di non aver mai messo piede in nessuno dei 17 campi edificati dalla subappaltatrice Tecnova per conto del Global solar fund. Tutti sono trasecolati di fronte allo scenario di sfruttamento bestiale a carico degli immigrati costretti, secondo l’accusa, a orari e condizioni di lavoro massacranti. Loro “stavano negli uffici”, hanno detto, dunque “non potevamo sapere”.

Hanno invece scelto la strada del silenzio Martin Denowebu (34 anni del Ghana, capocantiere residente a Lecce) e Brahim Lebhihe (26 anni del Marocco residente a Brindisi), rispettivamente difesi dai legali Riccardo Giannuzzi e Francesco Nutricati. Scelta non confondibile – hanno sottolineato i legali – con indisponibilità a collaborare con la magistratura, piuttosto una necessaria pausa di riflessione in attesa di mettere a fuoco le accuse contestate.

Prosegue intanto la caccia al resto dei sei indagati destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Maurizio Saso, sfuggiti alla cattura all’alba del blitz messo a segno dalla guardia di finanza di Brindisi, i militari al comando del colonnello Vincenzo Mangia e del maggiore Gabriele Sebaste, i primi a raccogliere le drammatiche testimonianze degli immigranti in rivolta, dopo mesi trascorsi a piedi nudi nel fango, gravati dal peso insopportabile dei cavi da acciaio trasportati anche sotto la pioggia torrenziale, spesso fino ventiquattro ore consecutive.

Fino a quando gli schiavi del terzo millennio non hanno detto basta, dando la stura alle indagini, che promettono di portare lontano.

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