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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Da 20 anni al carcere duro, prossimo alla laurea in Giurisprudenza

Antonio Vitale, 51 anni, alias il “Marocchino”, ha chiesto la tesi a conclusione degli studi: è ristretto nel penitenziario di Viterbo. Definitive le condanne per associazione mafiosa: "Tra i fondatori della Scu".Venne arrestato la prima volta a 19 anni con l'accusa di aver preso parte a una rapina

BRINDISI – Detenuto al 41 bis dal 1999, diventerà a tutti gli effetti dottore in Giurisprudenza tra qualche mese, dopo aver discusso la tesi, probabilmente in diritto penale. Lo studente è Antonio Vitale, 51 anni, mesagnese, nome che a dispetto del tempo passato sembra ancora viaggiare di pari passo con l’alias il “Marocchino”. E’ in carcere da 31 anni, con condanne definitive associazione mafiosa, la  Sacra Corona Unita.

La laurea al 41 bis

antonio vitale-2Vitale, riconosciuto – con sentenza – come uno dei fondatori del cosiddetto clan dei mesagnesi, nelle scorse settimane ha chiesto la tesi, dopo aver concluso il percorso di studi previsto per la facoltà di Giurisprudenza. Ha studiato in cella, è ristretto nel carcere di Viterbo che di stanze detentive ne conta 432, divise in tre padiglioni, fermo restando le restrizioni alla libertà personale imposte dal regime del carcere duro, coincidente con la sua vita dal 1999. Ininterrottamente.

In qualità di detenuto al 41 bis, si è diplomato e successivamente ha scelti di proseguire gli studi, scegliendo la facoltà che ha ritenuta più vicina a lui dopo aver trascorso giorni, mesi e anni a leggere ordinanze di custodia cautelare ottenute dalla Direzione distrettuale antimafia, motivazioni di sentenze che lo hanno riguardato in prima persona così come ricorsi e istanze, fra il Tribunale di Sorveglianza, la Corte di Cassazione e i decreti che ministri alla Giustizia. (Al lato una delle ultime foto di Antonio Vitale)

Il carcere duro

Dal 99 ad oggi, alla scadenza di ogni biennio, i ministri che si sono avvicendati, hanno sempre firmato il decreto per la conferma del 41 bis. Alla base, ci sono sempre state valutazioni sullo status di pericolosità sociale di Vitale: concreta e attuale è stata ritenuta la capacità di mantenere contatti con l’esterno del carcere, con alcuni degli affiliati alla Sacra Corona Unita, associazione mafiosa che resiste nonostante la doppia ghigliottina. Da un lato le continue inchieste della Dda di Lecce, dall’altro emorragia di segreti conseguenza dei pentimenti.

carcere generico-4L’ultimo dichiarante in ordine di tempo, è Antonio Campana, fratello di Sandro, già ammesso al regime della collaborazione, e di Francesco, considerato il capo della presunta frangia riconducibile a Buccarella. Nella storia della Scu contemporanea, è come se ci fosse stato un effetto domino dopo che Ercole Penna, nel 2010, decise di passare dalla parte dello Stato. Ha certamente cambiato pelle il sodalizio, ma può dirsi sconfitto, come è emerso nell’ultima relazione sull’attività svolta dalla Direzione investigativa antimafia che il ministro della Giustizia ha letto in Parlamento.

Vitale, al pari di ogni altro detenuto in regime di carcerazione dura, vive in condizione di isolamento massimo: è ristretto in una cella singola, senza accesso a spazi comuni come la palestra, con un’ora d’aria al giorno. Limitati sono anche i colloqui con i familiari, incontri durante i quali non c’è possibilità di contatto fisico essendoci l’obbligo di un vetro a dividere il detenuto e i parenti. Viene riconosciuta una telefonata al mese con i congiunti autorizzati. E c’è controllo della corrispondenza, sia quella spedita che quella ricevuta.

Il primo arresto e i processi

carcere corridoio-2Venne arrestato la prima volta quando aveva appena 19 anni con l’accusa di rapina. Il suo alias, il “Marocchino”, negli ambienti della Sacra Corona Unita, pare sia legato alla descrizione fisica di uno dei banditi, fatta da un rapinatore. Foto di Antonio Vitale recenti non ce ne sono. L’ultima risale a poco prima che finì al 41 bis, all’indomani della prima condanna per essere stato al vertice del sodalizio di stampo mafioso. Ruolo che gli è stato contestato e riconosciuto, con sentenza irrevocabile, sino al finire degli anni Novanta.  

La cronaca dei giudiziaria, quella delle inchieste e dei conseguenti processo in cui rimase coinvolto il mesagnese,  riferisce di una prima condanna dopo il blitz  “Aggiano”: otto anni di reclusione. A seguire il procedimento, Antonio Vitale, venne condannato per l’inchiesta “Carbone” a pena pari a sei anni, poi “Mediana” risalente al  2000, processo a conclusione del quale, il conto della giustizia arrivò a 13 anni (è difeso dagli avvocati Cinzia Cavallo e Marcello Falcone del foro di Brindisi).

L'ultima testimonianza in tribunale

Il pentito Ercole PennaL’ultima volta che Vitale ha partecipato a un processo a Brindisi è stata nel 2011: in quella occasione venne autorizzato il collegamento in videoconferenza dal carcere nel quale era ristretto e il detenuto parlò del pentito Penna che lo chiamò in correità sin da subito, facendo mettere a verbale di aver assunto la direzione della Scu assieme a lui, a Daniele Vicientino, alias il Professore, e a Massimo Pasimeni, detto Piccolo dente.

 “Mi sembra che Ercole Penna è un mio coimputato, mi pare di averci parlato. Se mi dà qualche particolare forse è meglio”, disse al rappresentante della pubblica accusa. “Ero in detenzione, mi pare nel corso del processo Carbone che si è celebrato nel ‘98”. E ancora: "“Io a Penna lo conosco appena, l’ho visto in udienza preliminare a Lecce e lettere non mi ricordo di averne scritte, ma al 41 bis c’è la censura, tutto è sotto controllo, quindi la posta in entrata e in uscita viene fotocopiata e messa agli atti”, aggiunse.  Conoscenza fugace anche quella di Vitale con Massimo Pasimeni, nel periodo della comune detenzione prima del carcere duro. (Nella foto accanto Ercole Penna)

L’assoluzione

Nel 2010, Vitale venne assolto dall’accusa di avere minacciato Massimo D'Amico, alias Uomo Tigre, poi diventato collaboratore di giustizia. I fatti inizialmente contestati si riferivano ai tempi di uno dei processi in cui Vitale era imputato e D'Amico era stato citato in veste di collaboratore. I due erano in videoconferenza e il pentito riferì di un gesto di minaccia, rispetto al quale il Tribunale pronunciò assoluzione perché il fatto non sussiste. Assoluzione piena incassata da Vitale, detenuto al 41 bis per mafia, prossimo alla laurea in Giurisprudenza.

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