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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

“Scu, si sparava tra affiliati per droga ed estorsioni”

Il pentito Penna nel processo Game Over con 22 brindisini imputati: "Alessandro Fago è stato fatto martire, gli spararono a casa, subì attentati alla sua attività mentre Raffaele Renna dava ordini fuori dal carcere tramite la zia". Riferita anche un'aggressione in cella: "Picchiarono Antonio Campana, fratello di Francesco. Non si muoveva foglia senza il mio permesso"

BRINDISI – “C’erano dei problemi tra gli affiliati alla Scu di Cellino San Marco e San Pietro Vernotico, troppi contrasti per le attività di droga ed estorsioni e fui costretto a intervenire io stesso perché si sparava pure in quel periodo”.

Il pentito Ercole PennaNessuno degli uomini della Sacra Corona Unita avrebbe mai immaginato che Ercole Penna, 42 anni, di Mesagne, sino al novembre 2010, capo indiscusso della mala nel Brindisino un giorno sarebbe passato dalla parte dello stato e avrebbe aiutato i magistrati nella ricostruzione di omicidi, estorsioni e nella definizione di rotte e ruoli nel narcotraffico. E come collaboratore di giustizia sarebbe diventato il principale accusatore, chiamato a testimoniare al pm della Dda di Lecce, come nel processo scaturito dall’inchiesta chiamata Game Over che il 18 novembre 2013 portò al blitz dei carabinieri.

Questa mattina Penna, assistito dall’avvocato Sergio Luceri, ha offerto al Tribunale di Brindisi di fronte al quale è stato incardinato il processo la sua ricostruzione di quel periodo di tempo, facendo anche i nomi di alcuni dei 22 imputati accusati di aver fatto parte di un gruppo di stampo mafioso riconducibile a Salvatore Buccarella e a Francesco Campana che, per conto di Raffaele Renna, avrebbe coordinato lo spaccio di droga e le estorsioni ai danni di titolari di esercizi commerciali, ristoratori e paninari.

Raffaele Renna“A Cellino e a San Pietro c’erano dei nostri affiliati che erano referenti, così come in ogni altro paese della provincia: c’erano quelli del clan Buccarella-Campana e c’erano i nostri, quelli del gruppi dei mesagnesi, che fa capo a me, Daniele Vicientino, Massimo Pasimeni e Antonio Vitale”, ha detto il pentito in videoconferenza da una località riservata. “Cercavamo di non pestarci i piedi. A San Pietro c’era Lucio Annis per noi, mentre per Campana c’era Raffaele Renna, detto Puffo, e c’era Domenico D’Agnano detto Nerone”. Annis è imputato in ordinario, Renna in abbreviato ed è stato condannato in primo grado a 18 anni e otto mesi. “Annis era nostro affiliato”, ha ripetuto rispondendo alla domanda dell’avvocato Francesco Cascione. “Noi siamo Vicientino, Pasimeni e Vitale, non cambia niente”

Tra i due e, quindi, fra i rispettivi gruppi di appartenenza, secondo Penna, ci furono problemi: “Ricordo che Alessandro Fago venne fatto martire, tra virgolette, perché gli sparano a casa e all’attività che faceva con i furgoni”, ha detto rispondendo alla domanda del pm Alberto Santacatterina. “Renna aveva chiesto a me e Pasimeni di fargli del male, ma a noi non interessava quella persona. So che Renna ce l’aveva con Fago perché quest’ultimo dava poco conto dell’attività che svolgeva sul territorio”.

Tra le contestazioni mosse nel processo, anche quella di aver preteso “la somma pari a 50mila euro da Alessandro Fago già affiliato alla Sacra Corona Unita”: l’estorsione è stata contestata a Domenico D’Agnano, Luca Ferì, Giampiero Alula e Antonio Bonetti. In concorso tra loro avrebbero “danneggiato le attività commerciali e gli immobili di proprietà o gestititi dalla famiglia Fago”. La richiesta di denaro sarebbe stata determinata anche “dal rapporto di parentela con Francesco Argentieri, a sua volta esponente dell’associazione”.

Nella logica intimidatoria, D’Agnano avrebbe fatto esplodere una bomba per danneggiare il Fiat Iveco di Pancrazio Fago, mentre Luca Ferì avrebbe esploso un colpo di pistola contro la rivendita di panini gestita dai parenti di Alessandro Fago. E ancora, D’Agnano avrebbe danneggiato il manufatto in legno adibito a ristorante a Campo di Mare, sempre con una bomba, e avrebbe appiccato il fuoco all’abitazione provocando l’incendio di due camere da letto e il crollo del muro divisorio.

campana francesco-2Fago, inoltre, aveva anche una parentela indigesta a Francesco Campana: “Era parente di Francesco Argentieri detto Francescone, ed era affiliato inizialmente a Gagliardi e poi a Delle Grottaglie. Campana e Argentieri, a loro volta, erano in astio perché in precedenza c’era stato un pestaggio in carcere ai danni del fratello di Francesco, Antonio Campana. Successe tra il 2002-2003”, ha detto il collaboratore.

Non si sarebbe trattato dell’unica aggressione in cella, nella struttura di Borgo San Nicola, a Lecce: “Qualsiasi cosa avveniva lì dentro,mi veniva detta, non si muoveva foglia se non davo il nulla osta. Per Antonio Campana, me lo chiese Vitali”, ha precisato il collaboratore rispondendo alla domanda del difensore di Francesco Campana, Cosimo Lodeserto.

Renna dal carcere, stando all’impostazione accusatoria, avrebbe gestito l’attività di spaccio, i cui proventi venivano in parte destinati al sostentamento delle famiglie dei detenuti, per conto della “frangia operante nella provincia di Brindisi e in particolare a Tuturano, Cellino San Marco, San Pietro Vernotico, San Donaci e Torchiarolo”. Gli ordini sarebbero stati consegnati all’esterno dalla zia di “Puffo”, Maria Carmela Rubini, stando all’accusa mossa dal pm e sarebbero stati eseguiti da: Cristian Tarantino, Jonni Serra,  Mario Conte e Sebastiano Esposito, i primi tre già condannati in abbreviato.

“Serra è di San Pietro ed è affiliato a Renna e io lo seppi da Argentieri il quale mi disse che avevano fatto un movimento a mio carico. Lo seppi dopo, succedeva spesso nel periodo di espansione dell’associazione”, ha detto Penna. “Tra gli altri affiliati c’era un certo Tarantino-Tarantini, il nome mi arrivò anche in carcere quando mi mandarono i saluti perché essendo io il capo venivo rispettato. Quanto alla zia, so che quando Renna era dentro i suoi ordini venivano portati all’esterno tramite i colloqui nel periodo 2002-2005”.

Prima di Penna, è stato sentito un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Passaseo, 46 anni, di Brindisi, assistito dall’avvocato Alessandra Luceri: tra i non ricordo e gli aiuti alla memoria del pm ha riferito di essere stato lui stesso affiliato a Francesco Campana, “altri sodali sarebbero stati D’Agnano, Renna, Alessandro Monteforte, i fratelli Bagordo”.

Davide TafuroAscoltato anche Davide Tafuro, 28 anni, di San Pietro, pentito anche lui, assistito dall’avvocato Manfredo Fiormonti (lo stesso di Vito Di Emidio) per il quale sono diventate definitive le condanne per associazione mafiosa e non risulta esserci altro pendente: “Io appartenevo a Roberto Trenta che a sua volta era con Lucio Annis, avevo il grado di terza, gli altri affiliati erano Crocefisso Geusa, Alessandro Blasi, il fratello di Annis ossia Fabrizio Annis. Renna non l’ho mai conosciuto, so che con lui c’era Tanarntino che invece conosco e c’era Mario Conte”, ha riferito in aula. “Il business era quello della droga, delle estorsioni e delle auto bruciate che abbiamo commesso noi”.

Il collegio difensivo è composto dagli avvocati: Cosimo Lodeserto, Francesco Cascione, Giuseppe Guastella, Ladislao Massari, Donata Perrone, Vincenzo Catamo, Alessandra Viterbo, Carlo Carrieri, Fabio Di Bello, Domenico Valletta, Giuseppe De Luca, Enrico Chirivì, David Alemanno, Francesco Santangelo e Claudio Cioce.

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