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Cronaca

“Scu, tre donne nel sodalizio mafioso: postine dei pizzini e cassiere”

La difesa in Appello. Il gup: “Veronica Giraudo svolge consapevolmente il ruolo di tramite di Tobia Parisi, suo marito, capo della frangia”. Tamara Niccoli: “Portava fuori dal carcere lettere del compagno Luca Ciampi”. E Monica Grassi, cugina di quest’ultimo: “Custodiva le somme”

BRINDISI – “Alter ego dei mariti o compagni, non solo a conoscenza delle dinamiche interne al clan, ma consapevolmente attive nell’associazione mafiosa”: tre donne avrebbero fatto parte della Scu, svolgendo i ruoli di postine tra il carcere e l’esterno, per recapitare i pizzini scritti o destinati ai detenuti, e di cassiere del gruppo.

Le imputate e le condanne

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Nella prima sentenza del processo, in abbreviato, scaturita dall’inchiesta della Squadra Mobile di Brindisi sulle nuove affiliazioni della Sacra Corona Unita, chiamata The beginners, viene affermato il ruolo di primo piano di: Veronica Giraudo, 34 anni, di Mesagne, moglie di Tobia Parisi, a sua volta ritenuto il reggente della frangia cosiddetta mesagnese, sottoposta a obbligo di dimora, condannata alle pena di cinque anni di reclusione Niccoli Tamara, 26 anni, di Brindisi, ai domiciliari, compagna di Luca Ciampi, considerato il diretto referente in città di Parisi, condannata a quattro anni e otto mesi; Monica Grassi, 35 anni, rimasta in libertà, cugina di Ciampi, anche condannata a quattro anni e otto mesi. Il gup ha riconosciuto a tutte e tre le attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, trattandosi di persone incensurata. La posizione di Parisi è pendente nel processo con rito ordinario, mentre Ciampi è stato condannato a dieci anni , in abbreviato.

I colloqui in carcere

Secondo il gup Giovanni Gallo del Tribunale di Lecce, di fronte al quale si è svolto il giudizio (con riduzione di un terzo della pena) “i colloqui che Veronica Giraudo ha tenuto nel periodo delle indagini con il marito Parisi hanno offerto molteplici elementi idonei a provare la sussistenza dell’organizzazione criminale” tratteggiata dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Lecce. La “stessa – scrive il giudice nelle motivazioni – svolgeva un ruolo assolutamente necessario per favorire l’attività del gruppo criminoso, informando Parisi delle vicende più importanti avvenute all’esterno del carcere e facendosi portavoce verso i sodali delle volontà espresse dal compagno”.

La difesa della donna “ha molto insistito sulla circostanza che fosse una mera emissaria del marito”, ma il gup ha concluso evidenziando che l’imputata “svolge in maniera consapevole la funzione di tramite tra Parisi, detenuto, e gli affiliati e le rispettive famiglie. In questo contesto, sono da leggere – stando alla sentenza – le minacce di Parisi, affidate alla donna, nei confronti di un uomo, per confermare “l’esercizio sul territorio di un potere di supremazia assoluto”, così come il messaggio di rivolversi a “Toni per dirgli di incendiare le auto.

Alter ego del marito

“Determinante e significativo del ruolo di alter ego del marito è la raccolta del provento delle attività illecite compiute dal gruppo”. Contesto nel quale, sarebbero da inquadrare le richieste estorsive ai danni di alcuni brindisini gestori di aree parcheggio al servizio di discoteche nel brindisino, durante il periodo estivo. Aspetto sul quale ci sono state divergenze di vedute tra i pm della Dda e il gup, circa, motivo per il quale nelle motivazioni è stato dedicato un capitolo a parte. In ogni caso, per il giudice, emerge “complessivamente lo stato di assoggettamento del territorio con la pretesa di avere del denaro da esercizi pubblici per evitare futuri problemi”.

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Le lettere

Quanto “a Tamara Niccoli, il suo ruolo non è solo di favorire il ruolo del compagno Luca Ciampi, ma assume un contributo determinante nell’associazione, agevolando e contribuendo fattivamente ai fini illeciti che il sodalizio si propone di raggiungere”.  L’imputata, secondo il gup, avrebbe chiesto “agli affiliati più fedeli di raggiungerla presso l’abitazione” in tal modo avrebbe intrattenuto “rapporti tra il leader detenuto e coloro i quali erano liberi e viceversa, incontrando i sodali prima dei colloqui in carcere e dopo per fornire le direttive fornite dal capo”. Mezzo di comunicazione sarebbe stati “i pizzini o le lettere del compagno ristretto in carcere, a Lecce” e nel tempo, avrebbe anche avuto la responsabilità della “gestione del denaro del clan, disponendone a seconda delle esigenze del gruppo e ricevendo i compensi delle attività illecite, destinati anche al sostentamento delle famiglie dei sodali detenuti”.

Il denaro del gruppo

“In ordine alla posizione di Monica Grassi” le considerazioni del gup sono le seguenti: “è sorella di Antonio Grassi, detto Totò, inserito nel sodalizio, cugina di Luca Ciampi, e moglie di Giuseppe Vantaggiato”. Vantaggiato,  a sua volta condannato a  sei anni di reclusione. Antonio Grassi è stato condanna  a sette anni e otto mesi.

“Le indagini hanno chiarito il ruolo di cassiera del clan rivestito dalla donna, con il compito svolto in collaborazione con il marito e dietro le rigorose direttive imposte da Ciampi, di custodite il denaro, consegnare le somme agli affiliati a seconda delle necessità del momento, ridurre i sostentamenti settimanali nei periodi di calo delle entrate illecite”. Tutto questo – scrive il giudice  - fino a quando le subentra, sempre per ordine di Ciampi, la compagna Niccoli.

La difesa

I difensori delle imputate hanno anticipato il ricorso in Appello per ribaltare le conclusioni a cui è arrivato il gup. “Si è detto con un’espressione molta colorita, ma efficace, che nel presente procedimento, svoltosi dell’aula bunker contro molti imputati detenuti per il delitto associativo, mancherebbe il ‘convitato di pietra’, cioè la mafia”. Lo hanno sostenuto diversi difensori. “Con tale espressione – si legge – si vuole affermare, nella sostanza, che le condotte emergenti dalle indagini non hanno la capacità di integrare il delitto di stampo mafioso”. Per il gup “si tratta di argomentazione interessanti che colgono parzialmente i cambiamenti avvenuti nella criminalità brindisina negli ultimi anni, ma dalle indagini emerge in maniera chiare l’esistenza di una frangia della Scu”. Di un gruppo del quale avrebbero fatto parte anche tre donne, stando alla prima verità processuale.

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