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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Sepolto vivo per aver difeso un'adolescente, il pg chiede 20 anni per l'amico della vittima

ORIA - Sepolto vivo dal branco a 17 anni, per aver difeso una amica, adolescente come lui, dalle attenzioni di un 60enne. Torna nelle aule di giustizia, la terribile storia del giovane oritano Joseph De Stradis, ucciso il 20 aprile del 2004. Si è aperto questa mattina, di fronte alla corte d’assise d’appello di Taranto il giudizio di secondo grado a carico di uno dei tre presunti assassini, il 25enne Luigi Caffa: era il migliore amico della vittima.

ORIA - Sepolto vivo dal branco a 17 anni, per aver difeso una amica, adolescente come lui, dalle attenzioni di un 60enne. Torna nelle aule di giustizia, la terribile storia del giovane oritano Joseph De Stradis, ucciso il 20 aprile del 2004. Si è aperto questa mattina, di fronte alla corte d’assise d’appello di Taranto il giudizio di secondo grado a carico di uno dei tre presunti assassini, il 25enne Luigi Caffa: era il migliore amico della vittima.

Il terzo, ma non ultimo degli imputati, fu condannato in primo a grado a 16 anni per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Sei anni dopo, il pubblico ministero della procura di Taranto Ciro Saltalamacchia, riapre il conto, invocando in appello la rideterminazione della pena chiedendo una condanna a vent’anni e il riconoscimento, a carico dell’imputato, delle aggravanti oltre che del reato di sequestro di persona.

Sono trascorsi sei anni, eppure il dolore per quel delitto atroce ancora brucia nelle notti insonni di mamma Anna, del papà Lino, del fratello di Joe, Jonathan. Non hanno mai smesso di chiedere giustizia, storditi dalla contraddizione di sapere in libertà due su tre, dei presunti assassini. Furono in tre, infatti, come ha ricordato ieri il procuratore, a trascinare la giovane vittima nell’auto che lo avrebbe portato verso l’ultimo viaggio. Il capo del commando assassino, era anche l’unico adulto: il falegname Francesco Fullone. All’epoca aveva 61 anni.

Joseph sapeva qualcosa che non avrebbe dovuto, e bisognava zittirlo. Gli legarono i polsi con del filo di ferro e lo costrinsero, prima di imboccare la strada verso Torre Borraco, marina di Manduria, a telefonare alla ragazzina, dissuadendola dal parlare in giro delle insidie subite. Quattro giorni dopo quel 20 aprile di sei anni fa, un uomo vide spuntare una scarpetta da ginnastica dalla sabbia. Così sarebbe stato trovato il corpo di Joseph.

L’autopsia avrebbe svelato l’accanimento degli aguzzini, le torture, le botte, persino le sevizie. E l’orrendo tocco finale, capolavoro di crudeltà: il ragazzino venne sepolto vivo. Fullone è stato condannato prima all’ergastolo, poi a trent’anni. Finirà probabilmente i suoi giorni in cella. Il minorenne del gruppo è stato condannato a dodici anni in primo e secondo grado, e attende le motivazioni della sentenza per il ricorso in Cassazione, attesa in libertà. Caffa invece, attende l’esito del giudizio iniziato ieri.

Il pm chiede adesso che al terzo, ma non ultimo, degli assassini, venga innanzitutto addebitato il reato di sequestro di persona. Caffa, dice il sostituto procuratore, faceva parte a pieno titolo del branco che sottopose Joe a “limitazione della libertà di movimento allorchè, appena giunti a destinazione, gli fu apposto un cingolo metallico in corrispondenza del polso di sinistra e gli fu così impedito di allontanarsi”.

Ancora. A quello che era “il migliore amico” della vittima, furono concesse le attenuanti generiche, applicate dal giudice dell’udienza preliminare in ragione “della giovane età” dell’imputato, della mancanza di precedenti, e soprattutto dell’ascendente “esercitato da Francesco Fullone nei confronti dei giovani che si riunivano nella sua falegnameria e quindi della soggezione che egli riusciva ad incutere”.

Argomentazioni di natura “meramente indulgenziale”, secondo il pm, per il quale le aggravanti a carico dell’imputato ci sarebbero tutte anche in ragione del fatto che “nella condotta del Caffa non si ravvisa, né è stata prospettata, l’ombra di un movente. Era il migliore amico di Joe ed ha attivamente partecipato all’uccisione dello stesso senza alcun motivo, con ogni verosimiglianza solo per l’effetto di un’ineluttabile inclinazione al delitto”. Argomentazioni destinate a scontrarsi con quelle della difesa. Prossima udienza dedicata alla arringa dell’avvocato Pasquale Annicchiarico. Solo dopo, la sentenza.

Recentemente, la mamma di Joe De Stradis, da queste pagine online, ha fatto sapere che non perdonerà mai nessuno degli assassini del suo ragazzo, tanto meno colui che passava per essere il suo migliore amico. Ed ora attende giustizia piena.

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