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Cronaca

Indumenti maleodoranti destinati nel Brindisino: nei guai un imprenditore

Fermato nel porto di Bari un container contenente 24 tonnellate di merce ammassata alla rinfusa, proveniente dalla Lituania

Erano ammassati alla rinfusa in un container, in violazione di ogni norma igienica. Un’azienda con sede in provincia di Brindisi era la destinataria di un carico da 24 tonnellate di indumenti di seconda mano e maleodoranti intercettato presso il porto di Bari dai Finanzieri del gruppo di Bari, unitamente ai funzionari dell’Agenzia delle Dogane e monopoli. La merce, proveniente dalla Lituania e sbarcata nella zona commerciale del porto, era in procinto di essere importata nel territorio italiano, per giunta ad un valore di scambio irrisorio che mal si conciliava con l’ingente quantità (80 euro).

Il carico è stato sottoposto ad accurato controllo scanner, e successivamente ispezionato fisicamente, accertando che la natura dello stesso era quella di rifiuto, non di “rifiuto cessato” (cosiddetto end of waste). Tale condizione, infatti, è raggiungibile solo mediante specifiche procedure di detenzione (non alla rinfusa) ed igienizzazione, di cui non vi era assolutamente alcuna traccia.
Le modalità di questo commercio, del tutto privo dei requisiti necessari, risultano estremamente rischiose dal punto di vista ambientale, ma anche per la tutela della sicurezza del consumatore, alla luce della nota emergenza pandemica mondiale; la particolarità della transazione commerciale, conclusa sul web tramite una società di intermediazione, non ha tuttavia impedito agli organi di controllo di individuare l’illecito traffico.

L’attività operativa ha condotto quindi al sequestro penale dell’intero carico e del container utilizzato, per i reati di gestione non autorizzata e traffico illecito di rifiuti; il legale rappresentante della società di destinazione, operante, come detto, nel Brindisino, è stato conseguentemente denunciato all’autorità giudiziaria di Bari. Il ricorso al commercio illecito di beni inutilizzabili, veri e propri rifiuti, oltre a costituire reato, rappresenta, di fatto, una frequente pratica di concorrenza sleale, a danno delle imprese che operano nella legalità.

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