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Cronaca Villa Castelli

La storia di Galip, appena sbarcato voleva andare in Germania. Oggi vive a Villa Castelli

Ora si fa chiamare Daniele. E' stato accolto trenta anni fa nella piccola città insieme ad altri cinquanta connazionali grazie a Pietro e Rocco Alò

VILLA CASTELLI – “Viene anche il premier Edi Rama, hai visto”? Rocco lascia cadere la domanda nell'aria, sapendo che Daniele non risponderà. Infatti questi sbuffa e fa un gesto vago, come a dire “la politica non mi interessa”. Guarda il mezzo Borghetti che ha nel bicchiere e si gode il pomeriggio freddo che volge a sera, in un bar vicino alla stazione dei carabinieri di Villa Castelli. Rocco è Rocco Alò, villa castellano doc da 62 primavere, attivista di Rifondazione Comunista. Ha i baffi che cadono sul labbro superiore, è massiccio e dall'aria burbera, ma è un buono. Daniele di anni ne ha 57, è in pensione a causa di un problema di salute sul lavoro. In realtà si chiama Galip. Galip Demrozi, recita la carta d'identità. Nato in un paesello vicino Durazzo, in Albania, sull'altra sponda dell'Adriatico, il mare che unisce – e non che divide – i due Paesi. Ma a Villa Castelli ormai da 30 anni, da quando è arrivato, lo chiamano Daniele. “Mi sembra ieri – attacca per tutta risposta Daniele – Lo sbarco, le notti difficili, poi tutto si è risolto. Ho sempre lavorato io”.

Il 7 marzo del '91

Come un rito pagano, apparentemente senza senso, Rocco Alò sa già che adesso tocca a lui rispondere, per rievocare quei giorni di 30 anni fa. Lo sbarco degli albanesi il 7 marzo '91, ventimila e mille e  mille e ancora tante altre persone che fuggivano dalla repressione comunista. Manovali e professori, medici e agricoltori, tutti soffrivano l'asfissia del regime comunista. Ma per Daniele “quelli non erano comunisti”. Gli fa eco Rocco Alò: “Bravo, dillo a tutti. I veri comunisti tu li hai conosciuti qui”. Si riferisce a se stesso e ai suoi compagni, ma anche al fratello, il compianto senatore Pietro Alò, anche lui di Rifondazione. “E' grazie a voi se ho potuto tirare su la mia famiglia”, dice Daniele. Lui e Cristina sono genitori di tre figlie: Giudi, Alessia e Sonia. Anche la sua Cristina è albanese. Rocco scaccia il ringraziamento con un gesto della mano e ricorda: “Mentre andavo in ufficio, sulla Mesagne-Brindisi vidi gente che camminava per strada, sembravano stralunati, non sapevano dove andare. Arrivato, feci con i colleghi una raccolta, portammo i viveri a quei poveretti”. Poi, insieme al fratello Pietro, organizzarono un pullman per ospitare queste persone a Villa Castelli. Daniele, che allora si chiamava ancora Galip, in mare vide la morte, prima di sbarcare: “Non se ne è mai parlato, ma tanta gente è morta in mare. In Albania c'è chi ancora li cerca. E poi, dopo lo sbarco, la calca... Io salvai un bambino, c'era ressa”.

“Volevo andare in Germania”

“Io all'inizio dovevo recarmi in Germania – spiega Daniele – ma non potevamo raggiungerla. E' un caso che io sia oggi qui. Arrivai a bordo della 'Panama', che trasportava cemento e zucchero. Giunto a Brindisi, mi sorpresi dei brindisini. Io l'italiano non lo conoscevo, dell'Italia sapevo poco. E forse pure i brindisini sapevano poco di noi. Eppure ci hanno accolti, mi hanno aiutato. Io questo non lo dimentico, mi sembra ieri”. Daniele all'epoca, oltre all'albanese, parlava il russo e il greco. Ora parla italiano e, naturalmente, dialetto villa castellano. Nelle narici dice di avere ancora il profumo del mare di allora, un mare grosso, con il freddo ad attenderli sulle banchine. Erano tutti vestiti leggeri, troppo leggeri, ricorda. Lui non pensava né a mangiare né ad altro, voleva solo capire dove andare. La prima notte ha dormito su un altro traghetto. Poi è andato in città, aveva fame. Ricorda con un sorriso, sistemandosi la mascherina con lo stemma dell'Inter: “La gente di Brindisi calava dalle finestre il cibo con una corda. Ci chiedevano 'volete mangiare'? Noi scuotevamo la testa. In Albania 'sì' si dice così, al contrario rispetto all'Italia”. Gli scappa da ridere e anche Rocco, che ha finito di sorseggiare il caffè, sorride a quell'incomprensione culturale. Daniele era guardiano di una fabbrica in Albania. Le altre sere ha dormito in una scuola, per la svolta attese il quarto giorno. Attese Pietro Alò.

esodo albanesi 1-2

“Venite con noi a Villa Castelli”

Pietro e Rocco e gli altri compagni, insieme al dottor Caliandro della Caritas e ad altri volontari. Comunisti e democristiani insieme per aiutare, un compromesso storico fuori tempo massimo. La macchina dell'umanità si mise in moto, con a capo l'allora consigliere comunale di Villa Castelli Pietro Alò. Riempirono un pullman di 51 persone, tra questi Galip Demrozi, il futuro Daniele. Destinazione: Villa Castelli, per l'appunto. Daniele non lo sapeva, ma quel paese diventerà la sua terra: “All'inizio non fu facile, rimasi dieci giorni a dormire in una chiesa vecchia, dieci giorni senza lavorare. Poi Rocco mi aiutò: lavorai per due settimane in una cava a Montemesola, poi dopo come muratore. E così ho imparato il mestiere. La mia casa me la sono costruita da solo. Certo che se ne incontra di gente... Di tutti i tipi. Ho perso sette anni di contributi, il datore di lavoro dell'epoca mi faceva lavorare in nero. Io ho sempre lavorato dalla mattina alla sera, ma così ho tirato su la mia famiglia”. Mentre lo dice si gira le fede intorno all'anulare della mano sinistra e chiosa: “Io mi trovo bene qui, torno una volta all'anno in Albania, ma qui sto bene”. Rocco, di rimando: “Eh sì, si è integrato, in maniera spudorata”. Daniele sorride, sa che è vero, lui a Villa Castelli ci sta decisamente bene. Da 30 anni a questa parte.

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