Strage del Venerdì Santo, i due comandanti condannati anche in Cassazione
La Corte di Cassazione venerdì ha rigettato i ricorsi dei due imputati per la tragica collisione della sera del 28 marzo 1997 nel Canale d'Otranto tra la corvetta Sibilla della Marina Militare e la ex motovedetta albanese Kater I Rades che stava tentando di avvicinarsi alla costa pugliese con un carico di uomini donne e bambini
La Corte di Cassazione venerdì ha rigettato i ricorsi dei due imputati per la tragica collisione della sera del 28 marzo 1997 nel Canale d’Otranto tra la corvetta Sibilla della Marina Militare e la ex motovedetta albanese Kater I Rades che stava tentando di avvicinarsi alla costa pugliese con un carico di uomini donne e bambini. I morti accertati furono 84. Le condanne per i comandanti delle due unità sono solo state parzialmente modificate: 2 anni al comandante del Sibilla, Fabrizio Laudadio, che era stato condannato dalla Corte d’Appello di Lecce a 2 anni e 4 mesi; Namik Xhaferi, che era al comando della Kataer I Rades uscita dal porto di Valona alle 16, la condanna definitiva è a 3 anni e 6 mesi, mentre in appello la condanna era stata a 3 anni e 10 mesi.
I superstiti della strage del Venerdì Santo furono solo 37. Il pm della procura di Brindisi che condusse le indagini sul naufragio assieme alla Squadra mobile, Leonardo Leone De Castris, dispose il recupero del relitto inabissatosi a 770 metri di profondità con il suo carico di morti, affidandolo ad una impresa specializzata. Confermata dalla Corte di Cassazione anche la responsabilità civile del Ministero della difesa, che fu condannato dai giudici di secondo grado di Lecce a circa 2 milioni di lire di risarcimenti alle famiglie della vittime. La diminuzione delle pene è stata determinata dalla prescrizione del reato di omicidio colposo.
La vecchia motovedetta di fabbricazione russa, stracarica di migranti, finì davanti alla prua della corvetta italiana nel corso di una serie di manovre e contromanovre tese ad impedire alla stessa Kater I Rades di proseguire sulla rotta verso la Puglia. La piccola unità lunga 21 metri affondò in pochissimi minuti nelle acque gelide dell’Adriatico, consentendo scampo solo alla gente che si trovava in coperta. Tutti gli altri, stipati all’interno, rimasero prigionieri della trappola mortale. Il relitto carico di corpi fu portato sino al porto medio di Brindisi dal pontone della società di recuperi, per lo sbarco delle salme e per l’avvio delle indagini di polizia scientifica e della perizia disposta dal pm. Il processo di primo grado a Brindisi si concluse con una condanna a 4 anni per Xhaferi e a tre anni per Laudadio.