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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Tutti i colpi dell'impresa del crimine che ha messo in ginocchio la zona industriale

La Scandiuzzi, presa di mira almeno quattro volte, è stata la più martoriata. Ma nel mirino dell'organizzazione sgominata stamani dalla Squadra mobile sono finite anche la "Itelitaliana srl", la "Advanced control system srl", la "Technogal service", l'inceneritore di Termomeccanica, tre impianti fotovoltaici (uno a Salice Salentino, in provincia di Lecce, uno a Brindisi e uno a Cellino San Marco) e persino l'appartamento di un privato cittadino.

BRINDISI – La Scandiuzzi, presa di mira almeno quattro volte, è stata la più martoriata. Ma nel mirino dell’organizzazione sgominata stamani dalla Squadra mobile sono finite anche la “Itelitaliana srl”, la “Advanced control system srl”, la “Technogal service”, l'inceneritore di Termomeccanica, tre impianti fotovoltaici (uno a Salice Salentino, in provincia di Lecce, uno a Brindisi e uno a Cellino San Marco) e persino l’appartamento di un privato cittadino. Fra la fine del 2012 e i primi mesi del 2013 sarebbero stati rubati quasi 450 quintali di rame, di cui 120 quintali recuperati. Il valore della refurtiva è di svariati milioni di euro. I danni subiti dalle imprese svaligiate, incalcolabili. 

I LADRI IN AZIONE NELLE AZIENDE IN UN VIDEO GIRATO DALLA POLIZIA

Da quanto appurato dagli inquirenti, erano Antonio Leo, 33 anni, e Gianluca Giosa, 36 anni, a dirigere le operazioni. I due erano al vertice di Una parte del rame recuperata dagli inquirenti-2un’associazione ben articolata, in cui ognuno rivestiva un ruolo specifico. Gli imprenditori Antonio Cannone, 63 anni, e Tiziano Martina, 44 anni, mettevano a disposizione i loro mezzi e le loro proprietà, come basi logistiche. Diego Quarta, 37 anni, di Monteroni (Lecce) guardia giurata dell’istituto di vigilanza Alma Roma, e E. M., 30 anni, addetto alla manutenzione degli impianti fotovoltaici per conto di una ditta nel settore, avrebbero fornito un supporto essenziale nelle incursioni ai danni dei campi fotovoltaici. Ai colpi pendevano materialmente parte: Davide Picciolo, Antonio Caforio, Orazio Lagatta, Antonio Chiarella, Cosimo Schena, Giovanni Nigro, Francesco Pugliese e Gianfranco Maiorano. Arcangelo Urso e Giacomo Urso, invece, avrebbero ricevuto (e stoccato in un deposito di loro proprietà sulla strada provinciale per Lecce) importanti quantitativi di rame rubato. 

Tutte queste persone sono state raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Stefania De Angelis, su richiesta del pm Marco D’Agostino (Cannone, Martina, Testini, gli Urso e Baglivo si trovano in regime di domiciliari, tutti gli altri sono stati accompagnati in carcere). Sono indagati a piede libero, invece, altri otto individui. 

Guaine in un casolare-2L’operazione “Industrie sicure”, grazie alle meticolose indagini effettuate per più di un anno dai poliziotti della Mobile al comando del vicequestore Alberto Somma (avvalsosi, fra gli altri, dell'ispettore Biagio Giudice),  ha disarticolato una vera e propria impresa del crimine che fino a pochi giorni fa (come testimoniato dall’arresto in flagranza di reato di Antonio Leo, ammanettato sabato scorso, 21 febbraio, a seguito dell’ennesimo furto alla Scandiuzzi) ha messo in ginocchio la zona industriale di Brindisi.

I furti negli impianti fotovoltaici. La sera del 16 novembre è stata rubata una notevole quantità di cavi di rame dal sito fotovoltaico “Elios Salice” di contrada Fiuschi, nelle campagne di Salice Salentino (Lecce). Il colpo venne preparato con cura fin dal giorno precedente. Giosa, Leo e i loro complici, grazie ai suggerimenti di E.M., che prestava servizio in quel campo, sapevano come eludere le telecamere di cui era dotata la struttura. Si recarono sul posto con dei veicoli per il trasporto del rame messi a disposizione da Martina e da suo suocero Antonio Cannone. Ma una volta caricata la refurtiva sui mezzi pesanti, sulla strada del ritorno, il convoglio venne intercettato da alcune pattuglie della polizia. 

Durante l’inseguimento, Leo e Giosa, intercettati dalla Mobile, si sentirono per telefono. “A tutti ci arrestano – afferma Giosa – tutti sporchi stiamo Scala di alluminio rubata dalla Scandiuzzi, trovata in un garage di via Ticino-2con le radio”. Leo si preoccupa invece di informare Martina del fatto che i suoi mezzi erano stati intercettati dalle forze dell’ordine. “Tiziano – dice Leo – Tiziano dobbiamo chiamare”. Antonio Caforio, alla guida di un Fiat Iveco, viene bloccato con la refurtiva. La mattina successiva, Cannone sporge denuncia di furto dei due Tir usati per il furto. Ma gli agenti sanno che si tratta di una denuncia fittizia.

Il tardo pomeriggio del 2 novembre viene colpito l’impianto fotovoltaico “Mmp094” situato in contrada Santa Lucia, a Brindisi, sempre con il supporto di E.M. e Cannone. E’ il primo, in particolare, a chiedere un incontro a Leo e Giosa per segnalargli “un altro telefonino”: tradotto, il sito fotovoltaico che poi sarebbe stato depredato. 

Furti alla Scandiuzzi. Il bersaglio prediletto dell’organizzazione era la “Scandiuzzi Steel constructions”. Il 13 novembre del 2012 viene rubato un ingente quantitativo di materiale ferroso dal sito di stoccaggio situato in via Marie Curie. Il 28 novembre 2012, dallo stabilimento di via Enrico Fermi della Scandiuzzi vennero rubati 150 metri di cavo di rame, un hard disk esterno e denaro contenuto nelle macchinette distributrici di bevande e merende. Lo stesso capannone venne preso di mira anche l’11 dicembre 2012, quando sparirono una mola industriale Skill Grinder 1200 ed una bisellatrice industriale. 

Una motoape rubata nella stabilimento della Monteco, trovata in un garage di via Ticino-2Quest’ultimo furto è stato contestato a Davide Picciolo e Antonio Caforio, che sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti avrebbero divelto parte della recinzione e si sarebbero introdotti all’interno dell’opificio utilizzando una scala in ferro e scardinando dei vetri basculanti. La sera del 20 dicembre, poi, una pattuglia di poliziotti fece irruzione all’interno di un garage ricavato fra le intercapedini murarie di un edificio popolare in via Ticino, a Brindisi, rinvenendo il materiale portato via dalla Scandiuzzi, oltre a un motociclo Piaggio Ape che in precedenza era stato rubato alla Monteco Srl. Non a caso, questo garage verrà individuato come uno dei covi dell’associazione. 

Fra il 4 e il 7 gennaio del 2013, è la volta dell’opificio industriale “Advanced control sistem” di via Enrico Fermi, dove vennero rubati diversi utensili industriali di notevole valore economico. Ma questo raid si rivelò fatale per Gianluca Giosa. Su un trasmettitore di temperatura situato alla rinfusa nello stabilimento, infatti, venne rinvenuta un’impronta del dito anulare della mano sinistra del 36enne.

Il 28 gennaio 2013, i ladri entrano in azione nell’opificio della Technogal. Tale furto viene addebitato a Giosa, Picciolo e Testini. A portare gli investigatori sulle loro tracce è stata una conversazione telefonica fra Giosa e Picciolo, intercettata alle ore 20,37 di quel giorno, in cui il secondo fa riferimento a un carrello della spesa :“Ehi, sentimi a me, ma il carrello della spesa lo tieni a disposizione?”. Per gli inquirenti, con l’espressione carrello si fa in realtà riferimento a un qualcosa che ha a che fare con lo stesso furto. 

Il 3 agosto 2012, viene razziato un imponente quantitativo di cavi di rame dall’inceneritore di Termomeccanica, situato sulla strada per Pandi. I sodali Uno dei bidoncini utilizzati per il furto di materiale alla Scandiuzzi-2approfittarono del fatto che l’azienda, in quel periodo, era impegnata a modificare l’intera logistica delle sue attività. Ma qualcosa sembra andare storto durante il furto. Davide Picciolo, dopo essersi sentito telefonicamente con un suo conoscente, non chiude la conversazione e dà così modo ai poliziotti di captare le concitati fasi del raid. “Io me ne vado – dice qualcuno – me ne vado”. E poi: “Andiamo tutti dentro, i guai non dieci persone, uno deve andare”. A un certo punto si sente partire una moto che accelera come se stesse tirando qualcosa e si sentono cadere degli oggetti. “Andiamocene – dice una persona - mica mi faccio  arrestare veramente”.

Le basi logistiche. La merce rubata veniva rapidamente smistata in una serie di covi a disposizione dell’associazione. “Le indagini hanno infatti acclarato che, mediante Giosa (dipendente della Leucci Costruzioni) – si legge nell’ordinanza - l’associazione utilizzava alcuni spazi di quella azienda come base di appoggio, in particolare come area di primo ricovero e sguainamento dei cavi asportati”. 

I covi sono stati individuati nella sedi della Leucci Costruzioni (all’insaputa del titolare dell’azienda), nello stesso deposito della Scandiuzzi (sempre all’insaputa dei responsabili dell’impresa), nelle campagne circostanti al quartiere Perrino e anche nei casolari abbandonati lungo la litoranea sud di Brindisi,  che si sono rivelate vere e proprie discariche abusive di guaine di cavi in rame. C’erano inoltre lo stabilimento di Antonio Cannone  e il garage di via Ticino, al rione Perrino, di cui prima. 

Guaine in contrada piccoli-2L’aspetto paradossale di questa vicenda è che una parte del rame rubato veniva accatastato anche in uno dei bersagli preferiti dell’associazione: l’area esterna della Scandiuzzi, lungo il versante confinante con il capannone della Leucci Costruzioni. E’ qui che Giosa, il 13 gennaio del 2013, si diede appuntamento con una persona di Francavilla Fontana (estranea ai fatti) interessata all’acquisto di cavi di rame rubati. L’affare, però, non andò in porto.

Tentativo di depistaggio. Il deposito di Antonio Cannone di via Newton, il 31 gennaio del 2013, accolse un furgone Iveco Daily di colore rosso carico di merce coperta da un telone scuro, appena trasferita dallo stabilimento della Leucci (all'insaputa dei titolari). Si trattava di 120 chilogrammi di cavi in rame rosso privi di guaina in forma di traccia e 1.440 di acciaio pregiato, sottratti il 28 gennaio 2013 alla “Technogal Service”.  I poliziotti colsero i ricettatori con le mani nel sacco.

Gianluca Giosa, allora, in quello che secondo gli inquirenti era un tentativo di depistaggio, decise di recarsi in questura per auto-denunciarsi. Ma Giosa non voleva andarci da solo, per paura di essere picchiato dagli agenti. Da una serie di conversazioni, dunque, emerge la sua ferrea volontà di essere accompagnato da qualcuno che gli facesse da testimone. “Uno che venga con me – afferma Giosa - che venga con me devo andare due secondi in Questura, gli devo dire...devo firmare la dichiarazione, la firmo io la dichiarazione...se vado da solo mi spezzano questa sera”. Giosa tenta di coinvolgere il titolare della Leucci, nonché suo datore di lavoro (estraneo ai fatti). Ma il tentativo non ha buon esito. Giosa, per questo, va su tutte le furie. “Eh no – dice Giosa - non ci vuole niente perché io dia fuoco a tutte le macchine adesso”.

L’incubo Cosimo Pizza. Gli indagati sospettavano di essere monitorati dalle forze dell’ordine. Il loro incubo, in particolare, era l’ispettore della Squadra Mobile Cosimo Pizza. Antonio Leo, dopo aver saputo che Antonio Caforio era stato fermato dai poliziotti durante la fuga dall’impianto fotovoltaico di Salice, era terrorizzato all’idea che Cosimo Pizza, detto Coco, potesse risalire a lui. “Coco Pizza, Coco Pizza – dichiara Leo durante una conversazione telefonica -  mo di casa mia viene”. E poi: “Fatti conto che Coco Pizza è arrivato da casa”. 

Leo, del resto, ebbe a che fare con Pizza, in forza alla sezione Antirapina, anche l’11 novembre del 2012, quando il poliziotto individuò in via Nardelli un fuoristrada che presumibilmente era stato utilizzato la sera precedente in un furto ai di rame. Il mezzo, ancora sporco di fango, risultava intestato al “torinese” Antonio Caforio. Questi chiamò in causa Leo, che si precipitò all’appuntamento con l’ispettore. “Io sto andando alla macchina  - scrive Leo in un sms – che sta zio Coco”.

Uno degli arrestati, Gianfranco Maiorano, durante una conversazione con Leo, fece intendere che la sua situazione economica non era delle più rosee e che un colpo gli avrebbe dato una boccata d’ossigeno. “Che senza gas – dice Maiorano - che io…mi sono fatte prestare cento euro da Tonino.. che non tenevo neanche per mangiare oggi… la verità”.

Per gli indagati, insomma, i furti nella zona industriale erano visti come “un vero e proprio lavoro – scrive il Gip - esercitato con solerzia ed al tempo stesso con ostinazione, con la consapevolezza che ove non dovessero raggiungersi gli obiettivi prefissati ne verrebbe per ciò solo a trovarsi in pericolo la stessa sopravvivenza del vincolo associativo”. E infatti, prima di una delle tante incursioni in un campo fotovoltaico, uno degli intercettati dice al telefono: “Ah.. Eh... Non dobbiamo andare a lavorare?”.

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