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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca Mesagne

Uccisa mentre dormiva sul divano, 24 anni di carcere al marito

BRINDISI – Ventiquattro anni di carcere per Angelo D’Elia, 71 anni, mesagnese, reo confesso dell’omicidio della moglie Antonietta Calò, 54 anni, mesagnese, pure lei. La Corte di Assise (presidente Perna, giudice Aliffi) ha riconosciuto le attenuanti generiche ed ha escluso le aggravanti contestate. Inoltre ha concesso una provvisionale di 15mila euro alle parti civili rappresentate dagli avvocato Rosanna Saracino e Marcello Falcone. Il pubblico ministero aveva chiesto la condanna all’ergastolo, mentre il difensore, avvocato Serafino De Bonis, ha puntato sull’infermità mentale dell’uomo.

BRINDISI – Ventiquattro anni di carcere per Angelo D’Elia, 71 anni, mesagnese, reo confesso  dell’omicidio della moglie Antonietta Calò, 54 anni, mesagnese, pure lei. La Corte di Assise (presidente Perna, giudice Aliffi) ha riconosciuto le attenuanti generiche ed ha escluso le aggravanti contestate. Inoltre ha concesso una provvisionale di 15mila euro alle parti civili rappresentate dagli avvocato Rosanna Saracino e Marcello Falcone. Il pubblico ministero Pierpaolo Montinaro aveva chiesto la condanna all’ergastolo, mentre il difensore, avvocato Raffaele Missere, ha puntato sull’infermità mentale dell’uomo.

Unica carta da giocare dato che D’Elia aveva confessato l’omicidio; aveva chiamato egli stesso le forze dell’ordine e al loro arrivo si era fatto trovare in ordine, seduto. Aveva consegnato loro la doppietta a canne mozze con la quale poco prima aveva sparato due colpi alla testa della moglie. Disse ai detective: “Ho perso la testa, mia moglie mi ha bestemmiato i morti, ho preso il fucile ed ho sparato”. E lo ha ripetuto anche in Corte d’assise quando è stato interrogato. Secondo l’avvocato De Bonis il suo cliente non è nel pieno delle facoltà mentali. E per questo in apertura della precedente udienza, il 21 ottobre scorso, aveva chiesto di sottoporlo a perizia psichiatrica. Ma la Corte, con ordinanza, aveva rigettato ritenendo non esserci le condizioni per sospettare che la mente dell’imputato sia in disordine.

La Corte ha impiegato un paio di ore per quantificare la condanna, dato che sulla responsabilità non vi era alcun dubbio. Angelo D’Elia alla Corte, nel corso dei trenta minuti del suo interrogatorio avvenuto nella precedente udienza, non poté fare a meno di ammettere l’omicidio. Cercò, però, di trovare un movente. “Ho sparato io – disse -. Non so cosa mi prese in quel momento. Non volevo ucciderla”. Affermò che avevano avuto una discussione. Lui era geloso, molto geloso della moglie 54enne che a quanto pare non voleva più saperne di quella vita coniugale. “Mi ha bestemmiato i morti”, disse alla Corte.  E per questo  impugnò la doppietta a canne mozzate e sparò in faccia alla moglie che stava seduta sul divano per il risposino quotidiano.

Era  il 13 maggio scorso, le 14 circa. L’abitazione di via Dante, nel rione Distilleria, alla periferia di Mesagne, che ospitava la coppia, si trasformò in una casa degli orrori. Sul divano la poveretta con la faccia praticamente distrutta. Gli auricolari che usava per dormire erano rimasti incastri nelle orecchie nonostante lo scempio provocato dalle fucilate. Tutt’intorno materia cerebrale, ossa, denti, sangue. Erano entrambi alla loro seconda esperienza coniugale. La coppia non aveva avuto figli da questa unione. Lei ne aveva avuto uno col precedente marito, ragazzo che a 19 anni si uccise.

D’Elia figli ne aveva già nove. La loro sembrava una vita tranquilla, così dissero due nipoti dell’uccisa in udienza (sono i due che si sono costituiti parte civile), con i problemi di ogni coppia. Evidentemente sotto la cenere covava ben altro; tensioni che all’esterno non apparivano. Qualcosa di insanabile, che può essere stata la gelosia o magari la rabbia perché la moglie non sopportava più di vivere con una persona molto più anziana di lei.

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