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Cronaca

Una notte di fuoco a Restinco, il questore firma 120 respingimenti

BRINDISI – Bottiglie d’alcol usate come lanciafiamme contro le forze dell’ordine, tentativi d’incendio, devastazioni ed un nuovo cratere aperto proprio sul muro di cinta in prossimità dell’uscita del centro di Restinco, quasi a mò di sfida a polizia, carabinieri, finanzieri e militari del “San Marco” intervenuti a sedare la più violenta tra le ultime rivolte. Fortunatamente nessun ferito, né tra le forze dell’ordine né tra gli ospiti, il più violento e pericoloso gruppo che il Cie-Cara (Centro di identificazione ed espulsione e Centro accoglienza richiedenti asilo ndr) di Restinco abbia mai accolto.

BRINDISI – Bottiglie d’alcol usate come lanciafiamme contro le forze dell’ordine, tentativi d’incendio, devastazioni ed un nuovo cratere aperto proprio sul muro di cinta in prossimità dell’uscita del centro di Restinco, quasi a mò di sfida a polizia, carabinieri, finanzieri e militari del “San Marco” intervenuti a sedare la più violenta tra le ultime rivolte. Fortunatamente nessun ferito, né tra le forze dell’ordine né tra gli ospiti, il più violento e pericoloso gruppo che il Cie-Cara (Centro di identificazione ed espulsione e Centro accoglienza richiedenti asilo ndr) di Restinco abbia mai accolto.

L’ennesimo tumulto inizia proprio mentre il questore Vincenzo Carella, respingeva i 120 tunisini in arrivo da Lampedusa, crocevia dello sbarco di massa dal nord Africa dove è ormai – a detta dello stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni “emergenza umanitaria”. Ed i riflessi, era da tempo prevedibile, si riflettono sull’Italia e Brindisi in particolare. Tra i 120 nessuno aveva richiesto asilo politico e per questo, vista la situazione esplosiva all’ordine del giorno, il numero uno della questura ha  disposto il respingimento, provvedimento che implica l’abbandono del territorio italiano nell’arco di cinque giorni. Due tra loro sono stati arrestati perché colpiti da precedenti provvedimenti da parte di altre questure puntualmente violati.

LA RIVOLTA NOTTURNA – Una rivolta ogni due giorni, almeno nelle ultime tre settimane, da quando da Agrigento sono arrivati un gruppo di circa 35 tunisini. Tra loro ci sarebbero molti evasi dalle carceri dopo la rivolta che ha costretto al forfait il presidente Ben Alì. Un gruppo compatto, molto violento, i cui componenti pare provengano non solo dalle patrie galere ma da città vicine, quindi molto affiatato. I tunisini pare non abbiano nemmeno socializzato con il resto degli ospiti del Cie (sono una sessantina in tutto) e che terrorizzino con la loro presenza anche il personale civile in servizio nel centro (mediatori sociali, addetti alle pulizie, ecc. che mai si erano trovati davanti ad una situazione così delicata).

Il copione si ripete ogni volta con maggiore violenza. Dormono di giorno, entrano in azione di notte. La notte tra sabato e domenica hanno iniziato con le devastazioni intorno alle 23, gli scontri si sono conclusi intorno alle 5 del mattino. Questa volta hanno preso di mira un punto differente, attuando una nuova strategia che ha ridotto il centro di Restinco in macerie: distrutti mense, alloggi e magazzini. I rivoltosi hanno sfondato la porta di ferro frangi fuoco che separa la mensa del Cie da quella del Cara separate da una scalinata e si sono introdotti nei magazzini dove hanno fatto man bassa di bottiglie d’alcol, estintori, lamette e di qualsiasi cosa potesse essere usata come arma.

Dalla mensa del Cara (60 gli ospiti presenti attualmente a fronte di una disponibilità di 128 posti, ndr) si sono diretti verso il muro di cinta dove è iniziata la guerriglia prima che arrivassero a sfondare la rete di recinzione da cui avrebbero potuto facilmente guadagnare la fuga (in questa parte del centro di solito non si verificano scontri perché i richiedenti asilo sono pacifici). Trovata la strada sbarrata  da una cinquantina tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari del “San Marco”, hanno tentato su un altro fronte: dopo aver sfondato un muro dalle loro camerate si sono diretti verso la zona degli uffici della vigilanza dove hanno praticato un enorme breccia nel muro di cinta lanciando i tufi che venivano via contro le forze dell’ordine.

Se non c’è stato alcun ferito – nemmeno in seguito ad atti di autolesionismo che i tunisini sono soliti praticare, quasi a mo’ di rito d’iniziazione alla battaglia – è un miracolo. Da tempo i sindacati dell’osservatorio provinciale di polizia denunciano una situazione insostenibile che può precipitare da un momento all’altro con conseguenze imprevedibili per chi è chiamato a garantire la sicurezza. Finora – nonostante siano anche pronti circa 200 mila euro per lavori d’adeguamento della struttura – ogni appello è caduto nel vuoto. Prima che quei soldi siano spesi, tempi burocratici permettendo, occorrerà comunque far qualcosa, perché se è vero che per chi indossa una divisa “il pericolo è il suo mestiere”, non è comunque normale andare a lavorare con la consapevolezza di non sapere se e in quali condizioni ritornerà a casa.

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