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Cronaca

Usura all'aspirante consigliere regionale: altri tre indagati tornano liberi

Altri tre indagati dell'indagine Fenus Unciarum, sull'usura ai danni dell'ex consigliere regionale Danilo Crastolla, tornano liberi. Si tratta di Carmine e Pierpaolo Palermo, e di Francesco Poci, tutti difesi dall'avvocato Carmelo Molfetta, che stamani sono stati rimessi in libertà dal gip di Lecce, Annalisa De Benedictis, con il parere favorevole del pm Alessio Coccioli

MESAGNE - Altri tre indagati dell'indagine Fenus Unciarum, sull’usura ai danni dell’ex consigliere regionale Danilo Crastolla, tornano liberi. Si tratta di Carmine e Pierpaolo Palermo, e di Francesco Poci, tutti difesi dall'avvocato Carmelo Molfetta, che stamani sono stati rimessi in libertà dal gip di Lecce, Annalisa De Benedictis, con il parere favorevole del pm Alessio Coccioli.

Il gip ha condiviso le argomentazioni dell'istanza difensiva in relazione al quadro cautelare dei tre indagati, e ha disposto la revoca della misura restrittiva nei loro confronti (erano già ai domiciliari, ora sono del tutto liberi). 

Bisogna sottolineare che il 18 marzo sarebbero scaduti i termini di fase per il pm per la richiesta di rinvio a giudizio, quindi la difesa, ritenendo che la pubblica accusa comunque non avrebbe potuto produrre detta richiesta nei tempi stabiliti, ha ritenuto di chiedere anticipatamente la liberazione degli indagati, i quali dopo il 18 avrebbero avuto il diritto in ogni caso a tornare in libertà.

Lo scorso 2 marzo, il gip  aveva scarcerato il 49enne Francesco Lavino, detto “il biondo”,  difeso dagli avvocato Cosimo Lodeserto e Cataldo Crusi, in attesa che il tribunale del Riesame si pronunciasse nuovamente sull’istanza di scarcerazione depositata dagli stessi legali, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio il precedente pronunciamento. 

Sedici persono vennero arrestate a seguito delle indagini, coordinate dalla Dda di Lecce, che partirono dalla denuncia sporta da Danilo Crastolla. Questi fu consigliere regionale dal 2000 al 2005. Ricandidatosi, senza successo, alle consultazioni regionali per il 2005, aveva speso, per la sua campagna elettorale, circa 280 mila euro, contraendo debiti con banche e finanziarie. Non riuscendo a ripianare la sua esposizione debitoria con gli istituti di credito, nel 2009, aveva fatto ricorso all’intermediazione di uno degli arrestati che, a sua volta, l’aveva messo in contatto con dei personaggi di Mesagne, alcuni legati anche alla Scu al fine di ottenere dei prestiti a tassi usurari.

La sua esposizione debitoria con i predetti usurai si aggravava ulteriormente nel 2010, quando, ricandidatosi senza successo alle consultazioni regionali, aveva assunto impegni di spesa, per la campagna elettorale, per ulteriori 150 mila euro significando che i tassi di interesse usurari andavano dal 600 per cento su base annua al 1000 per cento su base annua.

Agli indagati vennero contestati, a vario titolo, i reati di associazione di stampo mafioso, usura, estorsione e riciclaggio (questi ultimi reati aggravati dalle modalità mafiose).

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