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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Valigia e pistola: due nuovi arresti

BRINDISI – Vanno al Nord a cercare lavoro come tanti altri, ma si portano dietro la pistola. Si allunga la lista dei rapinatori brindisini arrestati dopo colpi effettuati in trasferta. Stamani all’alba l’ultima operazione in ordine di tempo condotta dalla Squadra mobile su ordinanza del giudice delle indagini preliminari del tribunale di Ravenna a carico di Claudio Chiricò di 22 anni, e di Biagio Ferrari di 31 anni, indagati per la rapina del 29 giugno scorso al negozio “Romano Gioielli” di via Dogana, a Faenza. In questa storia, oltre ai reati di rapina pluriaggravata ed armi, c’è anche quello di lesioni personale aggravate ai danni del titolare della gioielleria, Corrado Romano, che riportò una prognosi di 30 giorni.

BRINDISI – Vanno al Nord a cercare lavoro come tanti altri, ma si portano dietro la pistola. Si allunga la lista dei rapinatori brindisini arrestati dopo colpi effettuati in trasferta. Stamani all’alba l’ultima operazione in ordine di tempo condotta dalla Squadra mobile su ordinanza del giudice delle indagini preliminari del tribunale di Ravenna a carico di Claudio Chiricò di 22 anni, e di Biagio Ferrari di 31 anni, indagati per la rapina del 29 giugno scorso al negozio “Romano Gioielli” di via Dogana, a Faenza.  In questa storia, oltre ai reati di rapina pluriaggravata ed armi, c’è anche quello di lesioni personale aggravate ai danni del titolare della gioielleria, Corrado Romano, che riportò una prognosi di 30 giorni.

Il personale della Mobile brindisina, diretta dal vicequestore Francesco Barnaba, ricevette a luglio da parte della questura di Ravenna una richiesta di invio della foto segnaletica di Claudio Chiricò. Sulla porta d’ingresso della gioielleria rapinata, infatti, la polizia scientifica aveva rilevato frammenti di impronte, corrispondenti in 16 punti a due di quelle prelevate in precedenti circostanze al soggetto (medio ed indice della mano sinistra), per fatti avvenuti a Brindisi. La ricerca era avvenuta ovviamente con il programma che confronta il reperto con i quelli contenuti dalla banca dati centrale del Viminale. Un elemento di prova valido a tutti gli effetti. In più, il gioielliere riconobbe subito tra le foto mostrategli dalla polizia quella di Chiricò.

A questo punto, si intensificò l’attività investigativa della sezione antirapine della Mobile di Brindisi. Tra gli elementi con i quali Claudio Chiricò aveva abitualmente frequentazioni e rapporti, ne furono selezionati alcuni, e tra questi Biagio Ferrari. Ma l’8 agosto scorso Corrado Romano non identificò con certezza il soggetto: tra otto foto mostrategli, ne indicò una dicendo che il secondo dei rapinatori assomigliava ad una delle persone ritratte. La foto indicata era quella di Ferrari, ma ciò non era sufficiente per un riconoscimento con tutti i crismi richiesti. Tuttavia, per escludere o per confermare la pista emersa, quando Romano in estate scese nel Salento per le vacanze, fu convocato a Brindisi per una terza ricognizione fotografica. Questa volta la sezione antirapine aveva inserito nell’album della foto da mostrare una immagine molto più recente di Biagio Ferrari, perché l’altra risaliva al 2006.

E in questa circostanza, il gioielliere non ha avuto più dubbi, ed ha indicato senza esitazione l’immagine fotografica di Ferrari. Quindi impronte, identificazioni fotografiche da parte della vittima, e in più un altro indizio: nella colluttazione non era stato il solo gioielliere a riportare lesioni. Il 5 luglio si presentò al pronto soccorso dell’ospedale Perrino, ha accertato la Squadra mobile brindisina nel corso delle indagini, Claudio Chiricò al quale furono diagnosticati un trauma contusivo alla spalla sinistra con sublussazione dell’articolazione scapolo-omerale, e una distorsione al ginocchio sinistro. Era stato lui ad avere la colluttazione con il titolare del negozio.

La ricostruzione dei fatti. Corrado Romano raccontò agli investigatori della questura di Ravenna, descrivendo fisionomia e statura dei due banditi che lo avevano rapinato e ferito, che li aveva già visti dieci o dodici giorni prima del 29 giugno 2011. Erano entrati nel negozio con la scusa di scegliere un regalo per un matrimonio. Ma poi non avevano acquistato nulla ed erano andati via. Si trattava, come è intuibile, di un  sopralluogo per rendersi contro della presenza o meno di un sistema di videosorveglianza e dell’ubicazione di un eventuale pulsante per l’allarme antirapina.

Quando Chiricò e Ferrari tornarono alcuni giorni dopo, il gioielliere non aveva perciò alcun motivo di nutrire sospetti, e mostrò ai presunti clienti alcuni esemplari di bracciali affinché potessero sceglierne uno. Invece in pochi attimi Chiricò scavalcò il bancone del negozio e bloccò Romano, raggiunto pochi istanti dopo anche da Chiricò. Il gioielliere fu picchiato senza pietà: una grandinata di pugni, colpi inferti alla testa con la canna o il calcio della pistola, e anche calci quando era ormai sopraffatto e steso sul pavimento. I banditi presero i gioielli. Il più lesto a tornare in strada fu Ferrari, ma Chiricò, ancora alle prese con la vittima, rimase intrappolato perché la porta automatica si richiuse subito. Allora il rapinatore tornò indietro, e ricominciò a prendere a calci e pugni Romano per farsi aprire, sino a quando egli stesso trovò il pulsante e lo azionò, scomparendo tra le strade del centro storico di Faenza, ma lasciando nel negozio la pistola, che rivelò essere una riproduzione priva del tappo rosso.

Avvertito il 113, Corrado Romano fu soccorso da un vicino: in ospedale gli furono diagnosticati un trauma cranico, un  trauma toracico con  frattura di varie costole sul lato destro della gabbia toracica e numerose contusioni in altre parti del corpo. Ma oltre alle descrizioni fisiche dei banditi, il gioielliere aveva un’altra cosa da dire alla polizia: quei banditi avevano un accento familiare per lui, originario della provincia di Lecce. I due finti clienti avevano detto di essere siciliani, e si erano stretti nelle spalle quando aveva detto che gli sembrava, la loro, una cadenza più salentina che palermitana o catanese. Questo dettaglio, poi, unito agli altri, è servito a stringere ulteriormente il cerchio delle indagini.

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