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Cronaca Ostuni

Voleva tappare la bocca alle vittime

OSTUNI – Stava cercando di indurre le vittime e non rivelare alla polizia i retroscena dei loro rapporti con lei, quindi attuando un palese tentativo di inquinamento delle prove. Inoltre, dagli sviluppi delle indagini gli investigatori hanno individuati altri tre casi certi di usura.

OSTUNI – Stava cercando di indurre le vittime e non rivelare alla polizia i retroscena dei loro rapporti con lei, quindi attuando un palese tentativo di inquinamento delle prove. Inoltre, dagli sviluppi delle indagini sul gruppo che a Ostuni gestiva furti ed estorsioni contro imprese ed attività commerciali, rapine in trasferta, spaccio di banconote false, ed un vasto giro di prestiti a tassi da strozzo, gli investigatori hanno individuati altri tre casi certi di usura, tutti a danno di casalinghe della città, che hanno ammesso le circostanze, spiegando anche le ragioni che le avevano indotte a rivolgersi alla donna nuovamente arrestata ieri dal personale del commissariato, su ordine di custodia cautelare, questa volta in carcere, emesso dal capo dell’ufficio dei gip di Brindisi, Valerio Fracassi.

Angelina Urgesi dunque passa dagli arresti domiciliari ad una cella del braccio femminile di Borgo San Nicola, a Lecce, in attesa di ulteriori sviluppi del caso legato alle attività della banda capeggiata dai fratelli Valente, scoppiato il 2 agosto con undici arresti, otto dei quali motivati anche dall’ipotesi del reato di associazione per delinquere. La Urgesi, come già avevano sottolineato il procuratore capo Marco Dinapoli e il dirigente del commissariato di Ostuni, Francesco Angiuli, era il soggetto che all’interno di questa organizzazione prevalentemente cementata da vincoli familiari si occupava delle attività di usura, in misura maggiore di quanto si ritenesse sino al giorno del blitz.

Approfittando del fatto che le erano stati concessi i domiciliari, Angelina Urgesi – dicono gli investigatori – si era data da fare per tappare quante più bocche possibile, immaginando che la polizia stesse cominciando a passare al pettine fino gli elenchi di debitori trovati nella sua abitazione. In effetti, la Urgesi non sbagliava perché il personale della sezione di polizia giudiziaria del commissariato aveva cominciato l’ascolto delle vittime della banda Valente, e tre di queste (come già detto, tre casalinghe), sottolineando di aver agito all’insaputa dei congiunti, si erano rivolte al gruppo criminoso per avere in prestito somme di denaro che erano state poi costrette a restituire con vistosi interessi usurari, tanto che una di esse, che aveva bisogno di quei soldi per l’assistenza dei genitori ammalati e per pagare i diritti di successione, aveva detto anche alla Urgesi che la situazione la stava spingendo al suicidio.

Angelina Urgesi, nei giorni successivi all’arresto, avrebbe incaricato l’unica persona alla quale poteva rivolgersi, la figlia minorenne, di contattare dunque le persone che sarebbero state certamente chiamate in commissariato. In un caso, per ottenere che la vittima nascondesse prove compromettenti del rapporto usurario, aveva mandato la ragazza ad avvertirla: “Mamma mi ha detto di dirti: vedi tu che fare”. Comportamenti non solo tesi all’occultamento delle prove, ma anche contrari agli obblighi imposti con la misura degli arresti domiciliari. Da qui, e dall’aggravamento della posizione della Urgesi per quanto riguardo la gestione del giro di usura della banda Valente, la decisione di revocarle i domiciliari e di notificarle nuovi capi di imputazione che l’hanno condotta ieri in carcere.

Le indagini sono tutt’altro che concluse, fanno sapere dal commissariato di Ostuni, anche sul fronte napoletano, e “ potrebbero essere, anche a breve,suscettibili di importanti novità”. Va ricordato che nelle circostanze legate alle indagine sfociate il 2 agosto nell’Operazione Omnibus, vi sono infatti attività di spaccio di banconote false da 20 euro provenienti da un’organizzazione napoletana (ma non si trattava di “merce” di buona qualità, avendo tutte le banconote da 20 euro lo stesso numero di matricola), e il tentativo di rapinare un fornitore dello stabilimento Alenia di Pomigliano d’Arco di 30mila euro, grazie alle informazioni passate ai Valente da due basisti locali che lavoravano nella fabbrica come addetti alle pulizie (entrambi catturati). Il colpo fallì grazie alle notizie fornite dagli investigatori di Ostuni alla Mobile partenopea. I Valente erano infatti già sotto osservazione da tempo.

Le persone arrestate il 2 agosto scorso sono Cosimo, Marco e Domenico Valente, di 50, 39 e 28 anni (due fratelli e un figlio), Teresa Monaco di 38 anni, Angelina Urgesi di 43 anni, una complice napoletana, Rosa Ioime di 42 anni, Saverio Palma di 40 anni, Rosario Ercolano, napoletano di 33 anni, Giovanni Ciccarone di 45 anni, il tabaccaio incensurato Francesco Rendina di 52 anni, e Fabio Saponaro di 23 anni.

 

 

 

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