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Economia

La proposta di Emiliano: occasione per impostare nuove politiche industriali

Tra autorizzazioni a trivellare i nostri mari alla ricerca del petrolio, crisi dell'Ilva, vendita di Versalis da parte di Eni, Tap e il suo approdo, la Puglia si trova al centro di grandi questioni industriali che richiedono discontinuità, fermezza, lungimiranza e collaborazione multilivello. Brindisi è parte importante di tutto ciò

Tra autorizzazioni a trivellare i nostri mari alla ricerca del petrolio, crisi dell'Ilva, vendita di Versalis da parte di Eni, Tap e il suo approdo, la Puglia si trova al centro di grandi questioni industriali che richiedono discontinuità, fermezza, lungimiranza e collaborazione multilivello. Brindisi è parte importante di tutto ciò. È richiesta pertanto una adeguata consapevolezza che non ha bisogno di un protagonismo mediatico se non è accompagnato da iniziative condivise e partecipate e da mobilitazioni incisive e inclusive. Non servono polemiche pretestuose o contrapposizioni tra istituzioni (locali contro regionali e regionali contro nazionali).

Le decisioni in atto e le situazioni industriali se non contrastati  adeguatamente rischiano di determinare, a livello produttivo, ambientale e occupazionale, processi irreversibili per l'impatto che potranno avere sul nostro territorio. Anche per questo mi sembrano non utili e ritorsive le dichiarazioni di quanti cercano di far apparire la città di Brindisi, vittima di complotti e di emarginazioni organizzati, a fini politici, dal presidente della Regione, Michele Emiliano.

Così come poco utili e dispersivi sono apparsi gli elenchi di progetti e dei relativi finanziamenti su cui alcuni autorevoli rappresentanti, istituzionali e non, si sono cimentati nei giorni scorsi con lo scopo di sottoporli (tardivamente e più per sfida che per convinzione)al presidente della Regione, e ad un inesistente ministro della Coesione Territoriale per sottoscrivere un improbabile contratto istituzionale di sviluppo per Brindisi.

Questa ricognizione di schede progettuali da tempo note e di cui sono pieni i cassetti di alcuni enti è certamente utile per ricordarsi della loro esistenza. I più accorti sanno che di tutti quei progetti molti non potranno trovare accoglimento perché fuori da qualsiasi idea di sviluppo e da qualsiasi reale possibilità per essere finanziati. Più che di elenchi di vecchie idee progettuali, Brindisi ha bisogno di fare i conti con la realtà e si richiede una buona dose di serenità e di serietà, condizioni queste, necessarie per fronteggiare il futuro di alcuni settori industriali, a partire da quello chimico ed energetico.

Quale sarà o dovrà essere lo sviluppo industriale nei prossimi anni di questo territorio ricco ancora di infrastrutturazioni e attività industriali importanti? Sostengo da tempo che la vecchia industria, quella di grandi dimensioni e delle produzioni di base(chimica, siderurgia, energia convenzionale) ha esaurito la sua spinta propulsiva, occupazionale e di sviluppo oltreché la sua utilità, almeno nelle caratteristiche per come le abbiamo conosciute e vissute.

Quella industria che consentì tra gli anni 60/80 a dare un impulso allo sviluppo, alla modernizzazione, all’occupazione e ai redditi in alcune aree del Sud, tra cui Brindisi, non ha più una prospettiva, anzi. È la storia della grande impresa pubblica e privata del Novecento che nel Sud ha contribuito ad uno sviluppo che  oggi è difficile mantenere o consolidare data la divisione del mercato mondiale del lavoro e delle produzioni e le questioni ambientali e climatiche che hanno contribuito a determinare.

Siderurgia, chimica, energia hanno rappresentato in questa parte della Puglia settori industriali che hanno segnato certamente lo sviluppo ma che hanno contribuito a sfregiare territorio e ambiente, mortificando e condizionando altre potenzialità di sviluppo.  La proposta di decarbonizzare questi settori e le aree interessate attraverso l'utilizzo del metano avanzata da Michele Emiliano ha il merito di rompere con la consuetudine e di mettere questa parte della  Puglia di fronte ad un'altra possibile scelta produttiva e industriale. O almeno di avviare su di essa un confronto.

I tempi, le modalità, le compatibilità ,l'attendibilità ,la disponibilità delle risorse finanziarie, che una proposta come questa determina, richiedono però una discussione non fatta per partito preso o per slogan o per interessi precostituiti.  Se è esaurito il modello di sviluppo industriale basato su impianti di grande dimensione per produzioni di base, pensati e progettati negli anni 60/70, non è cambiando il combustibile oggi in uso(carbone o petrolio) con il metano che si cambia modello di sviluppo o si compete a livello mondiale sulle stesse produzioni di prima o si salva l'attuale assetto produttivo.

Per esempio, il futuro energetico avrà ancora bisogna di centrali dalle grandi taglie che nessuno costruisce più (quella a carbone di cerano è di 2.400 Mw!) oppure sarà garantito da fonti rinnovabili e da centrali, se necessarie, di piccola taglia? L'UE, inoltre, ha già deciso che la produzione energetica da combustibili fossili in Europa dovrà essere dismessa entro il 2030 (tra 14 anni. Che senso ha allora proporre di alimentare a metano la centrale di Brindisi, ammesso che con questo combustibile si possa mantenere lo stesso processo produttivo, dal momento che è destinata alla chiusura di qua a 10/15 anni?

Oppure la chimica di base può essere ancora prodotta attraverso grandi impianti petrolchimici? La chimica di base italiana (quella brindisina ne è una parte importante) è finita fuorigioco da tempo, quella che è rimasta vive una fase di sofferenza che l'Eni dice non più sopportabile (dal 2000 ad oggi il suo impegno nel settore le ha fatto perdere 5,8 miliardi di euro). E non può essere il metano a risolvere questioni industriali di questa natura.

La crisi Versalis è l'ultimo pezzo italiano della storia industriale della chimica, una storia che fece vincere all'Italia un premio Nobel (Giulio Natta) e che contribuì in maniera inedita alla produzione e all'uso delle materie plastiche. Su questi basi nacque il petrolchimico di Brindisi. Ma l'Italia a differenza della Francia e della Germania da tempo ha rinunciato alla industria chimica avendo venduto i suoi asset strategici a tedeschi, arabi, belgi e adesso tenta con Versalis per vendere quello che le è rimasto ad un fondo americano dalle scarse dimensioni e capacità strategiche industriali.

L'alternativa alla vendita di Versalis può essere solo un impegno, sostenuto anche da politiche pubbliche, verso la chimica verde su cui l'Eni dovrebbe investire anche a Brindisi in nuovi processi produttivi, in ricerca e in nuovi prodotti. Si utilizzi allora la proposta di Emiliano non per polemizzare con lui ma  per un nostro ripensamento su una parte dell'attuale  assetto industriale. È l'unico modo credibile per sostenere che il metano della Tap non serve a Brindisi e che Brindisi non ha bisogno  di un combustibile con cui sostituire il carbone ma di un significativo sviluppo industriale che non sia più  il risultato di mega impianti chimici ed energetici.

Sono necessarie, per questo, tanto azioni di lunga lena di miglioramento di contesti (politiche orizzontali e infrastrutturali che regione e comuni dovrebbero direttamente programmare e organizzare), quanto interventi direttamente volti a favorire i processi di trasformazione strutturale delle imprese (politiche industriali rivolte ad una nuova industrializzazione del mezzogiorno e di cui dovrebbe dotarsi il governo). Insomma, Brindisi ha bisogno di una politica industriale nazionale e regionale, di una nuova industrializzazione profondamente diversa rispetto al passato, ma certamente non impossibile.

Non si possono realizzare cose nuove con gli strumenti o le logiche proprie di un passato che qualcuno vorrebbe riproporre. Sono necessari, invece, interventi mirati per rendere la "governance" sia delle aree industriali, sia dei progetti, assai più semplice ed efficace di quanto non sia stata in passato o non sia ancora oggi.

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