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Dop Collina di Brindisi, una crisi a macchia d'olio

OSTUNI - Quattordici anni fa iniziava, lungo le strade dell’olio, il difficile ma anche ambizioso cammino dell’olio “Dop Collina di Brindisi”. Uno dei primi cinque in Italia. Un marchio di garanzia che sulla carta avrebbe dovuto rappresentare la svolta sotto il profilo promozionale e commerciale, aprendo scenari e mercati sino a quel momento inesplorati.

OSTUNI - Quattordici anni fa iniziava, lungo le strade dell’olio, il difficile ma anche ambizioso cammino del “Dop Collina di Brindisi”. Uno dei primi cinque in Italia. Un marchio di garanzia che sulla carta avrebbe dovuto rappresentare la svolta sotto il profilo promozionale e commerciale, aprendo scenari e mercati sino a quel momento inesplorati.

Un bollino che puntava a inserirsi e a caratterizzarsi all’interno del variegato mondo delle certificazioni che affollano il settore agroalimentare: Doc, Docg, Igp, Stg, Igt e così via. Alla vigilia della prima “quindicina”, il bilancio è però al di sotto delle aspettative. Tra gli operatori inizia a serpeggiare la convinzione, fondata sui numeri, che attorno al “Dop” si sia sprecata una grossissima occasione di sviluppo per il comparto oleario.

Un timore supportato da considerazioni amare che attengono in primo luogo all’assenza di una strategia comune in grado di spalancare davvero, su scala nazionale e internazionale, le porte delle vetrine di nicchia ai circa 1000 quintali di olio “Dop Collina di Brindisi” prodotti ogni anno dalle circa 100 aziende consorziate. A ciò si aggiungono le problematiche connesse alla lotta alle sofisticazioni, alla tracciabilità del prodotto, al contrasto della concorrenza di prodotti di altri mercati.

“Fui tra i promotori e fondatori del Dop Collina di Brindisi. Aver intrapreso quel percorso – spiega il professor Cosimo Putignano, vice presidente del Consorzio Collina di Brindisi e presidente della Coop De Laurentis - è stato un passo importante e fondamentale per la crescita qualitativa dell’offerta dei produttori locali. Ma le aspettative erano decisamente maggiori. Puntavamo a conquistare fette di mercato sempre più significative, sebbene nell’ambito di una proposta –prosegue Putignano- che sapevamo bene non sarebbe mai stata in grado di reggere il confronto con i colossi multinazionali”.

“Ciò non toglie che c’era la possibilità di affermare e sfruttare in maniera più incisiva il marchio di qualità conquistato per primi in Europa. Invece, alla fine, siamo stati incapaci e lo siamo tuttora di fare squadra, di imporre sulla scena il sistema e non i prodotti delle singole aziende, che seppure marchiati Dop, inevitabilmente da soli non avranno mai la forza e gli strumenti adeguati per imporsi nella giungla del mercato mondiale. Su questi presupposti è difficile guardare con ottimismo al futuro. Io mi auguro che da parte di tutti i produttori locali si riesca a comprendere la necessità di iniziare a fare squadra per davvero”, conclude il vice presidente del consorzio Dop.

A partire dalla promozione, evidentemente: “Proprio così. Uniti bisogna aderire e partecipare agli eventi fieristici, insieme bisogna programmare l’attività di marketing, insieme dobbiamo elaborare idee e progetti in grado di affrontare di petto la crisi. Perché va detto, che la recessione recita un ruolo importante, rendendo ancora più impari il confronto tra l’olio Dop e quello di qualità inferiore. Gioco forza quest’ultimo ha facilità di imporsi a prezzi più bassi all’interno delle grandi catene di distribuzione”.

Eppure di riconoscimenti, in questi anni, ne sono piovuti, come ricorda spesso Vincenzo Massari (presidente della Collina di Brindisi). Di premi il Collina di Brindisi  ne ha incassati nell’ambito di manifestazioni (a partire dal Premio “Sirena d’Oro di Sorrento” ) che hanno rappresentato un fondamentale momento di incontro per le diverse realtà che gravitano nell’universo delle Dop italiane dell’extravergine. Vetrine in grado di sensibilizzare i media e quindi, di conseguenza, di raggiungere ed informare il grande pubblico. Anche per questo il Consorzio vorrebbe adeguarsi, intensificando le partecipazioni agli eventi nazionali ed esteri ma anche stimolando sul territorio una serie di iniziative promozionali di alto profilo.

Ma nel Dop, c’è chi da un bel po’ di anni ha smesso di puntare. E’ il caso dell’imprenditore agricolo ostunese Luciano Martucci, che pur restando nel consiglio di amministrazione del consorzio da un lustro ha smesso di imbottigliare col marchio Dop  Collina di Brindisi l’olio extra vergine di oliva prodotto dalla sua azienda (“Albero dolce"): “Nonostante gli sforzi del presidente è evidente che se mi sono tirato indietro la Dop non ha prodotto vantaggi, gravando semmai le aziende di un costo aggiuntivo che per quanto mi riguarda si aggirava attorno ai 2000 euro all’anno”.

“A questo punto ho preferito rinunciare. E così dal 1995 il 10 per cento della produzione imbottigliata Albero dolce, pur conservando i livelli di qualità e eccellenza, non ha più la certificazione del biologico e del Dop”. Già e il restante 90 per cento della produzione aziendale? “Non ho altri strumenti per combattere la crisi: la vendo alle grandi società che hanno gioco facile sul terreno commerciale. Ma magari in quelle bottiglie che poi invadano gli scaffali dei supermercati ci finisse soltanto il mio olio! Così non è”.

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