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Giovedì, 28 Marzo 2024
Economia

Extravergine e New York Times: querelle

BARI – Il prestigioso New York Times affida a quattro tavole illustrate una inchiesta piuttosto superficiale sulle sofisticazioni e le truffe di cui è vittima l’olio di oliva italiano, operazioni per la maggior parte concertate all’estero, e scatena sul web una ondata di critiche, ovviamente in Italia. Ma dalla Puglia parte un invito.

BARI – Il prestigioso New York Times affida a quattro tavole illustrate una inchiesta piuttosto superficiale sulle sofisticazioni e le truffe di cui è vittima l’olio di oliva italiano, operazioni per la maggior parte concertate all’estero, e scatena sul web una ondata di critiche, ovviamente in Italia. Tra le reazioni, quella dell’assessore alle Risorse agroalimentari della Regione Puglia, Fabrizio Nardoni, che lancia una sfida al potente quotidiano americano, ma sotto forma di cortese invito al suo direttore, la giornalista Jill Abramson.

La Abramson “è la persona giusta per ristabilire la verità sulla qualità del nostro olio extra vergine d’oliva. Immagine danneggiata dalla sequenza di vignette pubblicate dal giornale che dirige. Per questo è proprio a lei che ho rivolto il mio invito a venire in Puglia e a constatare con mano qualità, valore ed esperienza di un sistema economico-produttivo che non può conoscere l’oltraggio di una informazione parziale e lontana dalla grande attenzione alla qualità e alla salubrità che viene dai nostri produttori”, spiega Nardoni.

Nardoni si è ritrovato di fronte al casus belli proprio rientrando da New York, una delle tappe ormai consuete del marketing agroalimentare e turistico messo in piedi dalla giunta Vendola. Proprio da New York la pugnalata alle spalle, proprio dalla metropoli “dove la Puglia e i suoi prodotti di qualità sono stati accolti da grande apprezzamento e successo”, e perciò Nardoni “non dimentica l’offesa subita ai danni del comparto olivicolo italiano”.

“Noi siamo stati fortemente danneggiati dalla quella pubblicità satirica negativa (in realtà si tratta di molto peggio, cioè di una mini inchiesta piuttosto leggera ed imprecisa, non certo da Nyt, ndr) perché la Puglia rappresenta una delle regioni con maggiore produzione di olio extravergine d’oliva di qualità. Jill Abramson se accetterà il nostro invito dovrà parlare con le centinaia di piccoli e grandi produttori che ogni giorno denunciano e intercettano traffici illeciti ai loro danni, così come testimoniano i grandi sequestri operati nei porti italiani da parte delle forze dell’ordine e relativi a prodotto adulterato”, dice ancora l’assessore regionale Fabrizio Nardoni.

Nardoni spera dunque che Jill Abramson accolta l’invito, “ma qualora rispedisse al mittente la nostra richiesta noi non ci fermeremo fino a quando la verità sulla qualità di uno dei nostri prodotti di punta sarà ristabilita”. Intanto sul web fioccano le risposte all’iniziativa del quotidiano newyorkese. Come quella del magazine online “Intravino”, dove Antonio Tomacelli fa le bucce al giornalista americano autore della lezione sulla sofisticazione dell’olio italiano, partendo da una delle tavole sotto accusa, quella che riduce il problema alle etichette false.

In realtà la questione è più complessa, spiega Tomacelli. Intanto le tre grandi marche italiane più note nell’export, Bertolli, Carapelli e Sasso sono da anni proprietà del gruppo spagnolo Deoleo, e sotto quelle etichette ci sono oli comunitari e soprattutto spagnoli, ma queste miscele non italiane sono chiaramente dichiarate in etichetta. L’autore del servizio sul New York Times, poi, evidentemente non conosce le regole del gioco per l’olio di oliva applicate in Italia, quelle stabilite dalla legge “Norme in materia di indicazioni obbligatorie nell’etichetta dell’olio vergine ed extravergine” pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale N. 243 del 18 Ottobre 2007, che all’articolo 2 prescrive:

1. L’indicazione della zona geografica di coltivazione delle olive, fatta salva la disciplina della designazione d’origine per i prodotti DOP e IGP, deve riportare lo Stato membro o il Paese terzo in cui la coltivazione è stata effettuata. In caso di olive non coltivate in un unico Stato membro o Paese terzo, nell’etichetta deve essere indicato l’elenco di tutti gli Stati o Paesi terzi nei quali le olive sono state coltivate, in ordine decrescente per quantità utilizzate.

2. Qualora le olive siano state coltivate in uno Stato o Paese diverso da quello in cui è situato il frantoio, nell’etichetta deve essere riportata la seguente dicitura: «Olio estratto in (indicazione dello Stato o Paese in cui è situato il frantoio) da olive coltivate in (indicazione dello Stato o del Paese di coltivazione delle olive)».

3. Nel caso di tagli di oli di oliva vergine ed extravergine non estratti in un unico Stato membro o Paese terzo, salvo quanto previsto nei commi precedenti, nell’etichetta deve essere indicato l’elenco di tutti gli Stati o Paesi terzi nei quali sono stati estratti gli oli.

Detto questo, comunque la truffa è sempre possibile. Quindi il New York Times avrebbe dovuto spiegare che l’olio extravergine di oliva italiano è protetto, e se un consumatore Usa vuole acquistare un prodotto davvero Dop o comunque sicuro, può scegliere quelli con etichette di garanzia, avendo a disposizione peraltro un’ampia gamma di qualità. Se poi ai consumatori statunitensi le reti di distribuzione locale ammollano il “parmisan” o i concentrati di pomodoro cinesi, oppure oli non certificati, nessuno incolpi i produttori italiani. E ora vediamo se Jill Adamsom verrà a farsi un giro in Puglia, o manderà qualcuno dei suoi bravi inviati, a fare giustizia delle contestate illustrazioni.

 

 

 

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