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Il caporalato non è morto: la Cgil lancia una campagna nazionale

ROMA - Dagli 'smorzi' alle rotonde per chiedere lavoro e dignità, è sulla base di questo impegno quotidiano del sindacato, che Fillea e Flai Cgil hanno oggi, nel corso dell'iniziativa StopCaporalato, presentato un'importante proposta di legge e un'intensa campagna di informazione e sensibilizzazione. Secondo le stime delle due categorie, sono circa 800mila le lavoratrici e i lavoratori, italiani e stranieri, che nei settori dell'agricoltura e dell'edilizia, si trovano a lavorare in condizioni di grave sfruttamento: lavoro nero, grigio e molto spesso sotto il controllo dei caporali, i quali, dopo aver condotto nei luogi di lavoro la 'manodopera giornaliera', pretendono una percentuale della paga dei lavoratori interessati che spesso supera il 50%.

ROMA - Dagli 'smorzi' alle rotonde per chiedere lavoro e dignità, è sulla base di questo impegno quotidiano del sindacato, che Fillea e Flai Cgil hanno oggi, nel corso dell'iniziativa StopCaporalato, presentato un'importante proposta di legge e un'intensa campagna di informazione e sensibilizzazione. Secondo le stime delle due categorie, sono circa 800mila le lavoratrici e i lavoratori, italiani e stranieri, che nei settori dell'agricoltura e dell'edilizia, si trovano a lavorare in condizioni di grave sfruttamento: lavoro nero, grigio e molto spesso sotto il controllo dei caporali, i quali, dopo aver condotto nei luogi di lavoro la 'manodopera giornaliera', pretendono una percentuale della paga dei lavoratori interessati che spesso supera il 50%.

In particolare, come spiegato dai segretari generali della Fillea e Flai Cgil, Walter Schiavella e Stefania Crogi, nell'agricoltura ci sono irregolarità nel 44% delle aziende controllate e il 49% dei lavoratori è in nero, mentre nell'edilizia le irregolarità si riscontrano in oltre il 62% dei casi, con il 53% di lavoratori in nero. Di fronte a questo fenomeno illecito di sfruttamento della manovalanza, la Fillea e Flai Cgil, hanno avanzato una proposta di legge che inserisce nel nostro ordinamento giudiziario il reato di caporalato, attualmente punito, in caso di flagranza, con una sanzione amministrativa di appena 50 euro. Nella proposta presentata oggi, si legge “chiunque svolga una attività organizzata al fine dell'intermediazione di forza lavoro, sfruttando la disponibilità altrui, causata dallo stato di bisogno o di necessità in cui costui versa, a compiere una prestazione lavorativa in assenza di piena e totale tutela della legge, è punito alla reclusione da cinque a otto anni”, l'articolato poi prosegue “chiunque utilizza o impiega le forze e le capacità lavorative e produttive altrui - fornitegli come precedentemente decritto – è punito con la reclusione da tre a sei anni”.

La proposta di legge sarà sostenuta da una capillare campagna di informazione e sensibilizzazione che, si svilupperà per tutto il 2011, con iniziative, manifestazioni, presidi, su tutto il territorio nazionale, proprio per sottolineare come il fenomeno sia diffuso dal Sud al Nord del nostro Paese. Si è partiti oggi da Roma, si proseguirà il 18 febbraio a Brindisi, l'11 marzo a Ragusa, il 24 marzo a Salerno, il 30 marzo a Latina, il 14 aprile a Treviso. Tanti gli appuntamenti in programma.

Gran parte del mercato del lavoro nel nostro Paese “è tornato ad essere regolato dalla tratta degli uomini e delle donne” ha dichiarato il segreatario generale della Cgil, Susanna Camusso, durante il suo intervento a conclusione dell'iniziativa. “Per noi - ha aggiunto dal palco del Teatro Ambra Jovinelli di Roma - un Paese non può essere definito libero e democratico se ancora è praticabile la tratta delle persone”. Per questo motivo il caporalato, secondo la leader della Cgil, “deve diventare un reato penale perchè la tratta è una violenza contro le persone”. E' necessario “riconoscere la natura di reato”, perchè “la tratta - ha ribadito Camusso - è un reato e non può essere una norma del mercato del lavoro, con multe e sanzioni”. Se il caporalato è una questione penale, ha proseguito la dirigente sinadacale, “bisogna mettere mano anche alle sue due conseguenze: gli appalti e la catena dei subappalti con il problema del massimo ribasso, e la questione del collocamento”.

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