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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Economia

Il Tar boccia i ricorsi Eni: dovrà mettere in sicurezza la falda inquinata

Nessun regalo ad Eni da parte del Tar di Lecce. Con tre sentenze i giudici amministrativi salentini stabiliscono che deve essere il colosso energetico pubblico a mettere in sicurezza la falda inquinata dello stabilimento petrolchimico di Brindisi, e che dovrà farlo secondo le prescrizioni decise dalla conferenza nazionale permanente dei servizi presso il Ministero dell'Ambiente sulle aree Sin

BRINDISI – Nessun regalo ad Eni da parte del Tar di Lecce. Con tre sentenze del 5 settembre i giudici amministrativi salentini stabiliscono che deve essere il colosso energetico pubblico a mettere in sicurezza la falda inquinata dello stabilimento petrolchimico di Brindisi, e che dovrà farlo secondo le prescrizioni decise dalla conferenza nazionale permanente dei servizi presso il Ministero dell’Ambiente sulle aree Sin, vale a dire con il metodo del confinamento fisico e non con quello, proposto e sostenuto dallo stesso Eni, della barriera idraulica. I costi dell’operazione sono notevoli, ma secondo il Ministero dell’Ambiente si tratta della scelta più idonea a tutelare le acque costiere, come è già stato fatto a Porto Marghera.

La partita sulla messa in sicurezza della falda del petrolchimico giunge così ad una prima svolta dopo la notifica ad Eni di ben tre decreti firmati dal direttore protempore della Direzione per la Qualità della vita del Ministero dell’Ambiente, Gianfranco Mascazzini, il 14 maggio del 2007, al termine della relativa istruttoria. Eni dovrà ricorrere al Consiglio di Stato per opporsi alle tre sentenze della prima sezione del Tar di Lecce (presidente Antonio Cavallari, consigliere Patrizia Moro, referendario ed estensore Roberto Michele Palmieri), e dovrebbe avere contro tutti i ministeri interessati – Ambiente, Sviluppo economico, Trasporti – la presidenza del Consiglio dei Ministri, le agenzie ambientali nazionali e regionali, la Regione Puglia, Comune e Provincia di Brindisi, l’Istituto superiore della Sanità, stando alle costituzioni davanti al Tar.

ORA TOCCA AL CONSIGLIO DI STATO

Ma nulla è scontato. Eni, che aveva citato anche Dow Chemical per l’inquinamento della falda, ritenendo di essere estranea alla situazione riscontrata dalle indagini chimiche e fisiche condotte, a giudizio delle organizzazioni sindacali non ha dissipato le incertezze sul futuro del petrolchimico di Brindisi, dove solo uno degli inquilini non fa parte del gruppo italiano, vale a dire Basell. Per questo motivo ogni contestazione sull’impatto ambientale delle attività condotte nella fabbrica viene considerata da alcuni settori imprenditoriali e sindacali come un aggravio dei rischi di progressivo disimpegno di Eni a Brindisi. Tra questi temi, svetta quello delle accensioni delle torce di sicurezza legate a malfunzionamenti dell’impianto di cracking, quello della messa in sicurezza della discarica di Micorosa, ma ci sono anche problemi di alto genere che riguardano la gestione degli appalti a Brindisi.

Eni nel giudizio amministrativo ha negato non solo di essere il soggetto inquinatore della falda, ma ha anche sostenuto di essere stata penalizzata nel contraddittorio in sede di conferenza dei servizi. Nelle tre sentenze il Tar ha ritenuto infondati entrambi i motivi di opposizione ai decreti ministeriali. Riguardo il primo, l’obbligo di bonifica dell’area inquinata incombe sull’autore dell’inquinamento unicamente nella misura in cui egli sia stato riconosciuto come tale, e ciò alla luce di apposita istruttoria che l’amministrazione è tenuta a condurre in contraddittorio con l’interessato, riconosce il Tar di Lecce. Ma “se ciò è vero, non va nondimeno trascurato che, ai sensi dell’art. 245 co. 2 d. lgs. n. 152/06, ‘fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (Csc) deve darne comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242”.

ANCHE SE NON SEI L’INQUINATORE DEVI PREVENIRE I PERICOLI

Il petrolchimico visto dalla Isole Pedagne-2Perciò, secondo il Tar, “in base al precedente art. 242 l’obbligo di adottare le necessarie misure di prevenzione sussiste anche in relazione alle contaminazioni storiche. Pertanto, è evidente che, fermi restando gli obblighi gravanti sul soggetto inquinatore, sul proprietario/gestore dell’area inquinata grava comunque un obbligo di prevenzione, la qual cosa si giustifica in considerazione del fatto che, avendo il proprietario/gestore un potere di uso e custodia dell’area inquinata, conseguente alla signoria che egli esercita su di essa, egli deve ritenersi soggetto indicato per l’adozione degli interventi di prevenzione, finalizzati ad evitare l’aggravarsi delle conseguenze dannose dell’accertata situazione di inquinamento e la diffusione dello stesso nelle aree vicine, anche attraverso il vettore costituito dalla falda acquifera” (Nella foto a destra, il petrolchimico visto dalla Isole Pedagne).

Il decreto del direttore competente del ministero, precisano i giudici amministrativi, non contiene “un obbligo di bonifica della falda – obbligo che, per il cennato principio ‘chi inquina paga’ può essere legittimamente posto soltanto a carico del soggetto inquinatore, e non anche al proprietario/gestore incolpevole – ma un intervento di carattere preventivo, volto a prevenire la diffusione dell’inquinamento, basato per l’appunto “su un sistema di confinamento fisico che garantisca la completa intercettazione dell’acqua di falda contaminata e impedisca la sua diffusione all’esterno dell’area dello stabilimento. Per tali ragioni, è evidente che un ordine siffatto, in quanto mirante unicamente ad impedire, nell’immediato, la propagazione dell’inquinamento, può legittimamente essere imposto al proprietario/gestore dell’area inquinata, sebbene si tratti di soggetto diverso dall’autore dell’accertato inquinamento iniziale”.

IL CONFINAMENTO FISICO LA MISURA PIU’ IDONEA

Quindi Eni dovrà provvedere alla messa in sicurezza, mediante “interventi di messa in sicurezza d’emergenza, basati su un sistema di confinamento fisico che garantisca la completa intercettazione dell’acqua di falda contaminata e impedisca la sua diffusione all’esterno dell’area dello stabilimento”. Si tratta di una vera e propria barriera in cemento che dovrà bloccare in profondità ogni contatto tra la falda inquinata ed il mare, lungo l’intero fronte di contatto tra il petrolchimico e la costa. Eni, attraverso le società insediate nel petrolchimico negli anni, da Polimeri Europa a Sindyal, ad Eni Versalis, ha sempre difeso e sostenuto invece la teoria della barriera idraulica, costituita da decine di pozzi di emungimento della falda inquinata fronte mare, per il successivo trattamento e reimmissione.

Contestata anche la natura dell’inquinamento: soprattutto da idrocarburi, ha sostenuto Eni; fortemente caratterizzato dalla presenza di sostanze clorurate, hanno dimostrato le indagini affidate a soggetti pubblici. E proprio questa contrapposizione di esiti delle indagini dimostra, rileva il Tar di Lecce, che vi è stato quel contraddittorio di cui Eni lamenta invece l’assenza, denunciando una imposizione delle misure di messa in sicurezza da parte del Ministero dell’Ambiente. Bocciato, quindi, anche il secondo motivo dei ricorsi. Non resta che attendere una decisione del Consiglio di Stato, sperando che non passino ancora anni prima di ottenere misure efficaci per la soluzione di uno dei principali problemi ambientali della città (Le foto sono di Marcello Orlandini).

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