rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

Intervento/ Sostenere l'autoimprenditorialità

È, forse, il vero male sociale. Un dramma che provoca malessere e sottrae ottimismo alla voglia di futuro. La disoccupazione ha superato la soglia della sostenibilità sociale sconfinando in allarme permanente.

È, forse, il vero male sociale. Un dramma che provoca malessere e sottrae ottimismo alla voglia di futuro. La disoccupazione ha superato la soglia della sostenibilità sociale sconfinando in una sorta di allarme permanente. La mancanza di lavoro deprime le nuove generazioni, priva il Paese del necessario slancio al domani, svilisce una comunità che si trova a fronteggiare le sfide del futuro. L’Italia, così come gli italiani, ha sempre avuto la capacità di superare momenti drammatici dando il meglio di sé, grazie a qualità che l’hanno vista superare numerosi ostacoli.

È stato così dopo la guerra, negli anni di quel miracolo cucito sul boom della crescita economica, è stato così nelle contingenze più stringenti, insomma gli italiani sono stati più forti delle avversità del tempo. La crisi di oggi ha connotazioni diverse, la buona volontà non basta, non basta l’arte dell’arrangiarsi, è un cielo buio sulle piccole e grandi economie, sulle idee d’impresa che animano il coraggio e l’incoscienza di chi si mette in gioco. Gli economisti parlano di recessione; un arretramento indistinto degli indici che soffoca l’economia lungo spirali spesso incontrollabili, che mette in rotta i dati dei consumi e degli investimenti.

Un crinale che non accenna a risalire, né lo Stato, incagliato in una storica impasse istituzionale, riesce ad esprimere una qualsiasi risposta antirecessiva. E la proiezione della crisi nei contesti microeconomici tratteggia scenari tutt’altro che rassicuranti. La disoccupazione è una malattia endemica, non sempre però è legata alla congiuntura economica, spesso è un fatto strutturale che dipende da diversi fattori, come il cattivo funzionamento della scuola, gli ammortizzatori sociali, la scelta di dare ai padri più che ai figli.

Brindisi non fa eccezione, anzi. Ricalca il dato nazionale esponendolo a un fenomeno di allarme sociale (28%), riflesso di una dinamica in rapida evoluzione. Non è tempo di avventurarsi in virtuosismi lessicali come choosy o “generazione perduta”, non è il caso di addobbare un dramma che rischia di provocare gravi conseguenze. Un fenomeno da studiare, certo, da disarticolare nelle sue implicazioni apparenti, cercando strumenti in grado di scongiurare la deriva.

I tempi sono maturi e la paralisi dell’occupazione, soprattutto all’interno di quelle fasce con più spiccate propensioni ai consumi e all’innovazione, non solo rallenta l’economia ma mortifica la speranza per l’intero Paese. Occorre dunque correre ai ripari. L’Italia ha bisogno della politica per ritrovare la sua normalità, di scelte per rimettersi in carreggiata verso un primo abbattimento della tensione e della paura. Anche i territori hanno il dovere di attrezzarsi, di avviare strategie che diano spazio alle idee, di valorizzare le risorse locali in grado di mettere in moto e moltiplicare piccole, anche piccolissime economie.

La considerazione del territorio deve tendere alla creazione di nuovo valore, i processi devono muoversi in modo sussidiario verso l’organizzazione di valide opportunità. La nostra città ha tutti i mezzi per definire e darsi una nuova visione di sviluppo e i prossimi anni dovranno tendere proprio a questo sforzo e lungo la direttrice individuata sarà possibile offrire occasioni e spingere verso forme di partenariato con i privati. Nel frattempo ho chiesto al Consiglio comunale di pronunciarsi su alcune proposte sensibili che non abbiano semplicemente un profilo emergenziale, ma comincino a indicare soluzioni più stabili al problema.

Come l’invito al prossimo Governo di rivedere e potenziare gli incentivi all’auto-imprenditorialità e all’auto-impiego; soluzioni pensate in modo specifico per le start up. Si tratta in sostanza di misure per il sostegno delle iniziative avviate dai giovani e dai soggetti in cerca di occupazione. Destinatari delle misure per l’auto-imprenditorialità e l’auto-impiego sono le nuove imprese costituite sotto forma di società formate da giovani tra 18 e 35 anni e le cosiddette ditte individuali formate da persone fisiche aventi determinati requisiti e prevedono aiuti economici come contributi a fondo perduto e mutui a tassi agevolati per l’acquisto dei beni necessari ad avviare o ampliare il business in campo industriale, agricolo o nei servizi.

Questi sono strumenti evidentemente pensati per ovviare al problema della liquidità, se si considera che le banche sembrano aver chiuso il rubinetto del credito e le piccole somme che si riescono a destinare con il sostegno di genitori e familiari sono spesso insufficienti. Ma anche il territorio, che conosce inclinazioni e specificità e dispone coerenti percorsi di sviluppo, può orientare iniziative in grado di generare fonti di occupazione.

Secondo logica sussidiaria e in modo connesso (e accessorio) alle attività di consulenza, accompagnamento e sostegno dei progetti di auto-imprenditorialità e di auto-impiego, il Comune può mettere a disposizione in comodato d’uso gratuito, per una ragionevole durata temporale, i locali commerciali o altre strutture di proprietà dell’ente non locati e con destinazione di utilizzo economica, per consentire l’accesso concreto ai due “forzieri” aperti per le start up e la competitività del territorio.

Non si tratta di un quadro compiuto di argini normativi ma di un primo trattamento che presupponga una cura più complessa. Il modello tedesco si basa ad esempio su una programmazione integrata di interventi a sostegno delle cosiddette Ich-AG, microimprese create dai disoccupati i quali emergono dal lavoro nero e ricevono per tre anni dall’ufficio del lavoro una sovvenzione pari al sussidio di disoccupazione e agli oneri sociali. Si tratta per lo più di piccole attività che, diversamente, sarebbero offerte in nero.

L’incentivo si trova nella tassazione forfettaria del 10% fino a una soglia massima di 25.000 euro annui: la prima vera riforma del mercato del lavoro deve mettere mano al cuneo fiscale e alla pretesa tributario-contributiva dello Stato su lavoro e impresa. Non c’è tempo da perdere. Nei primi nove mesi del 2012 in Italia hanno chiuso 55.000 imprese, il dato peggiore degli ultimi dieci anni. È il tempo di aprire una vertenza critica sulle politiche economiche degli scorsi mesi. L’austerità ha fallito, fiaccando la crescita: occorre fare diversamente e in fretta.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Intervento/ Sostenere l'autoimprenditorialità

BrindisiReport è in caricamento